Cassazione civile, sez. VI, ord. 21 novembre 2014, n. 24833
La riconciliazione coniugale non può consistere nel mero ripristino della situazione quo ante, bensì si sostanzia nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione VI, con Ordinanza del 21 novembre 2014 n. 24833 stabilendo le condizioni che devono sussistere affinché si possa configurare la c.d. riconciliazione fra i coniugi dopo la separazione. Come è noto, infatti, la riconciliazione ha l’effetto di far cessare la separazione legale. Nel caso di specie uno dei coniugi contestava l’effettività della separazione che, nonostante l’omologa del giudice di primo grado, non era mai intervenuta realmente.
Secondo una consolidata giurisprudenza alla quale aderisce anche il giudice di ultima istanza, la riconciliazione coniugale non può consistere nel mero ripristino della situazione quo ante, bensì si sostanzia nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti, tali da comportare il superamento di quelle condizioni che avevano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza e che si concretizzino in un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione.
È opportuno, per meglio inquadrare l’istituto, precisare che la riconciliazione può essere di due tipi: espressa o tacita.
Nel primo caso occorre che la volontà dei coniugi di riconciliarsi venga manifestata in modo esplicito, ovvero ci sia un accordo scritto, non sottoposto a particolari vincoli di forma e può, infatti, emergere anche da uno scambio di corrispondenza
Nel secondo caso, la riconciliazione risulta dal comportamento assunto dai coniugi palesemente incompatibile con lo stato di separazione e compatibile, invece, con la volontà di ricostruire la comunione materiale e spirituale di vita. All’uopo di rileva che la Suprema Corte ha statuito che la mera coabitazione non costituisce elemento sufficiente agli effetti della riconciliazione, se non animata dal proposito di ripristinare gli usuali rapporti di vita che caratterizzano il vincolo matrimoniale. Non appare sufficiente la ripresa dei rapporti sessuali o l’incontro dei coniugi durante il weekend ed in occasione delle vacanze o la condivisione, dopo la separazione, dell’appartamento di abitazione oppure una comunicazione telefonica, nel corso della quale il marito separato abbia dichiarato alla moglie “che abbia contestualmente accettato” di voler riprendere la vita coniugale, seguita da una breve ripresa della convivenza. Ne consegue,quindi, che non vi è riconciliazione nell’ipotesi di ripresa della convivenza, a tempo determinato e a titolo sperimentale, al fine di verificare il ravvedimento del coniuge o per evitare il turbamento della prole o di coabitazione in camere da letto separate, essendo, invece, necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, tipici della vita coniugale. Neppure la nascita di un figlio in costanza di separazione comporta implicitamente riconciliazione tra coniugi separati: la Suprema Corte, infatti, ha stabilito che per aversi una vera e propria riconciliazione, non basta il ripristino o il mantenimento di frequenti rapporti, anche sessuali, fra i coniugi, ma occorre la restaurazione vera e propria del nucleo familiare.
In conclusione, i coniugi separati che successivamente si siano riconciliati non hanno necessità di adire l’intervento del giudice, però occorre rendere edotti i terzi di questa nuova situazione e degli effetti ripristinatori della convivenza: il legislatore, come accennato, ha previsto che i coniugi per far cessare gli effetti della sentenza di separazione possono rendere una dichiarazione davanti all’Ufficiale di Stato Civile, presso il Comune dove fu celebrato il matrimonio o presso il Comune dove il matrimonio fu trascritto per residenza degli sposi al momento della celebrazione, manifestando la volontà di riconciliarsi ai sensi D.P.R. 396/2000 introdotta dall’art. 63 lettera g., dichiarazione che viene annotata a margine dell’atto di matrimonio. Ciò permette di mettere a conoscenza i terzi dell’avvenuta riconciliazione. Ciò serve per un tutela patrimoniale del terzo che acquista un bene facente parte della comunione tra coniugi: l’art. 184 c.c., richiede il consenso congiunto dei coniugi per gli atti di straordinaria amministrazione per i contratti aventi ad oggetto beni immobili o mobili registrati, pena l’annullabilità dell’atto.
Alla luce di questi principi, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
Avv. Amilcare Mancusi (Foro di Nocera Inferiore)
Cassazione civile, sez. VI, ord. 21 novembre 2014, n. 24833