Cassazione civile, sez. unite, 16 maggio 2013, n. 11830
Locazione commerciale di immobile pignorato. Il contratto si rinnova alla prima scadenza anche senza l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione.
«In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa (artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978, n. 392) costituisce un effetto automatico che scaturisce direttamente dalla legge, e non da una manifestazione di volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dal secondo comma dell’art. 560 cod. proc. civ.
Con ciò le Sezioni Unite ritengono che si debba dare continuità al principio affermato da Cass. 7.5.2009 n. 10498. Queste le ragioni.
La legge sull’equo canone costituisce un microsistema autonomo rispetto al sistema generale sulle locazioni disciplinato dal codice civile e consente l’integrazione delle disposizioni normative di quest’ultimo soltanto quando la materia non sia specificamente disciplinata. La stessa legge, all’art. 28, prevede che per le locazioni di immobili adibiti alle attività indicate nei commi primo e secondo dell’art. 27 “il contratto si rinnova tacitamente … di nove anni in nove anni; tale rinnovazione non ha luogo se sopravviene disdetta … Alla prima scadenza contrattuale … il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi di cui all’art. 29…”.
Specificando la norma le ipotesi nella stessa ricomprese.
Un tale assetto normativo conduce a considerare la rinnovazione tacita del contratto, alla prima scadenza quale fattispecie speciale ed autonoma rispetto alla rinnovazione tacita del contratto di cui all’art. 1597 ce, il quale fa riferimento alla fìne della locazione per lo spirare del termine di cui al precedente art. 1596 c.c.
Il che comporta che la rinnovazione – nel caso in cui il locatore non si trovi nelle condizioni di cui dell’art. 29, secondo comma, o, comunque, pur ricorrendo, non le comunichi al conduttore -, si configura come mero effetto automatico in assenza di disdetta.
Quindi, il secondo periodo di rapporto locatizio, sulla base della disciplina prevista dagli artt. 28 e 29 della legge n. 392/1978 – così come nel sistema che riguarda le locazioni abitative, a norma degli artt. 2 e 3, 1. 9 dicembre 1998, n. 431 -, non presuppone, in alcun modo, un successivo contratto.
Esso deriva, non da un implicito accordo tra i contraenti, ma dal semplice fatto negativo sopravvenuto della mancanza della disdetta.
Ed il contenuto contrattuale, che disciplina il nuovo periodo di rapporto, non presenta alcun specifico elemento di novità.
Restano, infatti, operanti le clausole del contratto originario, quelle relative alla misura del canone e quelle relative alla durata della locazione, in ogni caso, integrate nel minimo dall’art. 28, L. n. 392/1978 e dall’art. 2, L. n. 431/1998.
Diversamente, nelle ipotesi di successive scadenze contrattuali, rispetto alle quali l’esercizio della disdetta, da parte del locatore, è svincolato da qualsiasi presupposto o condizione.
La conclusione cui si è pervenuti – vale a dire che si è presenza di un effetto automatico ex lege – esclude l’applicabilità dell’art. 560 c.p.c.
E ciò perché la norma in questione, vietando al debitore ed al terzo custode “di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice delegato” fa esplicitamente riferimento ad un atto negoziale di volontà che, nella specie, non ricorre».
Cassazione civile, sez. unite, 16 maggio 2013, n. 11830