Durante il primo anno di vita di vita del bambino sono riconosciuti alla madre lavoratrice due periodi di riposo retribuiti di un’ora ciascuno, anche cumulabili tra loro, nel corso della giornata lavorativa, con possibilità di fruirne anche al di fuori dei locali dell’azienda.
Tale diritto, oggi disciplinato dall’art. 39 del D.Lgs. n. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), risultava già riconosciuto alla lavoratrice dall’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204.
Successivamente, l’art. 6-ter l. 903/1977 (introdotto dalla l. 59/2000) ha esteso al padre il diritto di fruire dei suddetti permessi al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente.
Tale norma risulta attualmente trasfusa nel testo dell’art. 40 (Riposi giornalieri del padre) del D.Lgs. n. 151/2001, con l’aggiunta di una quarta ipotesi in cui il padre può fruire dei periodi di riposo ovvero in caso di morte o di grave infermità della madre.
In relazione al caso sub lettera c) ovvero se la madre non sia lavoratrice dipendente, è stato ritenuto che esso possa validamente ricomprendere l’ipotesi in cui la madre sia una “lavoratrice casalinga” per cui il padre lavoratore, che pure non sia affidatario esclusivo dei figli, può validamente usufruire dei periodi di riposo, anche se la coniuge, madre della prole, sia una casalinga.
Osserva il Collegio come la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, differenziandosi nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche.
Nella fattispecie è al secondo ambito che occorre fare riferimento, essendo la normativa in oggetto rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
«In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/2005, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato».
Consiglio di Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293