Nessun risarcimento del danno per il fastidio arrecato da lavavetri e mendicanti. Quando viene in rilievo un’attività umana espressione di una forma di mendicità e dì una “semplice richiesta di aiuto” non è pertinente il richiamo al dovere dell’ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale, un mero comportamento di “pulizia delle strade”, come recita l’art. 14 del codice della strada.
Alcuni siti giuridici hanno riportato la notizia secondo cui la Corte di cassazione, con la sentenza della n. 13568/2015, avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una “nuova declinazione di danno esistenziale: quella generata dall’ansia da lavavetri”.
In verità la pronuncia ha riguardato innanzitutto una questione di giurisdizione, avendo il giudice di pace, prima, ed il tribunale, poi, declinato la giurisdizione in favore del giudice amministrativo.
Sarà dunque che il giudice amministrativo a decidere se e quali danni possono derivare al cittadino automobilista, fruitore di strade pubbliche, dall’ansia e dal disagio causati dalla presenza dei lavavetri e mendicanti vari nei pressi dei semafori o comunque lungo la strada.
A tale riguardo la Corte ha precisato che «la posizione soggettiva di cui l’attore pretende la tutela non è, nemmeno in astratto, qualificabile in termini di diritto soggettivo, ma, semmai di interesse legittimo, con conscguente giurisdizione del giudice amministrativo, giacché, ai sensi dell’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità di questo giudice le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».
La Corte tuttavia si spinge leggermente oltre, smorzando le speranze di ottenere un risarcimento per i fatti dedotti e quindi la sentenza dovrebbe essere interpretata non già nel senso dell’introduzione nel nostro ordinamento del “danno per fastidio da lavavetri” ma semmai nella sua negazione.
Gli ermellini chiudono, infatti, la parte motivazionale della sentenza rilevando «che la dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo non comporta anche una valutazione di sussistenza nell’ordinamento di una norma astratta idonea al riconoscimento e alla tutelabiìltà della posizione giuridica fatta valere nella specie dai “cittadino automobilista circolante e fruitore delle strade pubbliche”».
La Cassazione, peraltro, se avesse potuto pronunciarsi sul punto avendone giurisdizione, lascia intendere che avrebbe rigettato la domanda e ciò si evince dal seguente passaggio del corpo motivazionale della sentenza laddove si afferma che quando «Quando, infatti, viene in rilievo un’attività umana espressione di una forma di mendicità e dì una “semplice richiesta di aiuto” (Corte cost., sentenza n. 519 del 1995) proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, non è pertinente il richiamo al dovere dell’ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale, un mero comportamento di “pulizia delle strade”, come recita l’art. 14 del codice della strada.
È infatti in gioco un ambito in cui l’azione amministrativa, pur indirizzata alla tutela di beni pubblici importanti (l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana), deve muoversi nel necessario rispetto della dignità della persona umana e dei diritti degli “ultimi” […] ».
Mendicanti vari e lavavetri possono dunque continuare il loro “lavoro” più “tranquilli”, difficilmente il cittadino troverà soddisfazione chidendo di essere tutelato dalla giustizia italiana.