Cassazione civile, sez. II, 19 maggio 2014, n. 10965
Con la sentenza in esame, la Suprema Corte di Cassazione conferma il principio di diritto precedentemente espresso nelle pronunce Cass. Civ. 25468/10 e 20332/07, secondo il quale la facoltà di domandare la risoluzione del contratto di vendita, attribuita dall’art. 1492 cod. civ. al compratore di una cosa affetta da vizi, ha natura di diritto potestativo, (…) ne consegue che la prescrizione dell’azione – fissata in un anno dall’art. 1495, terzo comma, cod. civ. – può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione di domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora, che debbono consistere, per il disposto dell’art. 1219, primo comma, cod. civ., in una intimazione o richiesta di adempimento di un’obbligazione, previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non anche ai diritti potestativi.
Sulla base di quanto così statuito, il supremo Collegio ritiene, quindi, esente da vizi di legittimità la decisione del Giudice del gravame che aveva rigettato la domanda di risoluzione contrattuale, avanzata dall’acquirente di un macchinario agricolo, per non essere stata la stessa proposta nel termine indicato dal codice civile, ovvero un anno dalla scoperta del vizio.
In particolare, la suprema Corte evidenzia che il riconoscimento dei vizi fatto da parte venditrice a seguito del denunciato cattivo funzionamento del bene non possa ritenersi sufficiente a eludere i perentori termini di prescrizione, come invece argomentato dalla difesa del ricorrente, poiché gli interventi effettuati dal tecnico di zona, (…), si riferivano ad altri problemi di funzionamento, tutti risolti, diversi da quelli posti a base dell’azione di risoluzione.
Così ragionando, la Corte di legittimità ritiene anche di escludere la sussistenza degli estremi della consegna di aliud pro alio che si determina qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta (Cass. 10916/11).
Infatti, non essendo il frantoio assolutamente privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, si può affermare che tale censura sia infondata in quanto, alla luce delle risultanze processuali, emerge chiaramente che il macchinario sia idoneo all’uso cui è destinato e presenti una resa estrattiva nella norma, come accertato in ripetute attestazioni sottoscritte in occasione di interventi di verifica, e che pertanto la dispersione di una quantità esigua di olio non possa far ritenere lo stesso inidoneo allo svolgimento delle funzioni sue proprie ma solo modestamente difettoso.
Cassazione civile, sez. II, 19 maggio 2014, n. 10965