Cassazione civile, sez. I, 12 settembre 2018, n. 22218
La delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico che ha dichiarato la nullità del matrimonio concordatario non impedisce la sentenza di divorzio.
«La sentenza di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l’atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi, per cui se, nel relativo giudizio, non sia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio – con il conseguente insorgere delle questioni poste dalla statuizione contenuta nell’art. 8, comma 2, lett. c), dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tra Stato italiano e Santa Sede – non è impedita la delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano e nei limiti di essi (si vedano in questo senso Cass. n. 12989/2012, Cass. n. 3186/2008, Cass. n. 4795/2005).
Questi principi trovano ulteriore conforto nella successiva giurisprudenza di legittimità secondo cui la relazione fra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto si pone, nella Costituzione, nelle Carte Europee dei diritti e nella legislazione italiana, in termini di distinzione, nel senso che i due aspetti dell’istituto giuridico matrimonio hanno ragioni, disciplina e tutela differenti, di modo che il matrimonio-rapporto si distingue dall’atto da cui ha tratto origine avendo una propria autonomia ontologica, cronologica e giuridica (Cass., Sez. Un., n. 16379/2014); se così è rimane vieppiù confermato l’assunto secondo cui la statuizione resa in sede divorzile riguarda l’autonomo ambito del matrimonio rapporto e non involge, ove la questione non sia stata espressamente posta all’interno del thema decidendi, alcun profilo attinente la validità del matrimonio atto da cui il matrimonio rapporto ha avuto origine.
Dunque quella statuizione una volta passata in giudicato non può assumere valenza ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.
D’altra parte, anche per il ripetuto richiamo della corte territoriale a quelle condivise regole che la ricorrente critica senza offrire elementi decisivi atti a giustificare ripensamenti, non è nemmeno ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dato che il vizio di omessa pronuncia va escluso ogni qual volta ricorrano gli estremi di una reiezione implicita, come nel caso di specie, o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. n. 264/2006)»
Cassazione civile, sez. I, 12 settembre 2018, n. 22218