Una madre viene condannata in secondo grado, previa concessione delle attenuanti generiche, a mesi otto di reclusione per il reato di sottrazione di minore disciplinato dall’art. 574 c.p. poiché, dopo aver fatto ritorno al proprio paese d’origine, impediva al coniuge, recatosi presso l’asilo infantile del minore, di visitare il bambino e di tenerlo con sé. La donna ricorre in Cassazione adducendo l’insussistenza della persistenza della condotta antigiuridica posta in essere, necessaria per integrare la fattispecie penale di sottrazione di minore, in quanto il divieto posto nei confronti dell’altro coniuge si sarebbe concretizzato in unico episodio.
In sintonia con la valutazione effettuata dai giudici di merito, per il Supremo Collegio l’episodio accaduto presso la scuola materna frequentata dal bambino, unitamente alle dichiarazioni rilasciate dalla direttrice della scuola a cui l’imputata ha telefonicamente vietato di affidare il bimbo al padre affermando testualmente: “il bambino lo vede solo quando fa comodo a me”, rappresentano circostanze probatorie sufficienti ad integrare la natura permanente del reato ascritto poiché esprimono “la volontà di persistente sottrazione del minore a qualunque contatto con l’altro genitore, per altro già resa manifesta con il ritorno della L. con il bambino nel proprio paese di origine”.
Cassazione penale, sez. VI, 15 maggio 2012, n. 45871