L’asportazione del mobilio da parte del coniuge prima della separazione integra il reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p.; ne consegue l’applicabilità dell’art. 649 comma 1 n. 1 c.p. – che appunto esclude la punibilità se il reato è commesso in danno del coniuge non legalmente separato.
Nel qualificare la condotta di asportazione di beni mobili dalla casa coniugale da parte del marito, la Suprema Corte ha respinto la tesi dell’ascrivibilità alla fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, in forza del disposto di cui all’art. 392, comma 2, c.p. per cui, agli effetti della legge penale, si ha «violenza sulle cose» allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Tuttavia non può ritenersi che la mera asportazione del mobilio sia tale da porsi come causa di danneggiamento, trasformazione sostanziale o modica della destinazione economica dello stesso, né dell’immobile che lo conteneva, in quanto quest’ultimo conserva comunque intatte le proprie connotazioni funzionali così come la destinazione ad uso di civile abitazione, la quale “è connessa alla struttura e alle caratteristiche intrinseche di esso nonché al regime giuridico che lo connota”.
Né il fatto concreto può essere inquadrato all’interno della fattispecie di furto di cui all’art. 624 c.p. in quanto nella fattispecie, il marito, che era rimasto l’unico ad abitare l’appartamento, a seguito dell’allontanamento da parte della moglie, aveva il possesso degli arredi.
Il trasferimento dei mobili dalla casa coniugale in altro appartamento non noto alla moglie, secondo la Corte, rappresenta di fatto un’eccedenza delle facoltà inerenti al possesso (elemento costitutivo del reato di appropriazione indebita), “essendosi l’imputato comportato uti dominus nei confronti degli arredi”.
Ne deriva che l’asportazione del mobilio dalla casa coniugale può al più integrare gli estremi del reato di cui all’art. 646 c.p. (appropriazione indebita), per il quale trova applicazione la causa di non punibilità di cui all’art. 649, c.p., comma 1, essendo il fatto commesso in danno della moglie non ancora legalmente separata.
Cassazione penale, sez. feriali, 18 novembre 2013, n. 46153