Il diritto dell’accusato di farsi assistere gratuitamente da un interprete, se non comprende o non parla la lingua usata in udienza, oltre ad essere già da tempo riconosciuto in varie convenzioni internazionali, è altresì riconducibile alla garanzia costituzionale del diritto di difesa ed al diritto al giusto processo.
Ai fini di un concreto ed effettivo esercizio del proprio diritto alla difesa, così come previsto dall’art. 24 della Costituzione, l’imputato deve infatti poter comprendere, nella lingua da lui conosciuta, il significato degli atti e delle attività processuali.
Inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 111 della Costituzione, la legge assicura che “la persona accusata di un reato […] sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo”.
Sulla scorta di tali prinicipi, considerato che la figura dell’interprete di parte differisce sia dal consulente tecnico di parte (che può essere nominato da chi sia ammesso al patrocinio) sia dall’interprete nominato dal giudice, La Corte Costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 102 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete».
Corte Costituzionale, 6 luglio 2007, n. 254