La pena della reclusione di un detenuto non può essere ridotta, all’atto del suo trasferimento da uno Stato membro verso un altro, in funzione della durata del lavoro svolto in prigione nel primo Stato membro se quest’ultimo Stato non ha concesso, in applicazione del proprio diritto nazionale, una siffatta riduzione della pena.
La decisione quadro che disciplina la questione del trasferimento tra due Stati membri di un condannato a una pena detentiva (Decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europe) pone come regola generale che l’esecuzione di una condanna è disciplinata dal diritto dello Stato membro di esecuzione.
Le autorità di questo Stato sono pertanto competenti a decidere sulle modalità di esecuzione della pena e a determinare le misure collegate, compresa la valutazione dei motivi di un’eventuale liberazione anticipata o condizionale. Inoltre, l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione deve dedurre integralmente il periodo di detenzione già scontato nell’altro Stato membro («Stato membro di emissione»).
La fattispecie riguarda l’esecuzione della condanna di un cittadino bulgaro scontata nella fase iniziale in Danimarca, luogo di commissione del reato, e quindi successivamente in una prigione in Bulgaria.
Il diritto bulgaro prevede che il lavoro svolto dal condannato è preso in considerazione al fine di ridurre la durata della pena, nel senso che due giorni lavorativi equivalgono a tre giorni di detenzione. In base a una sentenza interpretativa pronunciata il 12 novembre 2013 dal Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione bulgara), questa norma di diritto bulgaro si applica anche nel caso in cui un condannato abbia svolto un’attività lavorativa nel corso della sua detenzione in uno Stato membro diverso dalla Bulgaria prima di essere trasferito in Bulgaria per scontarvi la parte restante della pena.
Ai fini del trasferimento del detenuto in Bulgaria, le autorità danesi hanno espressamente dichiarato che la legge danese non consentiva di ridurre la pena detentiva a causa del lavoro svolto durante la reclusione.
Il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia, Bulgaria) ha quindi chiesto alla Corte di giustizia se sia conforme al diritto dell’Unione la norma nazionale che autorizza lo Stato membro di esecuzione (nel caso di specie, la Bulgaria) a concedere al condannato una riduzione della pena in virtù del lavoro svolto durante la sua detenzione nello Stato membro di emissione (nel caso di specie, la Danimarca), quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato non hanno concesso, in applicazione del loro diritto nazionale, una siffatta riduzione della pena.
Secondo la Corte, spetta allo Stato membro di emissione determinare le riduzioni della pena riguardanti il periodo detentivo scontato nel proprio territorio. Solo quest’ultimo è competente a concedere una riduzione della pena per il lavoro svolto prima del trasferimento. Pertanto, lo Stato membro di esecuzione non può sostituire retroattivamente le proprie norme (in particolare, quelle relative alle riduzioni della pena) a quelle dello Stato membro di emissione per quanto concerne la parte della pena già scontata dal detenuto nel territorio dello Stato membro di emissione.
Nel caso di specie, le autorità danesi hanno espressamente dichiarato che la legge danese non consente di ridurre la pena detentiva a causa del lavoro svolto durante la detenzione. Di conseguenza, le autorità bulgare non possono concedere una riduzione della pena sulla parte della pena già scontata in Danimarca. Qualsiasi interpretazione contraria del diritto dell’Unione rischierebbe di pregiudicare gli obiettivi perseguiti da detto diritto (in particolare, il principio del reciproco riconoscimento) e comprometterebbe pertanto la fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei rispettivi sistemi giudiziari.
La Corte ha concluso che il diritto dell’Unione osta a una norma nazionale che autorizza lo Stato membro di esecuzione a concedere al condannato una riduzione della pena a causa del lavoro svolto durante la sua detenzione nello Stato membro di emissione, quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato non hanno concesso, conformemente al diritto di quest’ultimo, una siffatta riduzione della pena.
Nel quadro di questa causa, è stato altresì richiesto alla Corte di decidere in merito agli effetti giuridici delle decisioni quadro.
A questo proposito, la Corte ha constatato che la decisione quadro applicabile nel caso di specie è stata adottata sulla base dell’ex terzo pilastro dell’Unione, segnatamente dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE. In forza di questa disposizione, letta alla luce del protocollo sulle disposizioni transitorie adottato con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, le decisioni quadro non hanno efficacia diretta finché esse non siano state abrogate, annullate o modificate in applicazione del trattato di Lisbona. La decisione quadro applicabile nel caso di specie non è stata oggetto di un’abrogazione, annullamento o modifica di tal genere. Di conseguenza, essa non ha efficacia diretta.
La Corte ha sottolineato parimenti che il giudice nazionale chiamato a interpretare il diritto nazionale è obbligato a farlo, nella maggior misura possibile, alla luce del testo e della finalità della decisione quadro al fine di conseguire il risultato cui la medesima mira. Inoltre, quest’obbligo di interpretazione conforme comprende, per i giudici nazionali, compresi quelli di ultimo grado, quello di modificare eventualmente una giurisprudenza consolidata qualora quest’ultima si basi su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una decisione quadro.
Alla luce di questi principii, la Corte ha concluso che spetta al giudice del rinvio garantire la piena efficacia della decisione quadro, disapplicando se necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione accolta dal Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione bulgara), se quest’interpretazione non è compatibile con il diritto dell’Unione.
Corte di giustizia UE, 8 novembre 2016, C. 554-14