Corte di Cassazione, sez. lavoro, 12 ottobre 2012, n. 17438
Per la prima volta, la giurisprudenza di legittimità si esprime in merito alla dannosità dei telefoni cellulari nonché sulla rilevanza causale tra l’uso continuativo degli stessi e l’insorgenza di una malattia professionale.
L’Inail viene obbligata dalla Corte di Appello di Brescia a corrispondere ad un manager la rendita per malattia professionale prevista per l’invalidità all’80%, a causa dell’insorgenza tumorale nel lavoratore determinata dall’utilizzo del cordless e del telefono cellulare protratto per 12 anni e per 5-6 ore al giorno (trattasi nello specifico di “neurinoma del Ganglio di Gasser”, tumore che colpisce i nervi cranici, in particolare il nervo acustico e, più raramente, come nel caso di specie, il nervo cranico trigemino).
L’Inail ricorre in Cassazione sostenendo che la Corte territoriale aveva fondato la propria decisione sulle conclusioni del CTU, il quale si era basato esclusivamente sugli studi scientifici della sola Hardell group. Tali studi non hanno un sicuro riscontro nella restante comunità scientifica, infatti quest’ultima si pone in una posizione più scettica poiché ritiene che, allo stato attuale, non vi sia una convincente evidenza del ruolo delle radiofrequenze nella genesi dei tumori.
Tuttavia per il Collegio la censura mossa dall’Istituto ricorrente non è meritevole d’accoglimento, in quanto si limita a una critica del convincimento del giudice di merito che si è fondato, per l’appunto, sulla consulenza tecnica esperita dal proprio ausiliare giudiziario, senza indicare le fonti scientifiche in base alle quali avrebbero dovuto ritenersi scientificamente errate le affermazioni rese al riguardo dal CTU e seguite dalla sentenza impugnata.
Secondo l’orientamento consolidato di legittimità “affinché i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che i relativi vizi logico-formali si concretino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni illogiche o scientificamente errate, con il relativo onere, a carico della parte interessata, di indicare le relative fonti, senza potersi la stessa limitare a mere considerazioni sulle prospettazioni operate dalla controparte” (cfr., ex plurimis, Cass., n. 16392/2004; 17324/2005; 7049/2007; 18906/2007).
L’istituto ricorrente rilevava tra l’altro che la Commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica delle malattie, in occasione dell’aggiornamento dell’elenco approvato con D.M. 11 dicembre 2009, non aveva ritenuto di dover includere i tumori dei nervi cranici, indotti da esposizione alle radiofrequenze, tra le malattie di possibile origine professionale.
La Corte rigetta anche tale censura e richiamando principi già esposti in altre decisioni ricorda che “nel caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità… considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con elevato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extra lavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia” (cfr., ex plurimis, Cass., n. 6434/1994; 5352/2002; 11128/2004; 15080/2009). Di conseguenza, al fine di escludere il risarcimento del danno, non è sufficiente che una determinata malattia non sia tabellata o non già riconosciuta dall’Inail: se la patologia viene provata per causa di lavoro, l’Istituto deve provvedere al risarcimento.
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Corte di Cassazione, sez. lavoro, 12 ottobre 2012, n. 17438