AIGA contro il nuovo Codice deontologico forense, che limita pesantemente la presenza online dei legali: niente social, pubblicità vietata, è possibile usare solo domini con proprio nome o quello del proprio studio.
Internet e facebook “vietati” agli avvocati italiani
«rivedere la norma che limita l’uso del web
per promuovere la propria professionalità»
La presidente Giorgi scrive al Consiglio Nazionale Forense: «Un vero bavaglio. Restrizioni anacronistiche che pongono lanostra categoria in una condizione di disparità e svantaggio. E anche il cittadino ci perde»
Niente Web per gli avvocati italiani o, meglio, accesso alla rete in dosi omeopatiche. Il nuovo Codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale Forense, in vigore dal 15dicembre, permette infatti a un legale che voglia dare informazioni sulla propria professione di farlo utilizzando, come recita l’articolo 35, «esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi».
Niente Facebook, niente pubblicità online, paradossalmente anche la presenza su siti come paginegialle.it sembra inbilico.
Stando alla formulazione della norma, sarebbe impossibile, per esempio, che un avvocato o un gruppo di avvocati attivi su Roma presentassero i propri servizi – magari anche offrendo informazioni e aggiornamenti – su un sito dal dominio avvocati-roma.info. E ancora, la norma lascia intendere che un avvocato che cura la propria pagina Facebook professionale (che potrebbe essere per esempio https://www.facebook.com/pages/Studio-Legale-Rossi) offrendo informazioni e aggiornamenti gratuiti utili al cittadino debba ora sospendere questa attività.
Ancora, l’articolo 35 recita che «L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito».
La norma, formulata in modo equivoco, secondo alcuni commentatori vuole impedire l’utilizzo di strumenti di pubblicità online quali Adwords di Google (il più diffuso del genere). «Se davvero questa è la ratio – sottolinea la presidente dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati Nicoletta Giorgi – si tratta di una limitazione ingiustificata e inaccettabile. Questi link a pagamento, se correttamente utilizzati, costituiscono un veicolo lecito per “indirizzare” potenziale clientela verso il proprio sito, che contiene la presentazione dei propri servizi e dei propri titoli. Proprio come accade con qualsiasi inserzione su giornali o con le affissioni, finanche in autobus. Esattamente come un’inserzione su un giornale o una rivista, che ha lo scopo di reindirizzare i clienti verso lo studio del professionista. La disparità di trattamento è tanto evidente quando ingiustificata. Analogo discorso vale anche per i siti dedicati alla ricerca di avvocati (ad es. albonazionaleavvocati.it), che ha lo stesso ruolo degli elenchi cartacei con inserzioni a pagamento (ad es. PagineGialle) ».
«La restrizione dell’utilizzo del web, oltre ad essere un vero bavaglio anacronistico, porrebbe la nostra categoria professionale in una condizione di forte disparità e svantaggio, anche rispetto agli altri colleghi professionisti che non devono sottostare a limiti di scelta degli strumenti con cui veicolare le proprie informazioni», sottolinea Giorgi, che lo scorso 27 ottobre ha inviato una lettera al Consiglio Nazionale Forense con la richiesta di chiarimenti sulla questione.
«Confidiamo che la risposta del CNF sia fondata su una lettura moderna della materia e della realtà in cui i professionisti sitrovano a svolgere la propria attività, in concorrenza anche con studi internazionali che fanno uso massiccio delle nuove tecnologie e degli strumentidi informazione e pubblicità. Diversamente, ostacoli e costi ricadrebbero alsolito sui giovani, impediti ad utilizzare strumenti economici maampiamente diffusivi. Evidentemente ciò che non si conosce fa paura: ma questo limite di chi regolamenta la nostra professione non lo dobbiamo pagare noi», conlude la presidente di Aiga.