Pur con tutte le cautele necessarie, le informazioni statistiche sulla giustizia italiana offrono ormai da molto tempo un quadro di profonda inefficienza. In alcuni settori le lentezze sono più gravi che in altre – nel confronto internazionale è la giustizia civile quella che ci vede in parti-colare difficoltà – ma comunque per nessuno di essi sono modeste.
La lentezza della giustizia civile italiana
L’Italia segna il passo rispetto agli altri paesi avanzati sia dal punto di vista dei tempi, sia, sebbene in misura largamente inferiore, da quello dei costi privati di accesso alla giustizia civile. In questi ultimi mesi il problema del peso dell’inefficienza della giustizia civile sulla crescita dell’economia italiana si è riproposto con particolare forza in sede istituzionale e il ripristino dell’efficienza di questo settore è anche nell’agenda del Governo, come emerge dalle indicazioni del Programma Nazionale di Riforma, presentato, nell’ambito del ciclo di bilancio previsto dal semestre europeo, nel Documento di Economia e Finanza dello scorso aprile.
Rapporto tra processi avviati e numero di abitanti più elevato che in altri paesi
Il primo elemento di cui tenere conto per esaminare questo fenomeno è che l’Italia si caratterizza per un tasso di litigiosità che appare anomalo quando posto a confronto con gli altri paesi europei. Secondo i dati Cepej, nell’anno 2008 l’Italia ha un rapporto processi avviati in materia civile e commerciale/numero di abitanti (4.768) quasi doppio di quello della Francia (2.728), cinque volte superiore a quello della Danimarca (1.090) e quasi dieci volte quello della Svezia (559).
Il secondo aspetto riguarda l’organizzazione dell’amministrazione della giustizia. Nei paesi giuri-dicamente evoluti – dove l’imparzialità del giudice e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla leg-ge sono principi indiscussi e preminenti – la ricerca della correttezza del giudizio si traduce nella garanzia a entrambe le parti in giudizio del diritto di portare all’attenzione del giudice tutte le ar-gomentazioni e le prove a sostegno delle proprie ragioni.
A parità di altre condizioni, quanto più ampie sono le garanzie di questo diritto, tanto più lunghi sono i tempi necessari al giudice per esa-minare la documentazione consegnata e per ascoltare parti e testimoni, più elevata è la spesa che lo Stato deve sostenere per dotare i tribunali di un personale adeguato, e più alti sono i costi privati delle parti, che devono impegnare un difensore legale che segua tutti i dettagli della controversia.
Anche costi pubblici e tempi di giudizio, a parità di altre condizioni, vanno in direzioni opposte: infatti, un’offerta di giustizia superiore alla domanda consentirebbe di risolvere i processi in tempi brevi, ma comporterebbe la sottrazione di risorse ad altri servizi pubblici. I sistemi procedurali adottati nei vari paesi riflettono particolari combinazioni di queste diverse dimensioni. In effetti, dal confronto tra i paesi dell’Unione europea per i quali la dimensione di correttezza del giudizio – se identificata nell’imparzialità del giudice e nel rispetto del contraddittorio – può considerarsi sempre realizzata a un livello elevato, emergono grandi differenze in termini di costi e tempi.
Un primo segnale positivo: rallenta la crescita dei pendenti in primo grado
Secondo i dati raccolti dal Ministero della giustizia, nel 2011 la durata media nei giudizi di appello è stata di 1.032 giorni, con una crescita del 9 per cento rispetto all’anno precedente. Nei tribunali essa si è attestata a 470 giorni (+3,1 per cento), mentre per il caso dei giudici di pace (353 giorni) il peggioramento è stato più marcato (+11,3 per cento). In realtà, tali dati nascondono un segnale positivo: infatti, a seguito di importanti riforme che hanno visto nel 1995 l’introduzione del giudice di pace e nel 1999 del giudice unico di primo grado, nonché di un forte ampliamento dell’organico dei magistrati, il numero di giudizi pendenti di primo grado, che costituiscono la gran parte del contenzioso, aumentato esponenzialmente per oltre un ventennio, ha iniziato a diminuire verso la fine degli anni Novanta per poi restare costante. D’altra parte, è aumentato negli ultimi anni il numero di processi di secondo grado pendenti, il che segnala un preoccupante stato di sofferenza complessiva del sistema giudiziario.
Le azioni di intervento che si sono succedute nel tempo hanno solo di recente, e in misura limita-ta, agito sul lato del contenimento della componente anomala della domanda di giustizia, mentre esse sono state prevalentemente orientate a sostenere il lato dell’offerta, attraverso incrementi di spesa e del numero dei magistrati.
Stabile dagli anni Novanta il numero di magistrati
Il numero di giudici per abitante cresce costantemente dall’inizio degli anni Cinquanta agli anni Novanta quando subisce un incremento deciso (di quasi mille unità), raggiungendo il livello dei 9.000 magistrati in servizio, e quindi si assesta intorno a tale valore. Al 31 dicembre del 2010, secondo i dati del Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato, i magistrati in servizio sono 8.913, distribuiti per circa il 43 per cento al Sud, il 34 per cento al Nord e il 23 per cento al Centro. Su quest’ultimo valore pesano, oltre ai giudici della Corte di Cassazione – istituzione che, pur situata a Roma, si occupa di contenzioso che proviene da tutto il territorio nazionale – anche, per circa 3 punti percentuali, i magistrati momentaneamente fuori ruolo che prestano servizio presso altre istituzioni (quali Consiglio Superiore della Magistratura, Corte Costituzionale, Ministero della giustizia).
Nel confronto internazionale risulta chiaro che l’Italia dispone di un numero di magistrati e di un impiego di risorse finanziarie non inferiore, e talvolta superiore, a paesi che pure mostrano una performance giudiziaria migliore. Questa valutazione non cambia anche considerando le profonde differenze tra gli ordinamenti dei vari paesi. Secondo i dati del Consiglio d’Europa, l’Italia nel 2008 è quinta tra i paesi europei con i maggiori livelli di spesa pubblica per giustizia ed è in linea con la media quanto a dotazione di magistrati per l’esercizio della funzione giudicante; la posizione sale ancora se si includono anche quelli destinati alle procure e all’attività presso il ministero e altre istituzioni.
Inefficienze organizzative della giustizia italiana: tribunali troppo piccoli
Le principali inefficienze dal lato dell’offerta non appaiono, quindi, dovute alla scarsità delle risorse impegnate, quanto piuttosto ad altri problemi di natura organizzativa. In particolare, un’analisi econometrica svolta su dati Istat e Ministero della giustizia, porta a concludere che – pur in presenza di qualche strozzatura territoriale nell’allocazione dei magistrati tra le varie aree geografiche – il principale elemento di inefficienza dell’offerta di giustizia in Italia risiede nella presenza di economie di scala non sfruttate nell’attività degli uffici giudiziari.
Le ragioni di tale situazione sono diverse (come la gestione delle assenze del personale sia giudicante che di supporto), ma appare evidente che una eccessiva frammentazione degli uffici non consente di sfruttare le economie di specializzazione nell’attività dei magistrati, cosa che viene invece realizzata nelle sedi di maggior dimensione. Nei piccoli tribunali, infatti, dove il giudice si occupa delle questioni più disparate, in materia sia civile che penale, la produttività è più bassa.
Le analisi rivelano anche che l’introduzione del giudice unico (che nel 1998, disponendo la fusione di preture e tribunali, ha determinato un aumento della dimensione media degli uffici giudiziari) ha comportato un primo recupero di efficienza: se nel 1996 circa l’89 per cento delle pre-ture e l’87 per cento dei tribunali era al di sotto della dimensione ottimale, nel 2001 tale quota è scesa al 72 per cento, un valore comunque molto elevato.
Un maggiore recupero di efficienza sembra essere stato impedito dal non aver accompagnato l’introduzione del giudice unico con una revisione della distribuzione geografica dei tribunali, che appaiono troppo diffusi sul territorio e di dimensione troppo contenuta per essere efficienti. L’eccessivo numero di sedi, d’altra parte, trova conferma anche dal confronto internazionale: secondo i dati del Consiglio d’Europa, in Italia gli abitanti serviti da una corte di prima istanza sono mediamente 55.000, la metà che in Francia, in Germania e nel Regno Unito.
Articolo tratto da: ISTAT Istituto nazionale di statistica