É noto che, in forza del contratto di agenzia, una parte (l’agente) assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra parte (il preponente) e verso una retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.
La retribuzione dell’agente è normalmente commisurata a provvigioni, ovvero in percentuale sul fatturato procurato al preponente mediante la stipulazione dei contratti promossi dall’agente.
Tuttavia, la legge stabilisce che il diritto dell’agente alla provvigione si configura solo con riguardo agli affari che hanno avuto regolare esecuzione, se l’affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all’agente in proporzione alla parte eseguita. Nulla spetta all’agente per il caso in cui l’affare da lui promosso non abbia avuto alcuna esecuzione.
Poteva altresì accadere che nei contratti di agenzia venisse inserita una clausola contenente il patto dello “star per credere”. Tale accordo prevedeva che, nel caso di affari non andati a buon fine, l’agente non solo non percepisse alcuna provvigione ma fosse tenuto a sopportare in parte le perdite conseguentemente subite dal preponente e ciò a prescindere dal fatto che la mancata esecuzione dell’affare fosse dipesa o meno da dolo o colpa dell’agente.
È evidente che tramite tale patto il preponente aveva modo di trasferire, almeno in parte, il rischio d’impresa in capo all’agente.
Al fine di limitare tale trasferimento del rischio d’impresa l’art. 6 dell’accordo collettivo 20 giugno 1956 reso efficace “erga omnes” con d.P.R. n. 145 del 1961 dispose che l’agente potesse essere obbligato a rispondere delle perdite subite dal preponente per gli affari non andati a buon fine solo fino al 20% del danno subito dal preponente stesso ovvero fino al limite inferiore derivante dalla più favorevole disciplina prevista dai successivi accordi collettivi del settore.
Sul punto intervennero altresì due pronunce della Cassazione sezione lavoro (sent. 12879/1999 e 3902/1999). La Corte di Cassazione dichiarò la nullità parziale del patto dello star del credere, nella parte in cui fosse prevista la responsabilità dell’agente in misura superiore al 20%.
La suprema Corte ebbe altresì modo di precisare che la parziale nullità del patto dovesse essere affermata qualunque fosse lo strumento negoziale utilizzato dalle parti per stipulare il patto dello star per credere. A diverse conclusioni non si sarebbe potuti pervenire neppure qualora il patto fosse stato correlato alla generica violazione degli obblighi imposti all’agente dall’art. 1746 c.c..
Tale norma prevedeva genericamente che l’agente fosse tenuto ad adempiere l’incarico affidatogli in conformità alle istruzioni ricevute, oltre a dover fornire al preponente ogni informazione utile per valutare la convenienza di ciascun affare e, in particolare, le informazioni relative alle condizioni del mercato nella zona assegnatagli. In altri termini la violazione di questi obblighi non avrebbe potuto in ogni caso legittimare il risarcimento dei danni conseguentemente subiti dal preponente in misura superiore a quella consentita dal citato accordo collettivo.
Oggi lo star del credere è stato abolito integralmente e quindi anche la produzione giurisprudenziale citata è superata dal dato normativo. L’art. 28 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 h riformulato il comma 2 dell’art. 1746, c.c. ed ha aggiunto un ulteriore comma per cui «È vietato il patto che ponga a carico dell’agente una responsabilità, anche solo parziale, per l’inadempimento del terzo. È però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell’agente, purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati; l’obbligo di garanzia assunto dall’agente non sia di ammontare più elevato della provvigione che per quell’affare l’agente medesimo avrebbe diritto a percepire; sia previsto per l’agente un apposito corrispettivo».