FATTO
Con sentenza n. 10 del 2002 il Tribunale di Cosenza condannò V. A. per il reato di cui all’art. 314 c.p. A seguito della comunicazione da parte dell’ufficio territoriale del Governo di Catanzaro del dispositivo della sentenza, il Presidente del Consiglio dei ministri dispose con decreto 15 febbraio 2002, la sospensione dell’A. dalla carica. Il Consiglio regionale, con deliberazione del 19 febbraio 2002, pubblicata nel bur il 16 marzo 2002 provvide alla sua temporanea sostituzione, nell’esercizio della funzioni di consigliere regionale, con Mario Albino Gagliardi.
Con atto depositato il 13 aprile 2002 l’A. e Francesco Cosentini – questi, come cittadino elettore iscritto nella liste elettorali del Comune di Castrolibaro – proposero ricorso sia avverso la deliberazione in data 19 febbraio 2002 del Consiglio ragionale della Calabria con cui si era provveduto alla temporanea sostituzione dell’A.; sia avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che aveva disposto la sospensione dell’A. dalla carica di consigliere regionale.
A sostegno del ricorso dedussero:
– che la sospensione e la sostituzione erano illegittime, in quanto, per effetto del disposto di cui all’art. 274 d.lgs. 18 giugno 2000 n. 267, erano stata abrogate tutte le disposizioni di legge (art. 1 l. 18 gennaio 1992 n. 16; artt. 12 e 4 l. 12 gennaio 1994 n. 30; l. 13 dicembre 1999 n. 475) con cui era stato introdotto nel corpo dell’art. 15 l. 19 marzo 1990 n. 55, l’istituto della sospensione dalla carica di consigliere regionale a seguito di sentenza di condanna non definitiva per il reato di cui all’art. 314, primo comma, c.p.;
– che la tesi dell’avvenuta abrogazione era stata contenuta anche in un parere reso dall’aerea legislativa e dalla Presidenza della Regione Abruzzo;
– che l’intervenuta abrogazione delle norme relative alla “incandidabilità”, intelligibilità e sospensione dalla carica dei consiglieri regionali era comprensibile alla luce della l. cost. n. 1 del 1999 e del novellato testo dell’art. 122 Cost., con cui erano stati attribuiti alla disciplina della legge regionale il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità ed incompatibilità del presidente, degli altri componenti della giunta regionale e dei consiglieri regionali;
– che l’illegittimità del provvedimento derivava anche dalla violazione dell’art. 7 l. 7 agosto 1999 n. 241, non avendo l’Amministrazione dato comunicazione all’A. dell’avvio del procedimento amministrativo diretto alla sospensione dalla carica;
– che la sospensione poteva essere disposta nei soli casi di sentenza non definitiva di condanna per il reato di cui all’art. 314, primo comma, c.p., mentre nella specie il provvedimento di sospensione non specificava se la norma applicata riguardasse il primo o il secondo comma, e la stessa sentenza penale non conteneva riferimenti puntuali.
Rilevarono, inoltre, che, comunque, l’art. 1 l. 475-99 (se non abrogato) doveva ritenersi costituzionalmente illegittimo:
– in relazione agli artt. 1, 3, 48, 51, e 117 Cost., per la maggiore severità del regime normativo vigente per i consiglieri regionali rispetto a quello previsto per i parlamentari nazionali, con riferimento all’ineleggibilità, decadenza e sospensione previste dall’art. 15 l. 55-90;
– per il diverso trattamento normativo delle cause di “incandidabilità” e di quelle relative alla sospensione delle funzioni, essendo le prime limitate ad ipotesi di condanna passata in giudicato e di misura di prevenzione definitiva;
– in relazione al nuovo testo dell’art. 122 Cost., con cui si era attribuito un autonomo potere legislativo alle regioni in materia elettorale.
Si costituì la Regione Calabria, che eccepì preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per decorso del termine di trenta giorni previsto dall’art. 82 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 470 e l’inammissibilità dell’azione popolare proposta dal Cosentini, questa essendo consentita in casi tassativi non ricorrenti nella fattispecie ed a tutela di interessi generali. Nel merito contestò l’abrogazione della norma applicata e la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Si costituirono anche la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Gagliardi, che eccepirono la tardività del ricorso e, nel merito, contrastarono le argomentazioni dei ricorrenti.
Con sentenza 30 maggio 2002 il Tribunale di Catanzaro rigettò il ricorso.
La Corte territoriale, adita in sede di impugnazione dall’A. e dal Cosentini in via principale, e, in via incidentale, dalla Regione, costituitosi il contraddittorio col Gagliardi, contumace la Presidenza del consiglio, con sentenza in data 1 marzo 2003 rigettò gli appelli.
La Corte, sulla dedotta inammissibilità del ricorso proposto dall’A., osservò che l’art. 82 d.p.r. 570-60, richiamato dall’art. 9-bis, dettato in materia di decadenza dalla qualità di consigliere e applicabile analogicamente in tema di sospensione temporanea dalla carica, prevedeva la proposizione dell’impugnativa entro trenta giorni dalla data finale della pubblicazione della deliberazione (ovvero dalla data di notificazione), e che il provvedimento di sospensione disposto dalla Presidenza del consiglio dei ministri, necessitava, per esplicare efficacia nei confronti del destinatario, di un provvedimento consequenziale da parte del consiglio regionale, il cui intervento (previsto dall’art. 15, comma 4-ter l. 55-90) trovava giustificazione nei principi di autogoverno dell’assemblea elettiva degli enti territoriali.
Sulla eccepita inammissibilità del ricorso Cosentini, considerò, poi, che era consentita un’interpretazione estensiva della norma che regola l’azione popolare, questa essendo prevista sia in materia di eleggibilità che di decadenza, ed essendo il contenzioso elettorale strumento preordinato alla tutela degli interessi pubblici ed esteso ad ogni componente della comunità di riferimento.
Nel merito rilevò:
– che l’unica interpretazione possibile e coerente col disposto dell’art. 274 d.lgs. 267-2000 era l’attuale vigenza dell’istituto della sospensione, il dato letterale contenuto, in particolare, nella lettera p) di quella norma avendo fatto salvi l’art. 15 l. 55-90 per i consiglieri regionali e le disposizioni previste per gli amministratori regionali;
– che il provvedimento di sospensione dalla carica, avendo natura cautelare, escludeva l’obbligo della comunicazione prevista dall’art. 7 l. 55-90;
– che la serie di condotte descritte nel capo di imputazione, contenuta nel decreto che aveva disposto il giudizio, si riconducevano alla fattispecie di cui all’art. 314, primo comma, c.p., il reato contestato riguardando l’appropriazione di somme appartenenti alla P.A. ottenute a titolo di anticipazione;
Infine, disattese le questioni di legittimità costituzionale della normativa (art. 1 l. 415 del 1999) in tema di sospensione dei consiglieri regionali, ritenendo non equiparabile il trattamento di questi a quello dei parlamentari nazionali; e detta normativa non in contrasto col nuovo art. 122 Cost., alla stregua dell’art. 5 della legge che aveva modificato la norma costituzionale predetta, disponendo la vigenza in via transitoria delle leggi ordinarie.
Avverso questa pronuncia l’A. e il Cosentini hanno proposto ricorso par cassazione con tre motivi, sollevando con gli ulteriori tre motivi altrettante questioni di legittimità costituzionale della norma applicate. Al ricorso hanno resistito il Gagliardi e la Regione Calabria. Quest’ultima ha proposto ricorso incidentale in base a due motivi, cui i ricorrenti principali hanno resistito con controricorso.
DIRITTO
1. Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti, si sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Nell’ordine logico devono essere esaminati, preliminarmente, il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, in quanto entrambi ripropongono in questa sede la questione, di carattere pregiudiziale ed assorbente, della (in)ammissibilità dei ricorsi introduttivi del giudizio davanti al Tribunale di Catanzaro.
2.1. Col primo motivo la Regione, denunciando la violazione degli artt. 9-bis e 82 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, deduce la tardività del ricorso proposto dall’A. con atto depositato il 13 aprile 2002, sul rilievo che questi avrebbe dovuto promuovere l’azione, a norma dell’art. 82 d.p.r. 570-1960, entro trenta giorni dalla notifica (effettuata personalmente allo stesso A. il 18 febbraio 2002) del decreto del Presidente del consiglio dei ministri che aveva accertato la causa della sospensione, ovvero dal giorno (19 febbraio 2002) in cui il Consiglio regionale ne aveva disposto la sostituzione, non rilevando la data di pubblicazione sul b.u.r..
Il motivo non ha fondamento.
Il quadro normativo di riferimento, in base al quale occorre verificare l’ammissibilità (o non) del ricorso introduttivo a suo tempo proposto dall’A. davanti al Tribunale di Catanzaro, è il seguente.
L’art. 9-bis d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570 (t.u. sulla composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), abrogato dall’art. 274, comma 1, lett. e) del d.lgs. 8 agosto 2000 n. 267, fatta salva l’applicabilità agli amministratori regionali, ai sensi dell’art. 19 l. 17 febbraio 1968 n. 108, richiama per i relativi giudizi i termini stabiliti dall’art. 82.
L’art. 82 (come sostituito dall’art. 1 l. 23 dicembre 1966 n. 1147) dispone che le deliberazioni adottate in materia di eleggibilità possono essere impugnate da qualsiasi cittadino elettore o da chiunque vi abbia interesse con ricorso, che deve essere depositato entro trenta giorni dalla data finale di pubblicazione della deliberazione ovvero dalla data della notificazione, quando sia necessaria.
L’art. 15 l. 19 marzo 1990 n. 55 (contenente nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza mafiosa), stabilita (comma 4-bis) la sospensione di diritto dalle cariche di consigliere regionale di coloro che abbiano riportato condanna non definitiva per il delitto previsto dall’art. 314, primo comma, c.p., dispone che il relativo provvedimento giudiziario è comunicato al commissario del Governo il quale ne dà comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri per l’adozione del provvedimento che accerta la sospensione.
Il provvedimento è, poi, notificato al competente consiglio regionale per l’ adozione dei conseguenti adempimenti di legge.
L’art. 16-bis l. 17 febbraio 1968 n. 108 (recante norme per la elezione dei consigli regionali delle Regioni a statuto normale), inserito dall’art. 3 l. 12 gennaio 1994 n. 30, stabilisce, infine, che, nel caso di sospensione di un consigliere ai sensi dell’art. 15, comma 4-bis, l. 19 marzo 1990 n. 55, il consiglio nella prima udienza successiva alla notificazione del provvedimento di sospensione da parte del commissario del governo e comunque non oltre trenta giorni dalla predetta notificazione procede alla temporanea sostituzione (…).
Dal coordinamento di queste disposizioni si evince, alla stregua di un’interpretazione sistematica del quadro normativo, che il giudizio elettorale si pone come un giudizio di impugnazione delle delibera adottate dall’assemblea elettiva e che, quindi, l’atto oggetto dell’impugnazione è la delibera del consiglio regionale, concretamente lesiva dell’interesse del consigliere sospeso.
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha stabilito che nella fattispecie il termine di trenta giorni, previsto per la proposizione del ricorso, decorreva dalla pubblicazione sul b.u.r. della delibera stessa. La Corte d’appello ha, infatti, esattamente rilevato che il provvedimento, col quale si è accertata la sospensione, necessitava, per esplicare efficacia nella sfera del destinatario, di un provvedimento ulteriore ad esso consequenziale, riservato dalla legge, in conformità ai principi di autogoverno delle assemblee elettive degli enti territoriali, al consiglio regionale, tenuto ad adottare i conseguenti adempimenti di legge.
2.2. Col secondo motivo, denunciata la violazione delle stesse disposizioni indicate nel primo motivo, la Regione deduce l’inammissibilità dell’azione popolare proposta dal Cosentini, in quanto essa, non essendo prevista in materia di sospensione, non sarebbe applicabile in via di analogia.
Anche questo motivo non ha fondamento.
L’art. 82 del d.p.r. 1960 n. 570 prevede che le deliberazioni adottate in materia di eleggibiilità (….) possono essere impugnate da qualsiasi cittadino elettore (…). L’espressione adottata dal legislatore (in materia di eleggibilità) è tale da comprendere anche le ipotesi di sospensione. Trattasi, quindi, come hanno esattamente sottolineato i giudici del merito, di un’interpretazione estensiva, conforme alla ratio del sistema che regola il contenzioso elettorale. In questa materia l’ordinamento configura, infatti, una legittimazione diffusa e fungibile (cfr. anche l’art. 70 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, t.u. ordinamento degli enti locali), in funzione dell’interesse pubblico alla regolare composizione ed al retto funzionamento degli organi collegiali degli enti pubblici territoriali, che trova la sua ragione d’essere nell’opportunità di utilizzare l’iniziativa di qualsiasi cittadino elettore, diretta ad eliminare eventuali illegittimità verificatosi in materia di elettorato amministrativo (cfr. Cass. S.U. 23 febbraio 2001, n. 73, in motiv.).
3. Col primo motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 274 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. sull’ordinamento degli enti locali), e lamentano che il giudice a quo non abbia considerato che detta norma avrebbe abrogato l’art. 1 l. 475 del 1999 (contenente modifiche all’art. 15 l. 19 marzo 1990 n. 55 e succ. mod., sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso), mediante l’introduzione dei commi 4-bis e 4-ter l. 55-90. Con la conseguenza che nessun provvedimento avrebbe potuto essere adottato in materia di sospensione, essendo state abrogate le disposizioni che avevano introdotto la sospensione dalla carica di consigliere regionale, a seguito di condanna non definitiva per il reato di cui all’art. 314, comma primo, c.p. A sostegno della propria tesi richiama un parere espresso sulla questione nell’ambito della Regione Abruzzo.
Il motivo non ha fondamento.
L’art. 274 del d.lgs. 267-2000, nell’abrogare la legge 13 dicembre 1999, n. 475, ha fatto espressamente salve le disposizioni ivi previste per gli amministratori regionali (lett. rr): espressione comprensiva anche dei consiglieri regionali. Infatti, dalla puntuale indicazione delle norme espressamente abrogate dal citato art. 274, risulta chiaramente che il legislatore, nel separare la normativa istituzionale sugli enti locali da quella sulle regioni a statuto ordinario, ha inteso riunire e coordinare le norme sulla sospensione, sulla decadenza, sulla incompatibilità e sulla ineleggibilità dei consiglieri comunali e provinciali, inserendole nel nuovo testo unico e abrogando le disposizioni nelle quali essa erano contenute; ha lasciato, tuttavia, ferme quelle sulla sospensione, sulla decadenza, sull’incompatibilità e sulla ineleggibilità dei consiglieri regionali.
La insostenibilità della tesi proposta dai ricorrenti emerge, inoltre, dal rilievo che (come ha osservato la resistente) l’art. 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (t.u. in materia di ordinamento degli enti locali) non ha conferito al Governo alcuna delega in materia di legislazione relativa all’ordinamento regionale, e, in particolare, allo status dei consiglieri regionali, alla causa di ineleggibilità, sospensione e decadenza. Sicché la tesi stessa, comportando l’abolizione dell’istituto della sospensione di diritto del consigliere regionale già prevista dal sistema, risulterebbe comunque in contrasto con la carta costituzionale (art. 76).
4. Col secondo motivo del ricorso principale i ricorrenti – deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241-90, nonché insufficienza di motivazione in ordine al mancato invio all’A. della prescritta comunicazione in conseguenza dell’avvio del procedimento di sospensione dalla carica – lamentano che la sentenza impugnata non abbia considerato che le uniche ipotesi in cui può essere omesso l’avvio del procedimento sono indicate nell’art. 13 l. 241 cit.
La censura è infondata.
L’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, contenente norme in materia di procedimento amministrativo, prevede la comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, con le modalità di cui al successivo art. 8, ai soggetti nei cui confronti il procedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ad a quelli che per legge devono intervenirvi, ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso. Resta, poi, salva la facoltà di adottare provvedimenti cautelari.
Come ha già chiarito la giurisprudenza, nell’ambito del procedimento elettorale le particolari esigenze di celerità che escludono l’applicabilità degli art. 7 ed 8, sussistono in re ipsa (cfr. Cons. St. sent. nn. 111 e 112 del 29 gennaio 1996). Infatti, la necessità e l’urgenza di provvedere sono correlate all’esigenza di garantire il regolare funzionamento degli organi elettivi e costituiscono la ratio della normativa sui procedimenti elettorali.
Legittimamente, quindi (anche a prescindere dal carattere rigidamente vincolato, conseguente alla pronuncia di condanna, del decreto emesso nella fattispecie dal Governo, a norma dell’art. 15 l. 55-90) non è stata data comunicazione all’A. dell’avvio del procedimento.
5. Col terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 15 l. 55-1990 e insufficienza di motivazione, lamentano la indeterminatezza del provvedimento di sospensione adottato, in quanto questo e la sentenza cui esso faceva riferimento non conterrebbero un puntuale riferimento al primo comma dell’art. 314 c.p., al quale, per legge è correlata l’adozione del provvedimento stesso.
Il motivo è palesemente infondato.
Come ha osservato la Corte d’appello, nel dispositivo della sentenza penale di condanna l’A. è stato dichiarato colpevole del reato ascritto al capo a) dell’imputazione contenuta nel decreto che aveva disposto il giudizio; imputazione che, anche se si limitava a richiamare l’art. 314 c.p. senza alcuna ulteriore specificazione formale, descriveva una serie di condotte tutte riconducibili alla fattispecie di cui al primo comma dell’art. 314 c.p. Ed anche il provvedimento di sospensione emesso dal Governo conteneva il riferimento al capo a) dell’imputazione – indicato pure nel dispositivo della sentenza di condanna – con la compiuta descrizione dei fatti contestati.
Non sussistono, dunque, le denunciate violazioni di legge e i vizi di motivazioni dedotti.
6. I ricorrenti con gli ulteriori motivi ripropongono anche in questa sede la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 475-99, in relazione, nell’ordine:
(a) agli artt. 1, 3, 48, 51 e 117 Cost., con riferimento alle cause di ineleggibilità, decadenza e sospensione previste nel vigente sistema per i consiglieri regionali, lamentando disparità di trattamento normativo tra eletti delle assemblee elettive nazionali e consiglieri regionali, specie in relazione al nuovo testo dell’art. 117 Cost.;
(b) agli artt. 1, 3, 49 e 51 Cost., per il diverso trattamento normativo delle cause di sospensione dalle funzioni rispetto a quelle di incandidabilità, avendo il legislatore ridotto ai soli casi di condanna passata in giudicato o di misura di prevenzione definitiva i presupposti di ineleggibilità e quindi di incandidabilità;
(c) infine, agli artt. 3, 76, 117 e 122 Cost., risultando invasa la sfera di autonomia regionale da parte del legislatore nazionale, a seguito dell’attribuzione alle Regioni della potestà legislativa del sistema elettorale e della regolamentazione dei casi di ineleggibilità.
Le censure non hanno alcun fondamento.
Sub (a), si osserva che, come è stato rilevato dai giudici del merito, la Corte costituzionale si è già pronunciata sulla questione prospettata, dichiarandola infondata, avendo ritenuto ragionevole un trattamento differenziato di titolari di cariche elettive non nazionali rispetto ai componenti di organi costituzionali nazionali (sent. 20 ottobre 1992, n. 407).
Recentemente, il giudice delle leggi ha avuto modo di riesaminare la problematica anche alla luce delle modifiche introdotte al capo V della costituzione, sancendo la specificità del Parlamento nazionale e delle relative funzioni rispetto alla Regione e a quelle svolte dai consiglieri regionali (sent. 12 aprile 2002, n. 106); specificità che, secondo la Consulta, si traduce in un vero e proprio divieto per i Consigli regionali di appropriarsi del nome Parlamento, attesa la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale. Alla stregua delle argomentazioni della Corte costituzionale è, dunque, da escludere che nell’attuale assetto costituzionale sia configurabile la equiparazione tra Parlamento e Consigli regionali, sottesa alla tesi dei ricorrenti.
Sub (b), è sufficiente osservare che la questione prospettata investe appieno la discrezionalità del legislatore, che si sottrae a qualsiasi valutazione di irragionevolezza, in relazione alla diversità delle finalità proprie della sospensione (temporanea e cautelare) rispetto alle cause di incandidabilità.
Infine, sub (c), si rileva che, come ha già sottolineato la sentenza impugnata, la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 ha attribuito alla competenza legislativa regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri regionali. Ma la stessa legge ha stabilito che, fino all’entrata in vigore delle nuove leggi elettorali regionali, l’elezione dei Consigli regionali è effettuata secondo le leggi elettorali vigenti (art. 5). in questo senso dispone, del resto (dettando un principio cui può attribuirsi valenza di carattere generale), anche l’art. 1, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (contenente disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), secondo cui le norme statali vigenti nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi in ciascuna Regione, fino all’entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia (…).
Tutte le eccezioni di illegittimità costituzionale devono, pertanto, ritenersi manifestamente infondate.
7. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Valutato l’esito della lite, il Collegio ravvisa giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
8. In relazione ad una richiesta formulata nel corso della discussione dalla difesa dei ricorrenti, occorre, infine, rilevare che nel giudizio davanti alla Corte di cassazione il presidente del collegio non deve procedere alla lettura in udienza del dispositivo della sentenza che decide sul ricorso.
Infatti, l’ultimo comma dell’art. 82 del d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570 (nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147) prevede per il giudizio di cassazione soltanto l’obbligo della immediata pubblicazione della sentenza, imponendo, quindi, la sollecita definizione della controversia, senza l’osservanza dei termini ordinatori fissati dall’art. 120 disp. att. c.p.c. per la redazione della motivazione (cfr. Cass. S.U. 10 agosto 1991, n. 8744).
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso il 13 ottobre 2003 nella camera di consiglio della prima Sezione civile.
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2003.