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Home » Sentenze » Cassazione civile, sez. I, 25 settembre 2017, n. 22272

Cassazione civile, sez. I, 25 settembre 2017, n. 22272

Avv. Gianluca LancianodiAvv. Gianluca Lanciano
18 Ottobre 2020
inSentenze, Commerciale Fallimentare
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Cassazione civile, sez. I, 25 settembre 2017, n. 22272

FATTI DI CAUSA
1. M.M., O. e C., avvocati, impugnano il decreto App. Firenze 18.10.2012, in R.G. 392/2012, con cui è stato respinto il loro reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato preventivo della società B.T.P. Costruzioni Generali S.P.A. (società), reso da Trib. Prato con provvedimento 8.5.2012, cr. 843, rep. 100095.
2. Ritenne la corte d’appello di dover confermare la insussistenza delle condizioni per la revoca del concordato ovvero per la non omologazione, sulla premessa che: a) l’impugnazione era ammissibile, in quanto proposta nei 30 giorni dalla comunicazione via fax del primo decreto; b) ai reclamanti andava negata la legittimazione, non avendo acquisito il rango di creditori dissenzienti, per non aver votato in adunanza; c) in ogni caso, non erano emersi Né l’occultamento fraudolento di passività Né l’erronea rappresentazione della situazione debitoria tale da alterare il consenso dei creditori sul piano o la relativa modifica; d) in particolare, non poteva integrare la radicale inadeguatezza del piano la mera allegazione di un credito (nella specie, di natura professionale e per oltre 11 milioni di Euro) non esposto nella domanda dalla società ovvero sottovalutato o diversamente qualificato, tanto più che esso risultava già giudizialmente contestato dalla debitrice concordataria e secondo censure oggetto di delibazione di non manifesta infondatezza e la circostanza era stata resa nota ai creditori; d) inoltre, la proposta non impegnava in modo vincolante il debitore ad una percentuale data di soddisfacimento, Né appariva incisa in modo grave dalla somma richiesta dai reclamanti, stante l’elevato passivo, pari a circa 545 milioni in chirografo e 80 milioni di Euro in privilegio, a fronte di un attivo stimato per 250, così come pari giudizio era emesso quanto al credito di altro professionista, pari a 195 mila Euro, omesso dall’attestatore e non rilevato dal commissario ovvero a crediti degli stessi reclamanti sorti durante la procedura e richiesti per 136 mila Euro in più rispetto alla somma “ammessa dai commissari”.
3. Il ricorso è su sette motivi, ad esso resiste la società con controricorso e ricorso incidentale condizionato su un motivo, cui resistono i ricorrenti con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene dedotta la violazione della L. Fall., art. 180, comma 2, avendo erroneamente la corte escluso l’ammissibilità dell’opposizione in capo ai reclamanti perché non creditori dissenzienti espressi.
2. Con il secondo motivo si censura la violazione della L. Fall., art. 161, comma 2, lett. b), art. 173, comma 3, e art. 180, comma 3, ove la corte non ha rilevato la mancanza di corrispondenza alla realtà effettuale dell’elenco dei creditori, con difetto di informazione dei creditori e vizio conseguente del piano.
3. Con il terzo e quarto motivo si deduce che la corte non ha considerato i presupposti della causa di prelazione spettante al credito professionale vantato dai ricorrenti, errando nell’apprezzamento delle circostanze introdotte nel giudizio.
4. Con il quinto e sesto motivo si espongono vizi di motivazione quanto al carattere professionale del rapporto fra i deducenti e la società, nonché la limitata portata delle mere trattative, con uno solo di essi, intercorse sulla determinazione dei compensi per alcuni incarichi.
5. Con il settimo motivo si denuncia il vizio della L. Fall., art. 173, sul punto dell’omessa qualificazione siccome frode della mancata enunciazione dei crediti professionali da parte della debitrice.
6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, il controricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 183,artt. 739 e 742 bis c.p.c., posto che il reclamo andava proposto nei 10 giorni previsti per i procedimenti camerali e non nei 30, come effettuato nel caso, con rimessione alle Sezioni Unite semmai per risoluzione del contrasto sul punto.
7. Va in primo luogo respinta l’eccezione con cui i ricorrenti, in sede di replica ex art. 378 c.p.c., sollevano la questione del conflitto di interesse in capo ai liquidatori del concordato B., I. e R., coincidenti con le stesse persone già nominate commissari giudiziali; si tratta invero di censura per la prima volta, oltre che irritualmente, prospettata avanti al giudice di legittimità, per essa non individuando gli impugnanti con quale completezza e tempestività l’allegato vizio sia stato già introdotto avanti al giudice di merito; Né si può accedere - sulla base della tardiva rappresentazione della circostanza - ad un rilievo officioso, posto che è vero che questa Corte ha statuito che “la nomina a liquidatore della persona già nominata commissario giudiziale collide comunque con il requisito - di cui al combinato disposto della L. Fall., art. 182, comma 2, e art. 28, comma 2, che il liquidatore sia immune da conflitti di interessi, anche potenziali, situazione conflittuale che si verifica invece nel caso in cui, quale quello di specie, nella persona del liquidatore si cumulino la funzione gestoria con quella di sorveglianza dell’adempimento del concordato, di cui all’art. 185, primo comma, della legge fallimentare“ (Cass. 1237/2013); ma si è anche deciso che “deve ritenersi che qualora la nomina a liquidatore del commissario giudiziale non sia stata oggetto di contestazione e l’attività sia stata conseguentemente svolta non possa negarsi al liquidatore il compenso per l’attività svolta” (Cass. 4458/2016), secondo un principio più generale di presunzione di legittimità dell’attività comunque svolta che, nella specie, si correla anche alla omessa deduzione di specifica decisività della circostanza ai fini dell’interesse al ricorso in rapporto agli altri vizi denunciati, non apparendo oltretutto sussistere alcun chiaro nesso tra la prospettata preterizione dei crediti degli istanti, quale assunta nella pronuncia del tribunale (e semmai solo indirettamente riferibile a condotta dei commissari giudiziali) e la duplicità di operazioni in carico ai professionisti con la nomina anche a liquidatori.
8. Quanto ai motivi, osserva invero il Collegio che il provvedimento della corte toscana enuncia due rationes decidendi, parimenti affrontate in ricorso e peraltro con portata convergente, ciò rendendo necessario, per l’eventuale cassazione, che entrambe possano essere utilmente ritenute erronee (Cass. 9061/2017), esito che va invero escluso.
9. Il primo motivo è infatti fondato, in quanto questa Corte segue l’indirizzo, cui prestare adesione, per cui “in tema di legittimazione alla opposizione nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, la locuzione “qualunque interessato”, prevista dalla L. Fall., art. 180, comma 2, non è necessariamente riferibile soltanto a soggetti diversi dai creditori, essendo invece suscettibile di comprendere i creditori non dissenzienti, quali coloro che non abbiano votato favorevolmente alla proposta per non aver preso parte all’adunanza fissata per il voto, o perché non convocati o, ancora, perché non ammessi al voto o, infine, perché astenuti; tali soggetti, infatti, prospettano l’interesse diretto e attuale al giudizio per contrastare l’omologazione, in riferimento al trattamento loro riservato, al di là e in aggiunta a chiunque altro, a qualunque titolo, abbia interesse ad opporsi all’omologazione” (Cass. 13284/2012).
10. La citata prospettazione di interesse attuale e concreto al giudizio - che peraltro non parifica per intero tali soggetti agli opponenti abilitati al cram down, secondo un titolo più specifico ai sensi e per i fini della L. Fall., art. 180, comma 4, (Cass. 2227/2017) - si rinviene dunque nella posizione di chi, come i ricorrenti, abbia fatto constare in adunanza, e sia pur astenendosi dal voto, una posizione non adesiva alla proposta, tanto più che “la legittimazione ad impugnare il decreto di omologazione del concordato preventivo discende unicamente dall’avere assunto l’impugnante la qualità di parte in senso formale nel giudizio di cui alla L. Fall., art. 180, ed essere ivi rimasto soccombente, così prescindendo dalla prova dell’effettiva esistenza del credito, che, potendo essere accertato “incidenter tantum” in sede concorsuale, non richiede il previo accertamento con efficacia di giudicato.” (Cass. 3954/2016). In questo senso la sentenza non è condivisibile.
11. Il secondo motivo è inammissibile, la doglianza risolvendosi in fatto nella contestazione operata dagli organi della procedura circa entità e rango dei crediti professionali esposti dai ricorrenti ed oggetto di non riconoscimento, ai fini del voto, se non per misure più ridotte, a fronte di un giudizio di accertamento negativo condotto in via delibativa ai sensi della L. Fall., art. 176, prima e poi ripetuto nel giudizio di omologazione e nel susseguente reclamo. Il decreto allega elementi puntuali che sorreggono dunque la motivazione, tra cui, oltre al giudizio di accertamento negativo promosso, un accordo definitorio preventivo e la dubitata imputabilità allo studio associato anziché ai singoli, nonché soprattutto - in via assorbente e decisiva, punto non sormontato dalla deduzione impugnativa - la considerazione espressa dalla corte per cui i crediti vantati non avrebbero evidenziato “un’incidenza particolarmente significativa sul totale del passivo”. Tale ultima precisazione determina l’inammissibilità del terzo motivo, posto che la corte ha raffrontato anche quel passivo ipotetico all’attivo stimato, evidenziandone una correlazione di capienza rispetto ai beni censiti e dunque smentendo ogni influenza sulla fattibilità giuridica del concordato stesso.
12. Il quarto, il quinto e il sesto motivo, da trattare congiuntamente per connessione, sono inammissibili, mirando essi a sovvertire le risultanze dell’apprezzamento di fatto condotto dal giudice di merito e dunque proponendosi un aggiramento del principio per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014, Cass. 21257/2014).
13. Il settimo motivo è inammissibile, posto che, per un verso, la discrasia tra le entità e i ranghi dei crediti vantati dai ricorrenti non ha rinvenuto già nell’attività degli organi concorsuali un corrispondente accoglimento, ciò incrinando ogni predicato di posta passiva scoperta e taciuta al fine di provocare un’alterazione informativa in capo ai creditori, ai sensi della lezione corrente sulla L. Fall., art. 173 (Cass. 25165/2016). Per altro verso, dalla pronuncia emerge infatti che la debitrice non ha occultato tali crediti, ma li ha anzi contestati giudizialmente. Si tratta di circostanze che escludono la rilevanza della categoria della frode, già in punto di decisività non prefigurabile secondo la corte, alla stregua delle citate operazioni di incidenza di tale attivo dubitato sull’attivo stimato.
14. Il mancato accoglimento del ricorso principale quanto ai motivi dal secondo al settimo determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato e, poiché del ricorso principale va dunque accolto solo il primo motivo, ma senza effetti di cassazione, va disposta la condanna alle spese dei ricorrenti in via principale secondo la regola della soccombenza e liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 10.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017

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