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Home » Sentenze » Cassazione civile, sez. I, 13 ottobre 2021, n. 27903

Cassazione civile, sez. I, 13 ottobre 2021, n. 27903

RedazionediRedazione
21 Marzo 2022
inSentenze, Famiglia Successioni
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Cassazione civile, sez. I, 13 ottobre 2021, n. 27903

FATTI DI CAUSA

1. Con lettera raccomandata in data 28 luglio 1989, spedita a s.g., Si.Gi., S.G. e S.F., figli germani nati dal matrimonio tra S.A. ed D.L.I., S.E. - premesso di essere una loro sorella consanguinea - manifestava la sua volontà di accettare l'eredità paterna, essendo il comune genitore, S.A., deceduto il (omissis). Alla missiva faceva seguito un atto di citazione, notificato ai quattro fratelli S. in data 7 settembre 1990, con il quale S.E. - affermando di essere nata il (omissis) dal matrimonio contratto a (omissis), tra S.A. e C.C.S., chiedeva l'accertamento della sua qualità di erede legittima del defunto S.A., lo scioglimento della comunione dei beni relitti e la conseguente attribuzione della propria quota ereditaria.
1.1. Il Tribunale di Belluno, con sentenza del 7 giugno 2010, accoglieva le domande tutte proposte dall'attrice. La Corte d'appello, adita in sede di gravame dai fratelli S., con ordinanza del 10 aprile 2012, sospendeva il giudizio divisorio, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio pregiudiziale di disconoscimento della paternità di S.E., intanto proposto - in separata sede - dagli appellanti.
1.2. Nelle more della decisione del giudizio divisorio, con atto di citazione notificato il 23 gennaio 2009, Si.Gi., S.G. e S.F. avevano, invero, proposto, dinanzi al Tribunale di Napoli, azione di disconoscimento della paternità di S.E. in capo ad S.A., ai sensi dell'art. 246 c.c.. Costituitasi la convenuta, il Tribunale adito, con sentenza n. 12181/2012, del 12 novembre 2012, dichiarava gli attori decaduti dalla proposizione dell'azione di disconoscimento di paternità, condannandoli al pagamento delle spese del giudizio.
2. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 2275/2015, depositata il 20 maggio 2015, rigettava il gravame proposto da S.S. e D.F.N., quali eredi di Si.Gi., nonché da S.G. e S.F., confermando in toto l'impugnata sentenza, e condannando gli appellanti alle spese del secondo grado del giudizio. La Corte rilevava - per quel che ancora interessa in questa sede - che gli istanti avevano proposto l'azione di disconoscimento, ai sensi dell'art. 246 c.c., solo nel gennaio 2009, sebbene la morte del padre si fosse verificata nel lontano 1987, ed ancorché l'esistenza della sorella S.E. fosse ad essi nota fin dal 28 luglio 1989, data della suddetta missiva che portava tale fatto a loro conoscenza. Il giudice di secondo grado ribadiva, pertanto, la decadenza degli appellanti dalla proposizione dell'azione.
3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso S.S. e D.F.N., quali eredi di Si.Gi., S.G. e S.F., nei confronti di S.E., affidato ad un solo motivo, illustrato con memoria. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria.
4. Con ordinanza interlocutoria, n. 22812/2020, depositata il 20 ottobre 2020, la Corte ha disposto la trattazione del giudizio in pubblica udienza. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, S.S., D.F.N., S.G. e S.F. denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 246 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Si dolgono i ricorrenti del fatto che la Corte d'appello abbia erroneamente ravvisato una disomogeneità, sul piano strutturale, tra la fattispecie prevista dall'art. 244 c.c., che concerne il disconoscimento del figlio da parte del presunto padre, e quella dettata dall'art. 246 c.c., che ha ad oggetto il disconoscimento da parte degli altri discendenti (o ascendenti), nel caso in cui il presunto padre sia morto senza avere promosso l'azione di disconoscimento di paternità, ma senza essere incorso in nessuna decadenza per avvenuto decorso del termine annuale ex art. 244, c.c..
1.1.1. Nella prima fattispecie, tale ultima norma, al comma 2 nel testo applicabile ratione temporis (ora comma 3), prevede che il termine di un anno per il disconoscimento da parte del presunto padre decorre dal giorno del suo ritorno, se - al momento della nascita - era assente dal luogo in cui è nato il figlio, ovvero, "dal ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano". A meno che il medesimo non provi "di non avere avuto notizia della nascita in detti giorni", nel qual caso "il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia".
1.1.2. Nella seconda fattispecie, il termine di un anno decorre ai sensi dell'art. 246 c.c., comma 1 - "dalla morte del presunto padre (...) o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo, o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti".
1.2. Orbene, la Corte territoriale - ad avviso degli istanti avrebbe erroneamente ritenuto che, nel caso concreto, trattandosi di azione di disconoscimento di paternità trasmessa agli eredi, ai sensi dell'art. 246 c.c., il termine per costoro decorra "dalla morte del presunto padre o dal momento successivo nel quale abbiano avuto notizia della nascita del figlio" (sentenza di appello, p. 16).
1.3. Per converso, sostengono i ricorrenti che il termine, per gli eredi del defunto presunto genitore, non potrebbe decorrere dal momento successivo alla morte di quest'ultimo in cui i medesimi abbiano avuto notizia della nascita del figlio, dal momento che tale riferimento temporale non è affatto contemplato dalla norma dell'art. 246 c.c.. Ne' potrebbe tale termine decorrere dalla morte del presunto padre, "trattandosi di circostanza del tutto neutra ad ingenerare la conoscenza dell'evento. Ed invero, laddove la norma discorre di un "nuovo termine" annuale, che presuppone che il precedente concesso al padre non si sia del tutto compiuto, esso non potrebbe che decorrere - al pari di quello previsto per il presunto padre - dal ritorno dei soggetti legittimati nel luogo di nascita del figlio del cui disconoscimento si tratta, ovvero nel luogo della residenza familiare, come previsto dall'art. 244 c.c., accompagnato dalla notizia - ivi ricevuta - della nascita del presunto figlio.
E ciò in quanto - trattandosi di trasmissione di un diritto del padre ai suoi discendenti - il due requisiti congiunti della conoscenza e del ritorno non potrebbero non applicarsi anche a questi ultimi.
1.4. Ebbene, nel caso di specie, pur avendo i germani S. avuto notizia dell'esistenza di una presunta sorella fin dal 1989, i medesimi non avrebbero mai avuto contatti con la città di Cercola, luogo di nascita di S.E., né si sarebbero mai recati nell'ultima residenza familiare, ubicata nella città di Cuneo. Per il che, il termine per l'azione di disconoscimento della paternità non avrebbe per i medesimi - ma neppure per il genitore, che la stessa Corte d'appello non ha considerato decaduto dall'azione, tanto da porsi il problema della decorrenza del termine per gli eredi - mai iniziato a decorrere, non avendo né il dante causa né i suoi discendenti mai fatto ritorno nel luogo di nascita della presunta figlia e sorella, e neppure nel luogo di residenza della famiglia.
2. Il motivo è infondato.
2.1. La vicenda trae origine dalla nascita della odierna controricorrente, S.E., in (omissis), dall'unione matrimoniale - stando a quanto accertato nei due gradi del giudizio di merito, e riportato nell'esposizione delle ragioni di fatto della decisione di appello - tra S.A. e C.C.S., contratta in (omissis). I coniugi si erano peraltro separati, con decreto di omologa emesso dal Tribunale di Padova in data 27 ottobre 1947, ed avevano, dipoi, ottenuto il divorzio, pronunciato con sentenza del 30 agosto 1972.
Secondo le allegazioni di S.E. - riportate dall'impugnata sentenza - il S. e la C. avrebbero, tuttavia, continuato a frequentarsi anche dopo la separazione legale sebbene la seconda si fosse trasferita fin dal 1941 a Napoli, ed ancorché il primo avesse intrapreso una relazione con D.L.I., poi perfezionata con il matrimonio, dalla quale sono nati i figli s.g., Gi., G. e F. - e da tale estemporanea unione sarebbe nata l'odierna controricorrente S.E..
2.2. Quest'ultima - prima di intraprendere il succitato giudizio divisorio, a seguito del decesso di S.A., avvenuto il (omissis) - aveva, peraltro, inviato ai quattro presunti fratelli, in data 29 luglio 1989, una missiva nella quale rivelava di essere una loro sorella consanguinea, essendo tutti figli di madri diverse, ma dello stesso padre. Seguiva da parte dei germani S. - ma solo con citazione notificata in data 23 gennaio 2009, e dopo che il processo divisorio, relativo all'eredità di S.A., era stato sospeso in grado di appello per pregiudizialità del giudizio successivamente incardinato - la proposizione di un'azione di disconoscimento di paternità di S.E. in capo ad S.A., che si concludeva in entrambi i gradi non declaratoria di inammissibilità dell'azione, poiché proposta ben oltre il termine annuale di decadenza previsto dal combinato disposto degli artt. 244 e 246 c.c..
2.3. Tanto premesso, va rilevato che la Corte d'appello ha fondato la conferma della pronuncia di primo grado sulla considerazione che, per quanto concerne il disconoscimento di paternità da parte del presunto padre, la decorrenza del termine di un anno, ai sensi dell'art. 244 c.c., comma 2, richiede la sussistenza del "doppio presupposto della presenza del padre nel Comune di nascita del figlio (ovvero del suo successivo ritorno nel Comune di nascita o di residenza) e la conoscenza della nascita". La presenza o il ritorno - ad avviso della Corte - farebbero presumere ma si tratterebbe di presunzione iuris tantum - la conoscenza della nascita, fatta salva la prova contraria "di avere acquisito tale conoscenza in un momento successivo". Non sarebbe, sufficiente, per contro, "la conoscenza che egli abbia avuto della nascita prima del suo ritorno", essendo tale accadimento, ossia il ritorno, imprescindibile ai fini della decorrenza del termine.
Il necessario concorso dei due presupposti si desumerebbe, invero, con chiarezza - ad avviso del giudice di secondo grado - dal disposto dell'art. 244, comma 2 (ora comma 3), laddove prevede che la conoscenza della nascita rileva di per sé - a prescindere dal ritorno - solo quando, nonostante il rientro nel luogo della nascita (o nella residenza familiare), il presunto padre non sia venuto a conoscenza della nascita stessa (p. 11).
2.4. E tuttavia, la stessa Corte territoriale non ha mancato di rilevare che la ratio legis, che richiederebbe in ogni caso - a suo parere - il doppio requisito della conoscenza della nascita e del ritorno, "a causa della maggiore difficoltà, per chi è lontano, di indagare sulle circostanze della nascita, consultarsi sulle modalità della tutela giurisdizionale esperibile, procurarsi i mezzi di prova", come affermato da un risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, se adeguata ai tempi dell'emanazione del codice del 1942, non lo sarebbe più all'attualità. Dovrebbe tenersi conto, invero, dell'"enorme progresso dei mezzi di comunicazione (di persone e di dati), che ha radicalmente mutato il concetto di "lontananza" e rivoluzionato la possibilità e le modalità di acquisire informazioni, esperire indagini, procurarsi mezzi di prova ed organizzare la difesa in giudizio" (p. 12).
In tal senso deporrebbero, del resto, altre decisioni che smentendo la diversa impostazione, secondo cui il ritorno nel luogo di nascita (o di residenza familiare), da parte del presunto padre, sarebbe un presupposto indefettibile ai fini della decorrenza del termine per il riconoscimento, non superabile da una precedente conoscenza della nascita - hanno affermato che qualsiasi notizia, pur se assunta durante una temporanea ed occasionale presenza in detti luoghi, ed in qualsiasi modo fornita, è sufficiente a consentire il decorso del termine suindicato.
2.5. Ne discenderebbero, ad avviso della Corte territoriale, non infondati sospetti di incostituzionalità della norma di cui all'art. 244 c.c., comma 2 (ora comma 3), nella parte in cui farebbe decorrere il termine, in ogni caso, anche dal presupposto del ritorno del padre, senza prevedere che "si possa dare la prova che il padre abbia saputo della nascita nonostante la sua lontananza dal luogo di nascita e comunque prima del suo ritorno, così più ragionevolmente ancorando il termine di decadenza alla sola notizia della nascita". Ferma restando la presunzione, iuris tantum, di conoscenza della nascita, nel caso di presenza del presunto padre nel luogo in cui l'evento si è verificato, o in caso di ritorno in tale luogo o in quello della residenza familiare.
2.6. Nondimeno, la considerazione che, nel caso di specie, l'azione di disconoscimento è stata proposta dai figli di S.A. - senza che quest'ultimo sia incorso in decadenza, come è incontroverso, nulla avendo rilevato la Corte d'appello al riguardo, essendosi occupata specificamente della decorrenza del termine per i discendenti del de cuius - ha indotto il giudice di seconda istanza a ritenere la questione di costituzionalità irrilevante per il giudizio in corso. E ciò sul presupposto che l'art. 246 c.c., non diversifica, a differenza dell'art. 244, la decorrenza del termine, a seconda che i legittimati al disconoscimento si trovassero nel luogo della nascita, o altrove, o vi fossero successivamente tornati. Per i discendenti del defunto padre, pertanto, il termine annuale decorrerebbe "dalla morte del presunto padre o dal momento successivo nel quale abbiano avuto notizia della nascita del figlio" (p. 16).
2.7. Premesso tutto quanto precede, deve ritenersi che la conclusione cui è pervenuta la Corte d'appello sia del tutto condivisibile, anche se la motivazione deve essere corretta, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 4.
2.8. Va rilevato, al riguardo, che l'azione proposta nel caso di specie dai ricorrenti rientra senza dubbio nella previsione dell'art. 246 c.c., nel testo vigente ratione temporis che, peraltro, nel caso di morte del presunto padre (che rileva nel caso di specie) contiene una previsione sostanzialmente identica a quella risultante dalla novella introdotta dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.
2.8.1. Orbene, non può revocarsi in dubbio che la titolarità dell'azione di disconoscimento di paternità, spettante - nella specie al marito, viene, alla morte di lui, trasmessa a titolo derivativo, nonostante il suo contenuto non patrimoniale, ai suoi discendenti o ascendenti, onde nei confronti di costoro si applica tutta la normativa concernente l'originario titolare (Cass., 12/06/1975, n. 2342). Il che presuppone - come esattamente affermato dai ricorrenti, le cui conclusioni sul punto non sono, tuttavia, condivisibili, per le ragioni che si esporranno - la corretta determinazione della decorrenza del termine per il disconoscimento con riferimento all'originario titolare.
2.8.2. A tal riguardo, va rilevato che una parte della giurisprudenza di questa Corte si è orientata - con specifico riferimento al testo applicabile ratione temporis dell'art. 244 c.c., ma l'affermazione si attaglia anche al nuovo testo, introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, stante la sostanziale identità al precedente sul punto che interessa - nel senso che, a norma dell'art. 244 c.c., il termine di decadenza per proporre l'azione di disconoscimento di paternità non decorre nei confronti del marito, lontano dal luogo di nascita al tempo in cui questa e avvenuta, prima del suo ritorno in detto luogo e per tutto il tempo in cui l'assenza perduri. A tal fine non rileverebbe, infatti, la circostanza che egli abbia avuto conoscenza di tale nascita in un momento anteriore, e ciò a causa della maggior difficolta, per chi e lontano, di indagare sulle circostanze della nascita, consultarsi sulle modalità della tutela giurisdizionale esperibile, procurarsi i mezzi di prova (Cass., 28/05/1980, n. 3500; conf. Cass., 23/12/1977, n. 5727; Cass., 14/04/1986, n. 2603, secondo cui per la determinazione del concetto di "lontananza", può assumersi a base il criterio della ripartizione del territorio in distinti enti locali).
E tuttavia, i profili di inattualità di siffatta interpretazione, posti in evidenza dalla Corte d'appello, si palesano del tutto condivisibili, anche se la ragione decisiva per pervenire al superamento di tale impostazione deve ritenersi ancorata a profili di interpretazione della norma, dei quali in prosieguo si dirà.
2.8.3. In senso contrario, del resto, altra parte della giurisprudenza di legittimità ha valorizzato il requisito della "conoscenza effettiva" acquisita dal marito della nascita del figlio che intende disconoscere, pur se attinta nel corso di un temporaneo e fugace ritorno nel luogo di nascita, magari al solo fine di concordare una separazione legale dal coniuge, ed a prescindere, dunque, da un ritorno significativo, in quanto tendenzialmente stabile e durevole.
Si e', per vero, affermato al riguardo che, in tema di azione di disconoscimento della paternità da parte del marito (art. 244 c.c., comma 2), la dichiarazione della madre di nascita del figlio, appresa dal marito in occasione di un suo ritorno, anche se temporaneo, nel luogo di nascita del figlio medesimo - ancorché tale dichiarazione venga effettuata in occasione del giudizio di separazione personale, al fine di ottenere dal marito un contributo per il mantenimento del figlio - integra quella notizia della nascita avuta al momento del ritorno nel luogo di nascita del disconoscendo, idonea a far decorrere il termine annuale per la proposizione dell'azione di disconoscimento. Tale momento non può, per vero, essere spostato a quello successivo in cui il marito ottiene l'estratto dell'atto di nascita dal quale risulti a lui attribuita la paternità, in quanto la legge fa decorrere il termine dalla "mera notizia", che è sufficiente ad onerare l'attore delle ulteriori indagini per accertare la sussistenza degli altri presupposti per l'esercizio dell'azione (Cass., 18/01/1993, n. 595; Cass., 30/06/1969, n. 2382).
2.8.4. Ebbene, tale ultimo indirizzo evidenzia un dato fondamentale che va ulteriormente precisato, ed il cui corretto rilievo elide anche i dubbi di costituzionalità adombrati dalla sentenza impugnata.
2.8.4.1. L'errore nel quale è incorso il giudice di appello e', infatti, di avere ritenuto quale presupposto indefettibile per la decorrenza del termine per la proposizione dell'azione di disconoscimento di paternità, da parte del presunto padre, il fatto che quest'ultimo - se non presente nel luogo della nascita - vi sia successivamente ritornato, cui andrebbe aggiunto l'ulteriore presupposto che il medesimo abbia avuto ivi contezza, ossia nel luogo della nascita, stante l'espressione "in detti giorni", contenuta nell'art. 244 c.c., comma 2 (ora comma 3), del fatto della nascita stessa. Solo se, in caso di ritorno nel luogo di nascita (o di residenza familiare) il presunto padre non abbia acquisito tale conoscenza, ed abbia fornito la prova di siffatta circostanza, il termine annuale per il disconoscimento decorrerebbe dal momento, successivo, in cui questa conoscenza sia stata effettivamente acquisita.
2.8.4.2. Senonché, siffatta interpretazione oblitera un dato essenziale, costituito dal fatto che la locuzione "in detti giorni" non va riferita soltanto al "giorno del ritorno" nel luogo della nascita o della residenza familiare, ma altresì al "giorno della nascita", nel quale egli non si trovava in loco, giorno del pari menzionato nella norma succitata. La norma dell'art. 244, comma 2 (ora comma 3) va, dunque, interpretata nel senso che il termine decorre dal giorno in cui il marito (padre presunto) ha avuto effettiva notizia della nascita, se egli prova di non averne avuto notizia nei giorni suindicati, della nascita o del suo ritorno. Il che equivale a dire che, nella considerazione della norma, il ritorno nel luogo in cui si è verificato tale evento è alternativo, e non costituisce un presupposto indefettibile per la decorrenza del termine, a quello della nascita, e vale esclusivamente al fine di consentire al presunto padre una più agevole conoscenza che, tuttavia, il medesimo ben può acquisire aliunde, o nel giorno della nascita (se presente), o in qualsiasi altro modo sia riuscito ad attingere tale notizia.
2.8.4.3. E' evidente, dunque, che il sistema si incentra sulla "conoscenza effettiva" che l'avente diritto al disconoscimento abbia dell'avvenuta nascita di un figlio, del quale intenda disconoscere la paternità. Tale conclusione è stata, in qualche modo, posta a fondamento delle decisioni summenzionate, secondo le quali qualsiasi ritorno, anche assolutamente fugace, e qualsiasi forma di notizia idonea a trasmettere siffatta conoscenza comportano la decorrenza del termine annuale ex art. 244 c.c..
In tal senso si e', peraltro, espressa ancora più chiaramente un'altra - condivisibile - pronuncia, secondo la quale il termine di decadenza di un anno per l'azione di disconoscimento della paternità comincia a decorrere, ai sensi dell'art. 244 c.c., comma 2, dal giorno della nascita del figlio, qualora l'attore si trovava nel luogo della nascita nel momento in cui ebbe a verificarsi tale evento, oppure dal suo ritorno nel luogo di nascita del figlio o nel luogo della residenza familiare. In ogni altra ipotesi, non essendo operante alcuna presunzione di conoscenza, il termine incomincia a decorrere dal giorno in cui l'attore ha avuto notizia della nascita, con la conseguenza che viene a gravare sulla parte che ha eccepito la decadenza l'onere di provare che l'azione di disconoscimento è stata proposta dopo il decorso del termine (Cass., 05/08/1987, n. 6716).
2.9. La conclusione suesposta - oltre ad elidere gli adombrati profili di incostituzionalità, che deriverebbero da una normativa che può apparire, se interpretata come ha fatto la Corte di merito, affetta da palese irragionevolezza - evita, altresì, di incorrere in una palese lesione dei principi posti a presidio delle previsioni legislative di termini di decadenza, tanto più - come ha giustamente evidenziato il Procuratore Generale - in una materia delicata e che richiede certezze come quella della filiazione.
2.9.1. Per un verso, l'interpretazione che si intende propugnare e', invero, in linea con la previsione di cui all'art. 2935 c.c., applicabile anche con riferimento alla decadenza (Cass., 27/08/1991, n. 9151) - secondo la quale la decorrenza del termine (di prescrizione o di decadenza), il cui decorso determina l'estinzione del diritto, opera dal momento nel quale il diritto stesso può essere fatto valere. E tale momento - nel caso concreto - è da individuarsi, senza ombra di dubbio, nel momento della conoscenza effettiva della nascita del figlio, anche se precedente al ritorno nel luogo di nascita, ed anche se - come nella specie - tale ritorno non venga neppure effettuato.
2.9.2. Per altro verso, va osservato che i termini di decadenza per l'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità concorrono, unitamente ai casi in cui tale azione è consentita, a definire l'ambito nel quale il disconoscimento di paternità è esperibile e, con esso, a delineare il punto di equilibrio tra verità biologica e certezza dello "status" come presuntivamente attribuito. Tali termini afferiscono, pertanto, a materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass., 16/03/2007, n. 6302; Cass., 11/02/2000, n. 1512).
Ebbene, proprio in quanto trattasi di materia indisponibile dalle parti, queste ultime non potrebbero essere arbitre della decorrenza del termine per il disconoscimento della paternità, come accadrebbe laddove si postulasse, in uno alla conoscenza della nascita, anche il ritorno nel luogo in cui tale evento è avvenuto o nel luogo della residenza familiare. E' fin troppo evidente, infatti, che - in caso di mancato ritorno - il termine in parola non inizierebbe mai a decorrere, con intuitivo - ed inammissibile - pregiudizio per la certezza dello status filiationis.
2.10. Quanto detto con riferimento all'azione di disconoscimento della paternità si applica anche, per le ragioni suesposte, al diritto al disconoscimento trasmesso dal presunto padre ai discendenti (o agli ascendenti), trattandosi di trasmissione del diritto a titolo derivativo.
Nel caso di mancato esercizio del disconoscimento da parte del padre, che non sia tuttavia incorso in decadenza, i discendenti o ascendenti avranno a disposizione un termine di durata pari a quella fissata per l'originario titolare defunto, ai sensi dell'art. 246 c.c., la cui decorrenza, dovendo privilegiarsi la conoscenza effettiva quale momento in cui il diritto può essere fatto valere, si avrà dal momento della morte del presunto padre (o madre), solo se a tale data i medesimi siano già a conoscenza della nascita. In caso contrario, il termine per l'azione di disconoscimento decorrerà dalla conoscenza dell'evento che i discendenti o ascendenti abbiano in qualsiasi modo acquisito, a prescindere dalla loro presenza o ritorno nel luogo della nascita. In tal senso, si è - per vero - affermato che il termine di decadenza, di cui all'art. 246 c.c., per il disconoscimento della paternità di un figlio, deve intendersi decorrere dal giorno in cui i suddetti legittimati all'azione abbiano avuto notizia della nascita (Cass., n. 2342/1975).
3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
4. La complessità e novità delle questioni giuridiche affrontate rende opportuna una compensazione integrale delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone, ai sensi delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2021

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