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Home » Civile e procedura civile » Cassazione civile, sez. I, 20 marzo 2009, n. 6864

Cassazione civile, sez. I, 20 marzo 2009, n. 6864

RedazionediRedazione
20 Marzo 2009
inCivile e procedura civile, Sentenze
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Fatto

1. Con sentenza n. 1647/05 del 13 aprile 2005 la Corte di appello di Roma accoglieva l’appello proposto da L.F. nei confronti di S.C., avverso la sentenza del (OMISSIS), con la quale il Tribunale di Roma aveva dichiarato la separazione personale dei suddetti coniugi, ponendo a carico del L. un assegno di Euro 350,00 da corrispondere alla S. a titolo di mantenimento, con decorrenza dalla domanda. Con la menzionata sentenza la Corte territoriale escludeva il diritto della S. a percepire dal L. l’assegno di mantenimento e dichiarava l’obbligo della stessa S. di restituire al L. tutte le somme a tale titolo indebitamente ricevute, dalla domanda di separazione fino alla pubblicazione della sentenza di appello, con gli interessi legali.
2. A fondamento della decisione, la Corte di merito – premesso che il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto della S. all’assegno di mantenimento, ritenendo che sussistesse a favore del marito uno squilibrio tra le posizioni economiche dei coniugi e che tale squilibrio derivasse dalla circostanza che, pur essendo i coniugi stessi liberi professionisti, svolgendo il primo attività di medico dentista e la seconda quella di medico nucleare, il L. risultava proprietario di quattordici immobili, mentre la moglie era priva di qualunque proprietà immobiliare, ed avesse comunque dimensioni tali da non consentire alla moglie di mantenere con i suoi soli mezzi il medesimo tenore di vita di cui aveva goduto durante la convivenza matrimoniale, protrattasi per circa sette anni – osservava che il confronto tra le complessive posizioni delle parti, esteso dai redditi da lavoro al patrimonio immobiliare, poneva in evidenza una sostanziale parità delle potenzialità economiche dei coniugi, in quanto il maggior reddito da lavoro della S. era bilanciato dalle proprietà immobiliari del solo L., che tuttavia non raggiungevano il numero di quattordici immobili, come ritenuto nella sentenza di primo grado, essendo prevalentemente costituite da beni pertinenziali, e consistevano comunque in unità abitative di non rilevante pregio, ad esclusione dell’immobile destinato a residenza familiare. Di conseguenza la sostanziale parità economica dei coniugi escludeva il diritto della S. all’assegno di mantenimento e comportava, tento conto della natura non alimentare dell’assegno imposto dal primo giudice, il diritto dell’appellante a ricevere in restituzione le somme già versate all’appellata sulla base di un titolo riconosciuto inesistente.
3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.C. sulla base di due motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso L.F..

Diritto

1. Con il primo motivo la S. – denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – censura la sentenza impugnata, nella parte in cui i giudici di appello hanno escluso il suo diritto all’assegno di mantenimento.
Al riguardo la ricorrente deduce che:
1.1. la sentenza di secondo grado è assolutamente evasiva sul tenore di vita goduto dai coniugi nel periodo della convivenza matrimoniale, mentre, per quanto riguarda la disparità economica dei coniugi, erroneamente i giudici di appello si sono basati solo sui dati risultanti dalle dichiarazioni dei redditi depositate dal L. – affermato medico dentista, la cui attività sembrerebbe produrre redditi modesti e falcidiati dai costi di gestione, in assoluta controtendenza con il notorio andamento del settore – ritenute veritiere e probanti, sebbene esse costituiscano prova solo nei confronti della pubblica amministrazione, esclusivamente sulla base dei dati numerici in esse riportati, anziché tenendo conto del contesto e degli altri elementi di valutazione disponibili;
1.1.1. la Corte di merito ha inoltre disatteso la tesi della rilevante capacità economica del L. – desunta dalla circostanza che egli è proprietario di svariati immobili – sulla base di una relazione tecnica di parte, priva di efficacia probatoria, ma costituente semplice allegazione difensiva di carattere tecnico; i giudici di appello hanno altresì trascurato completamente le controdeduzioni difensive dell’appellata in ordine alla verosimile percezione da parte del marito di redditi non risultanti dalle dichiarazioni fiscali, ma comprovati dall’elevato tenore di vita da lui condotto, non accogliendo neppure la richiesta di espletare d’ufficio indagini volte ad accertare l’effettiva capacità economica del L. e rese necessarie dalle contestazioni mosse alla documentazione prodotta dal marito, alla stregua del disposto della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, la cui disciplina si estende anche alla separazione dei coniugi e prevede un meccanismo di collegamento automatico tra contestazione della documentazione versata in atti ed espletamento di indagini suppletive, nella specie espressamente richieste e non disposte dal giudice senza alcuna valida spiegazione.
1.2. Il motivo è privo di fondamento.
Questa Corte ha già più volte affermato, con costante giurisprudenza, che al coniuge cui non sia addebitabile la separazione spetta, ai sensi dell’art. 156 c.c., un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione – identificato avendo riguardo allo ‘standard’ di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, di natura sia reddituale che patrimoniale – sempre che non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione e che sussista una differenza di reddito tra i coniugi (Cass. 2004/20638; 2055/6712; 2006/14840).
La Corte di appello di Roma – nell’affermare, con apprezzamento delle circostanze di fatto sorretto da idonea motivazione, immune da vizi logici, che il confronto tra le complessive posizioni delle parti, esteso dai redditi da lavoro al patrimonio immobiliare, poneva in evidenza una sostanziale parità delle potenzialità economiche dei coniugi, in quanto il maggior reddito da lavoro della S. era bilanciato dalle proprietà immobiliari del solo L., peraltro prevalentemente di carattere pertinenziale o prive di particolare pregio, e che di conseguenza tale sostanziale parità di condizioni economiche escludeva il diritto della S. all’assegno di mantenimento – si è uniformata al principio sopra enunciato, facendo riferimento, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non soltanto ai redditi derivanti dalle attività professionali rispettivamente svolte dai coniugi e risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, ma anche alle complessive disponibilità patrimoniali del L., da tali dati traendo elementi di valutazione del complessivo tenore di vita dei coniugi prima della separazione. I giudici di appello hanno anche dato conto – con plausibile argomentazione, peraltro neppure specificamente contestata dalla ricorrente – della differenza esistente a favore della S. tra i redditi derivanti dalle attività professionali dei coniugi, osservando che il L., quale medico dentista, deve sostenere costi di produzione per la necessaria organizzazione del suo studio professionale, funzionale allo svolgimento della propria attività, mentre la S., medico nucleare, svolge consulenze professionali presso cliniche private romane, dove si avvale delle costose e sofisticate attrezzature nella disponibilità delle strutture sanitarie presso le quali opera, senza accollarsi alcun costo per la produzione del proprio reddito.
1.3. Quanto alla doglianza della ricorrente – secondo la quale la Corte di appello, disattendendo, senza alcuna valida spiegazione, la richiesta da lei formulata di espletare d’ufficio indagini volte ad accertare l’effettiva capacità economica del L. e rese necessarie dalle contestazioni mosse alla documentazione prodotta dal marito, alla stregua del disposto della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, la cui disciplina si estenderebbe anche alla separazione dei coniugi e prevederebbe un meccanismo di collegamento automaticoo tra contestazione della documentazione versata in atti ed espletamento di indagini suppletive – osserva il collegio che l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche (Cass. 2005/10344; 2006/9861). Di conseguenza l’eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti (Cass. 2008/16575). Nel caso di specie, la Corte di merito, valorizzando gli elementi documentali a disposizione, e in particolare i dati catastali dei beni immobili di proprietà del L., anche alla stregua dei chiarimenti contenuti nella relazione tecnica allegata dall’appellante – correttamente valutata, quindi, come mera allegazione difensiva di carattere tecnico (Cass. 1997/8240; 2006/20821) e non come mezzo di prova, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente – e tenendo conto, sulla base di logiche argomentazioni (come già rilevato in precedenza), delle differenze esistenti tra i redditi da attività professionali goduti dai due coniugi, ha ritenuto sufficiente il quadro probatorio emerso dalle risultanze processuali, anche in considerazione della mancata contestazione da parte della S. in ordine alla complessiva consistenza del patrimonio immobiliare del L., con conseguente implicito giudizio di superfluità di ogni indagine di carattere suppletivo.
1.4. Le ulteriori censure svolte dalla ricorrente, lungi dal dedurre specifici vizi di motivazione della sentenza impugnata, si sostanziano – anche con violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo la S. precisato le ragioni addotte per ritenere verosimile la percezione da parte del marito di redditi non risultanti dalla dichiarazione fiscale (Cass. 2006/6679; 2006/19100) – nella prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze di causa e nella confutazione dell’accertamento di fatto compiuto, con idonea motivazione, dai giudici di appello, mirando ad un non consentito riesame da parte della Corte di legittimità del merito della controversia (Cass. 2000/5806; 2003/17651; 2004/15675; 2007/16955).
2. Con il secondo motivo la S. prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 445 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, e critica la decisione impugnata, per averla condannata alla restituzione delle somme ricevute dal L. a titolo di mantenimento.
Deduce la ricorrente che gli effetti della decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento, ovvero ne riduce la misura, non devono comportare la ripetibilità delle maggiori somme corrisposte a tale titolo sino al formarsi del giudicato, atteso che l’assegno di mantenimento, avente natura solidaristica ed assistenziale, è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario e che questi non è tenuto ad accantonare una parte di quanto percepito in previsione dell’eventuale riduzione dell’assegno stesso.
2.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Rileva preliminarmente il collegio che non determina la cessazione della materia del contendere la dichiarazione del L. – peraltro non sorretta da alcun elemento probatorio – che l’assegno di mantenimento corrisposto alla S. è stato tempestivamente restituito nel mese di giugno del corrente anno (v. pag. 12 del controricorso). Infatti la cessazione della materia del contendere si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell’interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice. Tale situazione non ricorre nell’ipotesi di esecuzione, anche spontanea, di un provvedimento del giudice che non abbia definito il giudizio, qualora a tale comportamento non si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio (Cass. 2002/4127; 2007/2567; 2007/23289).
2.2. Sul merito della censura sollevata dalla S., il collegio ritiene, in conformità ad un orientamento già espresso da questa Corte, che gli effetti della decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento, ovvero ne riduce la misura, non possono comportare la ripetibilità delle (maggiori) somme corrisposte a tale titolo in forza di provvedimenti non definitivi, qualora queste, per la loro non elevata entità, siano comunque destinate ad assicurare il diritto al mantenimento del coniuge, che non disponga di adeguati redditi propri, fino all’eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un diritto meramente alimentare, che può derivare solo dal giudicato, e si presumono, in ragione della modestia del loro importo, consumate per il sostentamento del coniuge stesso, il quale non è pertanto tenuto ad accantonarle in previsione dell’eventuale successiva esclusione del diritto all’assegno o di una sua riduzione (v. Cass. 2002/13060 e, con particolare riferimento all’assegno stabilito in via provvisoria con provvedimento presidenziale, ex art. 708 c.p.c., Cass. 1991/9728; 1994/3415; 1998/4198; 1999/11029; nello stesso senso, con riferimento al contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente, ma non in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento, che il coniuge – divorziato o separato – ha diritto di ottenere, iure proprio, dall’altro coniuge, cfr. Cass. 2004/11863 e 2008/28987).
2.3. La Corte di appello – nell’affermare il diritto dell’appellante ad ottenere in restituzione le somme già versate all’appellata a titolo, successivamente riconosciuto inesistente, di assegno di mantenimento, in considerazione della radicale negazione, ab initio, del diritto della moglie al mantenimento dal parte del marito e della natura non alimentare dell’assegno imposto dal primo giudice – non si è uniformata al principio sopra enunciato e deve essere pertanto sul punto annullata. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, e, in considerazione del non elevato importo dell’assegno di mantenimento determinato dal Tribunale di Roma in favore della S. e alla stregua del principio in precedenza richiamato, la domanda di restituzione delle somme corrisposte alla S. a titolo di assegno di mantenimento, formulata dal L., deve essere rigettata.
L’esito del giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese del processo di appello e di quelle del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e, decidendo nel merito, respinge la domanda di condanna di S.C. alla restituzione in favore di L.F. delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento.
Compensa integralmente tra le parti le spese del processo di appello e di quelle del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2009

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