Motivi della decisione
Con un unico motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 4, comma 14 L. 898/70, novellato, e 23 L. n. 74/77 . Afferma che, dal combinato disposto dei predetti articoli, deriverebbe l’efficacia immediata, senza necessità di una clausola di esecutorietà, del provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, che dunque potrebbe valere come titolo esecutivo. La questione sollevata si inserisce nell’ampio e articolato dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle differenze – e le consonanze – dei procedimenti di separazione e divorzio.
La differente genesi storica di separazione e divorzio ha determinato la previsione delle rispettive discipline in testi normativi differenti: la separazione quanto agli aspetti sostanziali è disciplinata dal codice civile (art. 150 ss. c.c), quanto agli aspetti processuali, dal codice di rito (art. 706 s.s. c.p.c.), mentre per il divorzio occorre riferirsi alla 1. n. 398 del 1970. Le successive modifiche normative, la 1. 151/75, riforma del diritto di famiglia, che ha riguardato gli aspetti sostanziali cella separazione e le 1. 436/1978 e 74/1987 sul divorzio, non hanno condotto all’individuazione di regole comuni (quanto mai utili dal punto di vista processuale) tra i due istituti, malgrado da più parti ciò venisse ampiamente auspicato, per superare problemi di coordinamento tra le due discipline. Va qui ricordato che l’art. 23 della richiamata L. 74/1987., prevede l’estensione alla separazione della normativa processuale di cui all’art. 4 L. 898, in quanto applicabile, e comunque fino all’entrata in vigore del nuovo codice di rito. I profili processuali della separazione personale sono stati parzialmente rinnovati con L. n. 51/2006 (di conversione del d.l.273/2005) e n. 80/2005 (di conversione del d.l. n. 35/2005, che ha pure novellato il testo dell’art. 6. L.898); a sua volta la L. n.54/2006, più comunemente nota in relazione alla previsione dell’affidamento condiviso, ha inserito un ultimo comma all’art. 708 c.p.c ed introdotto ex nove l’art. 709 ter c.p.c.: si tratta di previsioni espressamente dichiarate applicabili al giudizio di divorzio dall’art. 4 della predetta legge. Come si vede, una serie di modifiche molto numerose e “tormentate”. Tuttavia, ancora una volta, nonostante la volontà, a tratti palese, del legislatore di procedere verso un omogeneità delle due discipline ( processuali), l’unificazione non si è completamente raggiunta, ed alcune differenze permangono.
In tutto questo variegato contesto, parte della dottrina ha affermato che è stato posta in essere quella riforma del codice di rito, indicata nel citato art. 23 L. 74/1987, quale termine finale per la sua operatività (e quindi per l’estensione alla separazione della disciplina del divorzio, in relazione agli aspetti privi di regolamentazione). Appare del tutto condivisibile la soluzione opposta, proprio per la mancanza di un organica revisione del codice di procedura civile.
L’art. 710 c.p.c. regola in pochi tratti la disciplina dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione. A seguito della novella del 1988 (art. 1 L. 331/1988) si indicano esplicitamente per essi “le forme del procedimento in camera di consiglio”, e dunque si richiamano gli artt. 737 e ss. c.p.c.
Il predetto art. 23 L. n. 74/87, da intendersi, come si è detto, ancora operante, estende ai giudizi di separazione personale, “in quanto compatibili”, le regole dell’art. 4 L. 898, ove si disciplina la procedura dei giudizi di divorzio: in particolare, l’art. 4 comma 11 (ora 14) precisa che, per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica, la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, previsione anteriore alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, introdotta dalla L. n.353 del 1990.
Rimangono peraltro estranei alla previsione tanto la disciplina dei procedimenti di modifica del regime di divorzio, inserita nell’art. 9 L. n. 898, quanto quella dei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione di cui all’art. 710 c.p.c.. Entrambi gli articoli richiamano espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (art. 737 ss. c.p.c.), e di essa, dunque, anche la previsione dell’esecutorietà, solo ad opera del giudice (art. 741 c.p.c.). È da ritenere dunque che i provvedimenti di modifica delle condizioni di separazione (e di divorzio), non siano immediatamente esecutivi.
Certo di fronte alla generalizzata esecutorietà delle sentenze di primo grado, tale carattere appare una sorta di residuo affatto eccezionale, in una materia come quella familiare che richiede tempestività e snellezza operativa. Difficile peraltro ipotizzare una questione di legittimità costituzionale al riguardo: i Giudici della Consulta non potrebbero che richiamare la scelta discrezionale del legislatore di attribuire ai procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, le forme di quelli in camera di consiglio. Toccherebbe dunque al legislatore intervenire, secondo i voti di gran parte della dottrina.
Nella specie, dunque, mancando una clausola di esecutorietà del provvedimento, questo non poteva valere come titolo esecutivo.
Il ricorso va rigettato, in quanto infondato.
Nulla sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.