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    Assicurazioni Responsabilità civile Sentenze

    Cassazione civile, sez. III, 22 giugno 2016, n. 12870

    Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano5 Settembre 2017Aggiornato il:5 Settembre 2017
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    Cassazione civile, sez. III, 22 giugno 2016, n. 12870

    Fatto

    A.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 22 gennaio 2013, con la quale era stata confermata la sentenza del Tribunale di Rieti di rigetto della domanda proposta dall’ A. nei confronti della compagnia assicurativa SASA di risarcimento dei danni conseguenti al decesso della di lui moglie in un sinistro stradale.
    Il ricorso di A.F. è affidato a due motivi.
    L’intimata non ha svolto attività difensiva.
    Diritto

    1. Il Collegio rileva che lo scrutinio dei motivi non è possibile, in quanto il ricorso è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.
    È opportuno premettere che “il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata” (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).
    Nella logica dei principi affermati dalle Sezioni Unite è stato, del resto, osservato che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006; Cass. n. 12688 del 2006).
    Orbene, alla luce dei principi di diritto richiamati, l’esposizione del fatto nel ricorso in esame si presenta carente, avendo il ricorrente ricollegato la pretesa risarcitoria al “sinistro stradale avvenuto in data (OMISSIS) nel quale perdeva la vita la moglie”, senza tuttavia riportare le modalità dell’incidente e i consequenziali accertamenti effettuati, desumibili soltanto dalla sentenza impugnata, nella specie di essenziale rilievo, avendo l’ A. (tra l’altro) sostenuto che il decesso della congiunta non sarebbe avvenuto nell’immediatezza del sinistro.
    2. Peraltro, se si potessero scrutinare i motivi emergerebbe quanto segue.
    3. Con il primo motivo di ricorso A.F. deduce “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: il diritto di ottenere il risarcimento dei danni iure hereditatis”.
    Sostiene il ricorrente che nell’intervallo di tempo intercorso tra l’incidente e il decesso, la vittima ebbe a riportare un danno biologico e morale di rilevante entità, sicché ingiustamente la corte territoriale aveva negato al coniuge, per successione ereditaria, il giusto risarcimento. Censura, inoltre, l’orientamento giurisprudenziale che nega un danno da perdita della vita “pressochè immediata” riconoscendo solo il risarcimento del danno da perdita della vita “dopo un apprezzabile lasso di tempo”, atteso che ciò equivarrebbe ad ammettere un risarcimento maggiore per un danno minore, posto che l’aggressione al bene della vita contiene un disvalore maggiore dell’aggressione al bene salute.
    Lamenta, infine, che la corte di merito abbia argomentato in maniera apodittica l’esclusione del diritto al chiesto risarcimento del danno, sulla base della asserita mancanza di prova della circostanza che fosse trascorso un apprezzabile lasso di tempo tra l’incidente e il decesso. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
    La ragione di inammissibilità del motivo deriva dalla circostanza che lo stesso sia stato dedotto come vizio motivazionale secondo la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonostante la sentenza impugnata sia stata pubblicata il 22 gennaio 2013 e sia, quindi, nella specie denunciabile solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In ogni caso, il motivo sarebbe anche è infondato.
    Quanto alla censura in diritto inerente la risarcibilità del danno c.d. tanatologico, è sufficiente richiamare la recente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui “In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso –
    dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass., sez. un., 22-07-2015, n. 15350). Per ciò che concerne le censure che investono la motivazione della sentenza riguardo alla riconosciuta mancanza di prova del fatto che la moglie dell’ A. fosse deceduta dopo un apprezzabile lasso di tempo dal verificarsi del sinistro, va rilevato come la corte territoriale abbia compiutamente argomentato sul punto, rilevando che “nel rapporto dei carabinieri intervenuti sul luogo del sinistro è trascritto l’esito dell’ispezione della salma compiuta dal medico necroscopo, il quale ha accertato che la Massari è deceduta per frattura cranica e tamponamento cardiaco dovuto a contusione acuta toracica con arresto cardiocircolatorio verificatosi alle 20:45 dell’(OMISSIS), ossia al momento del sinistro”.
    4. Con il secondo motivo si denuncia “Omessa motivazione sul punto n. 2 dell’atto di appello. Violazione ed errata applicazione delle norme di diritto quanto al riconoscimento del diritto al risarcimento iure proprio e iure hereditatis”.
    Deduce il ricorrente che la corte territoriale aveva omesso di valutare il danno subito iure proprio dal coniuge superstite, richiesto con il secondo motivo di appello, con conseguente nullità della sentenza.
    Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
    Il ricorrente, difatti, non ha riportato Né riprodotto indirettamente il motivo di appello, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non consentendo in tal modo a questa Corte di verificare se le questioni sottoposte a suo esame non abbiano il carattere della novità e di valutare la fondatezza del motivo in relazione alla motivazione della sentenza impugnata, atteso che, senza che il ricorrente individui la doglianza proposta non è possibile quella valutazione leggendo solo la sentenza.
    Peraltro, stando al tenore della sentenza impugnata, ove si dice “Con il secondo motivo si lamenta che il primo giudice avesse ritenuto non riconoscibile il danno morale subito dalla M.”, la censura sarebbe comunque infondata, posto che, concernendo il motivo di appello, secondo la sentenza, solo il danno morale subito dalla de cuius, correttamente la corte territoriale, dopo aver affermato, disattendo il primo motivo di appello, che la morte della M. era avvenuta immediatamente, ha ritenuto implicitamente assorbito il secondo motivo di gravame.
    5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
    Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
    Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

    P.Q.M.

    La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
    Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
    Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 gennaio 2016.
    Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016

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