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Home » Assicurazioni Responsabilità civile » Cassazione civile, sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222

Cassazione civile, sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222

Avv. Gianluca LancianodiAvv. Gianluca Lanciano
6 Gennaio 2016
inAssicurazioni Responsabilità civile, Lavoro Previdenza, Sentenze
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il (OMISSIS) M.F. rimase vittima di un sinistro stradale, subendo lesioni personali.
Per ottenere il risarcimento di questo danno, nel 2004 M.F. convenne dinanzi al Tribunale Roma il conducente del veicolo cui ascriveva la responsabilità dell’accaduto ( Mi.Vi.), il proprietario del mezzo (la società Italcalce s.r.l.), e il loro assicuratore della r.c.a. (la società Assitalia s.p.a., che in seguito muterà ragione sociale in “Generali Italia s.p.a.”, e come tale sarà d’ora innanzi indicata).
L’attore citò, contestualmente agli altri convenuti, anche l’INAIL, allegando che l’indennizzo da questo corrispostogli in conseguenza dell’infortunio non fosse esaustivo, e chiedendo la condanna anche dell’Istituto, in solido con gli altri convenuti, al risarcimento del danno.
2. La Italcalce s.r.l. si costituì negando la propria responsabilità, ed in subordine chiedendo di essere garantita dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la Generali Italia.
La Generali Italia si costituì negando la responsabilità del proprio assicurato. L’INAIL si costituì, allegando di avere già adempiuto nei confronti dell’attore l tutti gli obblighi previsti dalla legge, e dichiarando di volersi surrogare alla vittima nei confronti dell’assicuratore del responsabile, per l’importo corrispondente all’indennizzo pagatole.
3. Con sentenza 7.3.2007 n. 4580 il Tribunale di Roma accolse la domanda, stimò in 232.049 Euro il danno patito dall’attore;
condannò il responsabile civile del sinistro ed il suo assicuratore della r.c.a. al pagamento della differenza tra tale importo e le somme già versate al danneggiato da parte dell’INAIL, quantificate in Euro 178.894.
Il Tribunale, infine, accolse l’azione di surrogazione e condannò la Generali Italia al pagamento in favore dell’INAIL della suddetta somma di Euro 178.894.
4. La sentenza venne appellata in via principale da M.F., il quale si dolse di una sottostima del danno, ed in via incidentale dall’Inail, il quale si dolse della compensazione delle spese disposta dal Tribunale.
5. La Corte d’appello di Roma con sentenza 23.1.2012 n. 382 accolse in parte l’appello principale di M.F. e rigettò quello incidentale dell’INAIL. Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello ritenne:
(a) che non vi fosse necessità di rinnovare la consulenza tecnica d’ufficio per la stima del danno biologico patito dall’attore;
(b) che per determinare il risarcimento dovuto dal responsabile alla vittima al netto dell’indennizzo pagato dall’INAIL (c.d. danno differenziale) dovesse detrarsi dall’ammontare del risarcimento, stimato secondi i criteri civilistici, l’intero valore capitalizzato della rendita pagata dall’assicuratore sociale.
6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M. F. sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso la Generali Italia e l’Inail.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che dopo la sentenza di primo grado le sue condizioni di salute si erano aggravate, e tale aggravamento aveva indotto l’INAIL a più riprese ad aumentare via via il grado di invalidità indennizzabile riconosciuto all’assicurato, e di conseguenza a riliquidare l’indennizzo. Aveva, perciò, chiesto al giudice d’appello di nominare un consulente d’ufficio per determinare il grado di invalidità permanente provocato dall’aggravamento.
La Corte d’appello, però, aveva rigettato tale istanza istruttoria sul presupposto che fossero “fisiologiche” le divergenze tra le tabelle utilizzate dall’INAIL, e quelle usate in materia di responsabilità civile, per la valutazione delle menomazioni.
Tale motivazione del diniego di rinnovo della c.t.u. sarebbe, secondo il ricorrente illogica.
1.2. Il motivo è fondato.
Nel precisare le conclusioni in grado di appello, l’odierno ricorrente aveva allegato che:
(a) le sue condizioni di salute si erano aggravate;
(b) l’aggravamento era conseguenza del sinistro del (OMISSIS);
(e) l’aggravamento era stato di entità tale che l’INAIL aveva ritenuto di elevare il grado di invalidità riconosciuto all’assistito ai fini dell’erogazione della rendita per danno biologico; le medesime infermità, valutate con i criteri impiegati dalla medicina legale nell’ambito della responsabilità civile, costituivano una invalidità permanente pari al 20% (così il ricorso, 17-21). Sulla base di queste allegazioni aveva domandato che fosse disposta una consulenza tecnica d’ufficio, all’evidente fine di accertare l’effettivo grado di invalidità permanente residuato al sinistro.
1.3. La Corte d’appello ha rigettato la relativa istanza con una duplice motivazione:
(a) la differente valutazione dell’invalidità permanente da parte dell’INAIL rispetto alla c.t.u. già sussisteva prima della proposizione dell’appello”;
(b) poiché l’INAIL accerta e liquida il danno biologico patito dal lavoratore con tabelle medico-legali diverse da quelle usate in ambito di responsabilità civile, è “fisiologico” che menomazioni identiche comportino l’attribuzione di percentuali di invalidità permanente diverse, a seconda che siano valutate con le tabelle INAIL piuttosto che con i criteri del la responsabilità civile.
1.4. La prima di tali motivazioni è illogica perché eterodossa rispetto al petitum.
L’appellante aveva infatti allegato di essersi aggravato dopo la proposizione dell’appello, e depositato i documenti dai quali, secondo la prospettazione di parte, doveva risultare tale aggravamento.
Dunque il punto che la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare, ai fini dell’accoglimento dell’istanza di rinnovo della consulenza, non era se la stima del danno biologico compiuta dall’INAIL coincidesse o meno con quella compiuta dal consulente tecnico d’ufficio, ma se esistesse, e se derivasse causalmente dal sinistro del (OMISSIS), l’aggravamento lamentato dall’appellante.
1.5. La seconda delle motivazioni adottate dalla Corte d’appello per rigettare l’istanza di rinnovo della consulenza formulata dall’appellante è corretta nel presupposto giuridico, ma anch’essa inconferente ai fini del decidere.
La Corte d’appello ha infatti rilevato come i criteri medico legali in base ai quali l’INAIL determina il grado percentuale di invalidità permanente sono diversi dai quelli utilizzati nel campo della responsabilità aquiliana, sicché era normale che la medesima menomazione comportasse l’attribuzione di gradi percentuali diversi di invalidità permanente, a seconda che venisse valutata con i criteri INAIL piuttosto che con altri criteri.
Nel caso di specie, tuttavia, la doglianza formulata dall’appellante, rettamente intesa alla luce dell’intero argomentare dell’atto d’appello, non consisteva nella mera allegazione d’una divergenza tra la stima del grado di invalidità permanente compiuta dai medici dell’INAIL, e la stima del grado di invalidità permanente compiuta dal consulente d’ufficio nominato dal Tribunale.
Se così fosse stato, effettivamente l’istanza di rinnovo della c.t.u. sarebbe stata da valutarsi manifestamente inammissibile.
L’INAIL, infatti, è tenuto a valutare il grado di invalidità permanente patito dall’assicurato, in conseguenza di un infortunio, in base alla tabella Allegata sub (1) al D.M. 12 luglio 2000.
Quando, invece, si tratta di stimare dal punto di vista medico legale il grado percentuale di invalidità permanente causato da un infortunio, non esistono criteri prestabiliti dalla legge, eccezion fatta per il solo caso di danni derivanti dalla circolazione stradale e che abbiano causati postumi non superiori al 9% (art. 139 cod. ass.
e D.M. 3 luglio 2003).
Il medico legale, pertanto, nel campo della responsabilità aquiliana può in teoria stimare il danno alla persona avvalendosi di qualunque criterio medico legale che sia condiviso nella comunità scientifica.
Ne consegue che, ai fini della determinazione del grado di invalidità permanente causato da un fatto illecito, per la stima del risarcimento del danno biologico conseguente, è irrilevante sapere a quali determinazioni siano pervenuti i medici legali dell’INAIL nell’analoga valutazione, compiuta al fine di liquidare l’indennizzo o la rendita di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13.
Pertanto, colui che si dolesse della aestimatio del danno biologico compiuta dal giudice della responsabilità civile, adducendo a motivo la mera divergenza tra la percentuale di invalidità permanente accertata dal consulente del giudice, e quella accertata dal medico dell’INAIL, formulerebbe una censura irrilevante, giacché un danno alla salute in ambito di responsabilità civile non può dirsi sottostimato sol perché l’INAIL, applicando i diversi criteri dettati dal D.M. 12 luglio 2000, abbia determinato la percentuale di invalidità permanente in misura diversa. Questo non era, tuttavia, il nostro caso.
Nel presente giudizio l’appellante aveva prospettato l’esistenza d’un aggravamento; aveva dedotto che esso comportava un innalzamento del grado di invalidità permanente; ed aveva (sia pure, occorre ammettere, con una sintassi che non era un modello di chiarezza) riferito dell’aumento della rendita da parte dell’INAIL con una evidente finalità probatoria e corroborativa: come a dire che, se l’INAIL aveva aumentato la rendita, evidentemente le condizioni di salute dell’assistito dovevano essersi aggravate.
1.6. La sentenza va, di conseguenza, cassata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale nell’esaminare l’istanza di rinnovo della consulenza tecnica medico legale formulata dall’appellante valuterà non già se te tabelle medico legali approvate con D.M. 12 luglio 2000 offrano o meno valutazioni convergenti con quelle usate nel campo della responsabilità aquiliana, ma valuterà se l’appellante abbia o meno debitamente dedotto e dimostrato l’esistenza quanto meno del fumus di un aggravamento delle proprie condizioni di salute.
Nel far ciò, la Corte terrà presente ovviamente il consolidato principio secondo cui la vittima di lesioni personali può domandare nel giudizio di appello, senza violare il divieto di ius novorum previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., sia il risarcimento dei danni derivanti dalle lesioni, ma manifestatisi dopo la sentenza di primo grado, sia il risarcimento dei danni la cui esistenza, pur precedente alla sentenza impugnata, non poteva essere rilevata con l’uso dell’ordinaria diligenza. (Sez. 3, Sentenza n. 8292 del 31/03/2008, Rv. 602541; Sez. 3, Sentenza n. 23220 del 16/11/2005, Rv. 585281;
Sez. 3, Sentenza n. 7631 del 16/05/2003, Rv. 563156; Sez. 3, Sentenza n. 1281 del 29/01/2003, Rv. 560076; e soprattutto Sez. U, Sentenza n. 1955 del 11/03/1996, Rv. 496251).
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Anche col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3, (si assume violato il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha errato nel calcolare il c.d. “danno differenziale” (ovvero la differenza tra il danno causato dal responsabile civile, e quello indennizzato dall’INAIL), perché ha detratto dal danno civilistico il valore capitale dell’intera rendita erogata dall’INAIL, al lordo della quota di rendita pagata a titolo di risarcimento del danno patrimoniale.
2.2. Il motivo è manifestamente fondato.
In conseguenza dell’infortunio del 21.6.2002, M.F. patì un danno biologico consistente in una invalidità permanente stimata dall’INAIL in misura superiore al 16%.
Per le invalidità permanenti superiori al 16%, l’INAIL eroga agli assistiti una rendita.
L’importo della rendita è stabilito dalla Tabella che costituisce l’Allegato 5 al D.M. 12 luglio 2000.
L’importo risultante dalla suddetta tabella è poi maggiorato di un quid variabile in funzione del reddito della vittima.
Ciò è stabilito dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, lett. (b), secondo cui le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita (…) commisurata (…) alla retribuzione dell’assicurato (…) per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali”.
Questa “ulteriore quota di rendita” è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000.
Così, ad esempio, per le menomazioni dal 26% al 35% la rendita è aumentata moltiplicando la retribuzione della vittima per il coefficiente 0,6;
mentre per le menomazioni dal 36% al 50% la rendita è aumentata moltiplicando la retribuzione della vittima per il coefficiente 0,7.
2.3. L’incremento della rendita per danno biologico, di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 134, comma 2, lett. (b), costituisce un indennizzo forfettario del danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro.
Tanto si desume:
(a) in primo luogo dalla lettera della legge, la quale espressamente afferma che l’ulteriore quota di rendita di cui si discorre è erogata nper l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali” della lesione della salute;
(b) dal principio c.d. di “aredittualità” del danno biologico.
Quest’ultimo, infatti, consiste nella “lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”, e deve essere indennizzato in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato (così il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 1, cit.). Da tali principi deve desumersi che qualsiasi incremento del risarcimento dovuto dall’INAIL per il danno biologico patito dal lavoratore, che sia agganciato al reddito della vittima, abbia lo scopo di ristorare il pregiudizio patrimoniale da compromissione della capacità di lavoro e di guadagno, perché sarebbe altrimenti incompatibile con la natura areddituale del risarcimento del danno biologico.
Pertanto, quando ricorrano i presupposti di fatto di cui D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 2, lett. (b), l’INAIL liquida all’avente diritto un indennizzo in forma di rendita che ha veste unitaria, ma duplice contenuto: con quell’indennizzo, infatti, l’INAIL compensa sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno.
2.4. Da quanto esposto consegue che quando la vittima di un illecito aquiliano abbia percepito un indennizzo da parte dell’INAIL, per calcolare il c.d. “danno biologico differenziale” è necessario:
(a) determinare il grado di invalidità permanente patito dalla vittima e monetizzarlo, secondo i criteri della responsabilità civile;
(b) sottrarre dall’importo sub (a) non il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di rendita che ristora il danno biologico.
La sentenza impugnata non si è attenuta a questi principi, poiché ha determinato il credito residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile sottraendo dall’importo complessivo del danno il valore (W capitalizzato dell’intera rendita INAIL, invece che il valore capitale della sola quota di rendita erogata per indennizzare il danno biologico. La sentenza va dunque cassata anche su questo punto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale nel riesaminare il caso applicherà il seguente principio di diritto:
La rendita pagata dall’INAIL per invalidità superiori al 16% indennizza in parte il danno biologico, ed in parte il danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno, che viene liquidato forfettariamente in base ai criteri di cui all’Allegato 5 del D.M. 12 luglio 2000. Ne consegue che per calcolare il c.d. “danno biologico differenziale”, spettante alla vittima nei confronti del terzo civilmente responsabile, dall’ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico.
3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 14 aprile 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2015

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