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Home » Condominio Locazioni » Cassazione civile, sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28465

Cassazione civile, sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28465

RedazionediRedazione
19 Dicembre 2013
inCondominio Locazioni, Sentenze
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 23 luglio 2007, la Corte d’Appello di Torino ha rigettato gli appelli vicendevolmente proposti dal Centro Ginnastico s.a.s. e dal Tennis College s.r.l.
avverso la sentenza del Tribunale di Torino del 2 dicembre 2004, compensando tra le parti le spese del grado.
1.1.- Il Tribunale aveva dichiarato cessata la materia del contendere su un primo ricorso proposto in data 24 luglio 1998 dal Centro Ginnastico s.a.s., conduttrice, nei confronti di Tennis College s.r.l., locatrice, relativamente al contratto di locazione stipulato il 28 marzo 1995 avente ad oggetto un appezzamento di terreno e fabbricati e strutture esterne destinati ad attività sportiva, col quale la società conduttrice aveva richiesto ed ottenuto in corso di giudizio la riduzione del canone (a causa del fatto che, dopo l’esecuzione di lavori di pubblico interesse sull’intero immobile gravato da servitù pubblica – durante la quale il rapporto locativo era stato sospeso -, la società locatrice aveva ripristinato i soli campi da tennis e quello di calcetto, senza provvedere – secondo la conduttrice – al ripristino dei palloni pressurizzati e degli scarichi di acque piovane, Né della centrale termica e dell’impianto di riscaldamento del campo di squash, nonché dei viali esterni), mantenendo il canone ridotto fino al rilascio dell’immobile, avvenuto nel corso del 2001 (come fatto presente da entrambe le partì all’udienza del 3 aprile 2002).
1.2.- Il Centro Ginnastico s.a.s. aveva peraltro proposto un secondo ricorso, depositato in data 2 gennaio 2002, col quale aveva dedotto, che, pur avendo ottenuto, sin dall’agosto 1999, la riduzione del canone, aveva subito dei danni perché l’inagibilità delle strutture non consentiva di usare i campi da tennis e da calcetto durante i mesi invernali, determinando un’ulteriore perdita di soci e di pubblico. Aveva perciò chiesto l’accertamento della risoluzione del contratto per l’inottemperanza della locatrice alla diffida ad adempiere inviata il 1^ giugno 2000 e, comunque, per grave inadempimento degli obblighi di manutenzione, nonché il risarcimento dei danni corrispondenti, per il periodo 1998-2000, ad una riduzione del reddito del 60% pari a L. 120.000.000, nonché a lucro cessante per L. 700.000.000, per un totale di L. 820.000.000. Con lo stesso ricorso, la conduttrice aveva chiesto la restituzione del valore dei mobili ed attrezzature della cucina, detenute dalla locatrice, per un importo di L. 18.000.000 e la condanna della locatrice al pagamento della somma di L. 288.000.000, pari a 48 mensilità del canone pattuito, per non avere adibito l’immobile alla destinazione dichiarata in occasione del diniego di rinnovo alla prima scadenza.
Si era costituita la locatrice ed aveva contestato tutte le domande, proponendo in via riconvenzionale domanda di risoluzione per inadempimento della conduttrice, e chiedendo ed ottenendo la riunione di tale secondo giudizio all’altro, già pendente tra le stesse parti, iniziato con ricorso del 1998.
Il Tribunale aveva respinto la domanda di risoluzione avanzata dalla conduttrice, ritenendo che non vi fosse la prova del grave inadempimento contrattuale della locatrice, nonché la domanda risarcitoria avanzata dalla stessa conduttrice, ritenendo altresì la mancanza di prova sul quantum; aveva accolto parzialmente, nei limiti dell’importo di L. 1.000.000, la domanda di restituzione del valore degli arredi trattenuti dalla locatrice; aveva infine negato il diritto della conduttrice all’indennità ex art. 31 della legge n. 392 del 1978, reputando che non fosse stata fornita la prova del danno subito, che, secondo il Tribunale, gravava sulla conduttrice medesima, trattandosi di domanda risarcitoria.
Il Tribunale aveva inoltre rigettato la domanda riconvenzionale della locatrice, reputando che non fosse configurabile alcun inadempimento della conduttrice per l’omessa manutenzione ordinaria degli scarichi e dei palloni pressurizzati.
Aveva perciò compensato le spese del primo grado.
1.3.- La Corte d’Appello ha, come detto, confermato le statuizioni del primo grado, quanto al rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata dalla conduttrice Centro Ginnastico s.a.s. (che in appello aveva limitato la propria pretesa alla domanda risarcitoria, non avendo interesse a riproporre la domanda di riduzione del canone ed avendo preliminarmente dichiarato di non voler insistere nella domanda di risoluzione del contratto), nonché quanto al rigetto della domanda di liquidazione dell’indennità ex art. 31 della legge n. 392 del 1978 e della domanda di restituzione della maggior somma di L. 18.000.000 (rispetto a quella forfettariamente determinata in L. 1.000.000 dal primo giudice) per i mobili trattenuti dalla locatrice. La Corte d’Appello ha altresì confermato la sentenza di primo grado quanto al rigetto della domanda di risoluzione avanzata in vìa riconvenzionale dalla conduttrice, e riproposta in secondo grado da Tennis College s.r.l. con appello incidentale.
2.- Avverso la sentenza d’appello il Centro Ginnastico s.a.s. propone ricorso affidato a tre motivi.
La s.r.l. Tennis College si difende con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti.
1.- Col primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 31, e degli artt. 1176, 1218, 1226, 2056, 2727 e 2729 c.c., e art. 116 c.p.c., nonché omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, onde censurare il rigetto della domanda volta ad ottenere la condanna della locatrice al pagamento della somma prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 31, per avere adibito l’immobile locato ad una destinazione diversa da quella dichiarata in occasione del diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza. La Corte d’Appello ha respinto il corrispondente motivo di gravame ed ha perciò confermato il rigetto della domanda da parte del Tribunale, sulla base del principio, secondo cui “si tratta di una domanda risarcitoria, per la quale è necessario fornire in concreto la prova del danno subito, del quale il numero di 48 mensilità rappresenta il limite massimo risarcibile, prova in specie non offerta, come già affermato sul punto dal primo giudice” (pagg. 22-23 della sentenza).
1.1.- Osserva la ricorrente che non è contestato Né è mai stato in discussione che l’immobile già locato al Centro Ginnastico s.a.s., dopo il rilascio da parte della conduttrice, non venne adibito dalla locatrice Tennis College s.r.l. alla necessità per la quale la stessa aveva esercitato il diniego di rinnovazione del contratto alla scadenza contrattuale del 31 marzo 2001, vale a dire all’esercizio in proprio dell’attività sportiva e ricreativa già svolta dalla conduttrice.
Essendo, a detta della ricorrente, pacifiche la concreta ricorrenza, nel caso in esame, dell’ipotesi di fatto cui la legge ricollega le sanzioni previste dall’art. 31, e la mancanza di prova circa l’esistenza di giusti motivi di detto inadempimento da parte della locatrice, avrebbe errato la Corte d’Appello nell’applicare il princìpio di cui sopra, piuttosto che quello affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20926 del 2004, secondo cui la previsione normativa ha finalità anche sanzionatoria ed il contemperamento tra questa e la finalità risarcitoria può ritenersi realizzato “mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all’anticipata restituzione dell’immobile” da liquidarsi equitativamente, salva la prova, da parte del locatore, dell’assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore.
1.2.- Il motivo è, in primo luogo, ammissibile poiché il quesito di diritto formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., non è affatto plurimo Né meramente assertivo, come eccepito dalla resistente, in quanto pone una sola questione e la pone in evidente e diretta correlazione con il motivo fondato sulla violazione della L. n. 392 del 1978, art. 31, così come interpretato dal citato precedente di legittimità.
Irrilevante è, inoltre, il richiamo che la resistente fa al cd.
quesito di fatto, che la seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., richiede per la corretta denuncia del vizio di motivazione, poiché il motivo è da ritenersi fondato con riguardo al vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione della L. n. 392 del 1978, detto art. 31.
In proposito, il Collegio intende ribadire il principio espresso dal precedente di legittimità richiamato in ricorso in ragione del quale “In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l’obbligo in capo al locatore, che abbia ricevuto la riconsegna dell’immobile e non lo abbia adibito, entro sei mesi, all’uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilità, di risarcire il danno al conduttore ha una duplice natura, risarcitoria e sanzionatoria, che si riverbera sui criteri di quantificazione del danno: il contemperamento tra il fine sanzionatorio (evocato dalla rubrica della disposizione in esame, intitolata “Sanzioni”) e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all’anticipata restituzione dell’immobile, che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la presunzione suddetta provando l’assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore” (così Cass. n. 20926/04, seguita da Cass. n. 1700/09).
Questo principio è difforme da quello seguito dal giudice di merito (che era stato espresso da Cass. n. 15037/00 – secondo cui “l’art. 31 della legge n. 392 del 1918, nell’imporre al locatore, che entro sei mesi dalla riconsegna non adibisca l’immobile all’uso in vista del quale ne ha ottenuto la disponibilità, l’obbligo di risarcimento del danno nei confronti del conduttore, non deroga al principio per cui dev’essere risarcito il danno effettivamente arrecato e provato. Il riferimento alle 48 mensilità indica, infatti, il limite legalmente stabilito del risarcimento, che opera quando il conduttore pretenda un risarcimento maggiore” – da reputarsi oramai superato).
Consegue all’applicazione del principio di cui sopra un diverso modo di atteggiarsi dell’onere della prova in giudizio, operando una presunzione iuris tantum dell’esistenza di danni risarcibili in favore del conduttore e ricadendo sul locatore l’onere della prova contraria, volta a vincere siffatta presunzione.
1.3.- Poiché la Corte d’Appello di Torino ha valutato le risultanze istruttorie al fine di verificare se dalle stesse emergesse la prova rigorosa e certa dell’esistenza di danni conseguiti alla società conduttrice dall’anticipato rilascio dell’immobile locato, la conclusione negativa raggiunta non è sufficiente – contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente nel proprio controricorso – a fondare, di per sè sola, ed in mancanza di appositi ulteriori accertamenti di fatto, la ben diversa conclusione della positiva dimostrazione dell’inesistenza di danni risarcibili ai sensi del menzionato art. 31. È necessario accertare, in punto di fatto, se risulti provata o meno l’inesistenza di conseguenze pregiudizievoli per la conduttrice per avere dovuto lasciare in anticipo i locali nei quali esercitava la propria attività d’impresa, quindi di conseguenze connesse all’impossibilità di esercitare nel futuro tale attività in detti locali, essendo queste conseguenze diverse da quelle sulle quali si è invece intrattenuta la sentenza impugnata (specificamente alla pag. 18 riportata nel controricorso), riguardanti i differenti pregiudizi patrimoniali lamentati dalla conduttrice per i pretesi inadempimenti della locatrice, relativi all’obbligazione di manutenzione dei locali sulla medesima gravante nella vigenza del contratto di locazione. La sentenza va perciò cassata in accoglimento del primo motivo, con rinvio al giudice di merito perché compia il predetto accertamento fattuale.
2.- Col secondo motivo di ricorso si deduce “violazione, falsa ed erronea applicazione degli artt. 1575, 1576, 1578, 1581, 2710 e 2711 c.c., e degli artt. 112, 115, 116 e 167 c.p.c., e art. 416 c.p.c., u.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
Il Collegio ritiene che già siffatta prospettazione presenti un profilo di inammissibilità del ricorso, poiché il vizio di motivazione vi appare denunciato, mediante il mero richiamo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., senza che vi sia riferimento a fatti controversi e decisivi per il giudizio sui quali la motivazione si assuma viziata, contenendo invece la rubrica soltanto il riferimento a norme di legge, riguardo alle quali è del tutto improprio il richiamo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
L’imprecisa formulazione della rubrica trova riscontro nell’illustrazione del motivo, nonché, come si dirà, nella formulazione dei quesiti di diritto poiché l’esposizione delle ragioni poste a fondamento del motivo di ricorso non consente di distinguere le denunce mosse ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e quelle mosse ai sensi del n. 5 dello stesso articolo.
Infatti, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insussistente l’inadempimento della locatrice per il mancato asserito ripristino dei palloni pressurizzati e degli scarichi di acque piovane, nonché della centrale termica e dell’impianto di riscaldamento del campo di squash, oltre che di parte dei vialetti esterni, ed ha altresì ritenuto non provato il danno per l’asserita diminuzione reddituale, per il periodo successivo al luglio 1997 (e fino al rilascio, avvenuto nel 2001), lamentata dalla conduttrice per il detto mancato ripristino dell’immobile e delle strutture locati, così come ha ritenuto non provato il danno futuro, sotto il profilo del lucro cessante: le censure mosse al riguardo sono molteplici ed esposte in modo tale da non consentire di comprendere a quali delle norme di cui è denunciata la violazione siano riferite, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.
Inoltre, la gran parte delle doglianze è relativa all’asserito non corretto apprezzamento da parte del giudice di merito delle risultanze processuali, sì che appare dover essere ricondotta al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, senza che emerga con chiarezza quale sia il fatto o quali siano i fatti controversi in relazione a cui la motivazione si assume omessa o contraddittoria Né la relativa decisività al fine di dimostrarne la non idoneità a sorreggere le conclusioni raggiunte.
2.1.- I profili di inammissibilità rilevati con riguardo alla rubrica ed all’illustrazione del motivo in esame trovano riscontro nella inammissibile modalità di formulazione dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. Infatti, il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c., (inserito dall’art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n. 40, ed abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (23 luglio 2007).
Il secondo motivo, come detto, denuncia ed illustra congiuntamente vizi diversi: sebbene sia ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è tuttavia necessario che lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (cfr. Cass. S.U. n. 7770/09).
Così non è nel caso di specie, in cui il motivo in esame si conclude con un unico plurimo quesito di diritto, senza che si evinca dal tenore dello stesso a quale dei vizi denunciati sia riferita ciascuna delle censure cui corrispondono le singole parti del quesito.
I quesiti, che la stessa parte ricorrente definisce “quesiti di diritto”, così apparentemente riferendosi ai denunciati vizi di violazione di legge, sono i seguenti:
“Ai sensi dell’art. 1578 c.c., l’azione di risarcimento del danno è esperibile anche a seguito o in concomitanza con le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del canone e non è un’azione alternativa; il riconoscimento in comparsa di costituzione da parte del locatore che un bene o un accessorio è oggetto di locazione costituisce confessione che esime il giudice da ulteriori accertamenti in merito; inoltre la generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda previsto dall’art. 167 c.p.c., e dall’art. 416 c.p.c., u.c., applicabile alle vertenze in materia di locazione, costituisce un comportamento rilevante che ha effetti vincolanti per il giudice ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, e stante la non contestazione del fatto il giudice deve astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato e deve ritenerlo sufficiente per l’atteggiamento difensivo delle parti; il giudice poi deve procedere alla liquidazione equitativa del danno nell’ipotesi in cui sia mancata in tutto o in parte la prova del loro preciso ammontare o pur essendosi svolta una attività processuale volta a fornire elementi al riguardo di una precisa quantificazione – anche in mancanza di contestazione della controparte – egli non li abbia riconosciuti di sicura efficacia e non può respingere la domanda assumendo di non considerare la esperita C.T.U. ma senza darne alcuna e/o adeguata motivazione; infine, le scritture contabili di una società fanno fede e costituiscono prova in ordine alla situazione patrimoniale ed economica dell’impresa sia nei confronti della società cui fanno capo, sia nei confronti dei terzi: essi non sono semplici atti di parte unilaterali del tutto ipotetici e sono sufficienti a fornire prova dell’andamento economico dell’azienda e delle eventuali perdite particolarmente in assenza di ogni contestazione in merito dalla controparte”.
Orbene, anche a voler superare il profilo di inammissibilità riscontrabile nel fatto che si ha un quesito plurimo, che, per come formulato, non consente di individuare la corrispondenza tra singolo quesito (o parte di quesito) e censura relativa alla violazione di una o più specifiche norme di legge (cfr., per tale ipotesi di inadeguatezza del quesito di diritto, Cass. n. 1906/08, tra le altre), le singole parti di cui si compone sono – considerate sia in sè che nel loro insieme – espresse in termini generici e senza alcun concreto riferimento al caso di specie. Inoltre, manca la corrispondenza – ritenuta necessaria da diversi precedenti di questa Corte (tra cui Cass. n. 24339/08, n. 4044/09), che qui si ribadiscono – tra la ratio decidendi della sentenza impugnata e le ragioni di critica sollevate dalla ricorrente.
Il Collegio non può non rilevare, oltre alla genericità dei quesiti, cioè all’impossibilità di riferirli al caso concreto, prescindendo dalla lettura dell’illustrazione del motivo (già, in sè, ragione di violazione dell’art. 366 bis c.p.c.: cfr. Cass. S.U. n. 36/07, n. 6420/08, Cass. n. 19892/07, nonché, da ultimo, Cass. n. 3530/12), il carattere apodittico e meramente assertivo delle relative affermazioni, che non consente a questa Corte l’individuazione dell’errore di diritto denunciato dalla ricorrente con riferimento alla fattispecie concreta Né l’enunciazione di una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere, poiché di questo e delle questioni che pone non è fornita valida sintesi logico-giuridica (cfr., per la funzione riservata ai quesiti di diritto, tra le altre Cass. S.U. n. 26020/08 e n. 28536/08).
2.2.- Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, il motivo manca del tutto del cd. momento di sintesi richiesto dalla norma dell’art. 366 bis c.p.c., seconda parte, così come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si ribadisce (cfr. Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sì assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; nello stesso senso, tra le altre, Cass. n. 24255/11). In particolare, anche le parti del quesito sopra riportato in ipotesi riferibili al vizio di motivazione, non contengono cenno alcuno al tenore della motivazione della sentenza impugnata ed alle ragioni della ritenuta insufficienza o contraddittorietà.
In conclusione, il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
2.3.- Consegue alla dichiarazione di inammissibilità di questo motivo l’assorbimento dell’unico motivo del ricorso incidentale, proposto da s.r.l. Tennis College, volto a sostenere l’inammissibilità della domanda di risarcimento danni per inadempimento contrattuale formulata in appello dalla conduttrice Centro Ginnastico s.a.s. per avere questa rinunciato, in secondo grado, alla domanda di risoluzione del contratto.
3.- Col terzo motivo del ricorso principale si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2607 c.c., e degli artt. 112, 115, 116 e 167 c.p.c., e art. 416 c.p.c., u.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. È reso palese dalla formulazione della rubrica il medesimo profilo di inammissibilità già ritenuto con riguardo al secondo motivo di ricorso.
Inoltre il quesito di diritto, per come formulato, da luogo, per più aspetti, alla violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per ragioni del tutto sovrapponibili a quelle poste a fondamento della ritenuta inammissibilità del secondo motivo. Ed invero col terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non rimborsabile l’intera somma di L. 18.000.000, pretesa dalla conduttrice per i mobili e gli arredi della cucina, per mancanza di prova circa l’individuazione dei beni lasciati nell’immobile locato e del relativo valore.
Il motivo si conclude col seguente plurimo quesito:
“il giudice non solo sullo specifico riconoscimento, ma sulla mancata contestazione della controparte, con effetti per lui vincolanti, deve astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato e specificatamente ammesso anche in punto quantum dalla controparte, e conseguentemente deve ritenere il fatto provato anche in punto quantum; maggiormente lo deve fare in relazione alle risultanze istruttorie derivanti da capitoli di provar specificatamente ammessi che non possono essere ignorati dal giudice senza incorrere in un vizio di motivazione che legittima la cassazione della sentenza”.
Non possono che richiamarsi le considerazioni già svolte a proposito del secondo motivo sulla non riconducibilità di un quesito così formulato Né alla prima Né alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., per l’inadeguatezza dello stesso sia a consentire a questa Corte l’enunciazione di una regula iuris applicabile anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere, sia a circoscrivere puntualmente i limiti del motivo, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Anche il terzo motivo del ricorso principale va dichiarato inammissibile.
4.- In conclusione, va accolto soltanto il primo motivo del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata limitatamente al rigetto del motivo di appello concernente la domanda volta ad accertare e dichiarare che la locatrice Tennis College s.r.l. non aveva adibito l’immobile alla destinazione dichiarata con il diniego di rinnovo alla prima scadenza e ad ottenerne la condanna al pagamento della sanzione ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 31. Il giudizio va perciò rinviato alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, che pronuncerà su tale ultima domanda, attenendosi al principio di diritto di cui sopra.
4.1.- Avuto riguardo all’accoglimento di uno soltanto dei tre motivi proposti col ricorso principale, sì ritiene di giustizia compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione, rimettendo al giudice di rinvio soltanto la liquidazione delle spese di tale ulteriore grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale ed assorbito il ricorso incidentale; accoglie il primo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata nei limiti di questo accoglimento e rinvia alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2013

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