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    Assicurazioni Responsabilità civile Sentenze

    Cassazione civile sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332

    Redazionedi Redazione3 Novembre 2018Aggiornato il:3 Novembre 2018
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    Cassazione civile sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332

    Cassazione civile sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332

    Fatto

    In conseguenza del decesso di N.M., avvenuto a causa di un sinistro stradale dopo due giorni dall’incidente, agirono in giudizio, nei confronti di Z.E. (proprietario e conducente della vettura che aveva investito il N. mentre attraversava la strada) e della sua assicuratrice Zurich Assicurazione s.a., la moglie L.R., la figlia convivente N.P., in proprio e in nome e per conto della figlia minore U.A., nonché il figlio N.E., in proprio e in nome e per conto dei figli minori N.F. e M..
    Entrambi i convenuti si costituirono in giudizio resistendo alle domande.
    Il Tribunale di Milano accertò la responsabilità dello Z. nella determinazione del sinistro (fatto salvo un concorso colposo del N. nella misura del 10%) e condannò i convenuti, in solido, a risarcire il danno non patrimoniale in favore della L. e dei figli della vittima (liquidando al figlio non convivente un importo inferiore a quello riconosciuto alla figlia convivente) nonché in favore della nipote A. (coabitante col nonno deceduto), mentre negò il risarcimento ai nipoti non conviventi col N.; riconobbe inoltre alla vedova e ai due figli della vittima il risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis (liquidandolo in Euro 1.000,00 per ciascuno), mentre negò alla L. il risarcimento del danno patrimoniale (fatto salvo il rimborso delle spese funebri).
    Pronunciando sui gravami riuniti proposti da entrambe le parti, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado.
    Hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la L., N.E., N.F., N.M. e N.P., quest’ultima anche in nome e per conto della figlia minore U.A.; ha resistito, con controricorso, la sola Zurich Insurance PLC.

    Diritto

    1. I motivi (che deducono tutti “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e più precisamente dei criteri e delle regulae iuris dettate da tali norme di diritto, che presiedono alla valutazione delle prove, anche di natura presuntiva”) censurano, sotto vari profili, le statuizioni della Corte relative alla liquidazione dei danni.
    2. Il primo motivo censura la sentenza nella parte in cui ha negato alla L. il risarcimento del danno patrimoniale, richiesto in relazione alle conseguenze che la morte del N. aveva provocato nella situazione aziendale della s.a.s. N.M., di cui la vittima era socio accomandatario: si assume che la Corte, come già il primo giudice, non ha considerato che erano stati documentalmente provati i maggiori costi sostenuti per affidare ad un terzo l’attività precedentemente svolta dal N., risultando pertanto dimostrata “una notevole diminuzione del reddito della N.M. sas e di conseguenza della famiglia N.”.
    2.1. Il motivo è inammissibile in quanto non sottopone ad adeguata critica la ratio della decisione impugnata, che ha evidenziato come la documentazione dei costi aziendali (peraltro effettuata “in maniera del tutto generica”) non fornisse prova sufficiente del “danno conseguenza”, in quanto non era stato dimostrato quale fosse, al di là del ruolo formale di socio d’opera, il concreto apporto della vittima (ormai settantenne) nella produzione del reddito dell’officina meccanica.
    3. Il secondo motivo censura la Corte per avere negato il risarcimento del danno parentale ai nipoti (ex filio) non conviventi con la vittima, affermando che “la lesione da perdita del rapporto parentale subita da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare come nel caso di specie è risarcibile ove sussista una situazione di convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela anche allargate, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario”.
    Sostengono i ricorrenti che, in conformità a giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 15019/2005 e Cass. Pen. n. 29735/2013) e di merito, il rapporto tra nonno e nipote deve essere riconosciuto come “legame presunto che legittima il risarcimento per la perdita familiare”, a prescindere dal rapporto di convivenza.
    3.1. Il motivo è fondato, in conformità al principio secondo cui, “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto” (Cass. n. 21230/2016), in tali termini dovendosi considerare superato il diverso orientamento richiamato dalla sentenza impugnata.
    Deve dunque ritenersi che anche il legame parentale fra nonno e nipote consenta di presumere che il secondo subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del primo (per la perdita della relazione con una figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e di solidarietà familiare) e ciò anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva, ovviamente, la necessità di considerare l’effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno.
    4. Il terzo motivo censura la Corte per non avere risarcito integralmente il danno subito dalla nipote convivente U.A..
    4.1. Il motivo è inammissibile, poiché, senza censurare adeguatamente la sentenza (nella parte in cui ha evidenziato la genericità dell’analogo motivo di appello, in quanto “non supportato da alcuna motivazione, al limite dell’inammissibilità”) e senza individuare alcun error iuris, si limita a sollecitare un diverso apprezzamento di merito sull’adeguatezza della misura del risarcimento spettante alla minore.
    5. Il quarto motivo impugna la sentenza “nella parte in cui non è stato integralmente risarcito il danno non patrimoniale subito da N.E.”, cui è stato liquidato un importo di 180.000,00 Euro a fronte dei 220.000,00 Euro liquidati alla sorella.
    5.1. Il motivo è inammissibile, poiché non è sindacabile l’apprezzamento (di merito) che ha condotto la Corte a ritenere che il figlio non convivente avesse subito un pregiudizio meno grave di quello della sorella convivente col padre, trattandosi di una valutazione basata su indici oggettivi (l’allontanamento dalla casa paterna, il “naturale affrancamento” dai genitori e il diverso atteggiarsi dei rapporti con essi nella vita quotidiana) che sì prestano a giustificare una liquidazione differenziata del danno.
    6. Il quinto motivo censura la sentenza “nella parte in cui non è stato integralmente risarcito il danno non patrimoniale iure hereditatis”: si assume che gli importi liquidati (1.000,00 Euro per la vedova e per ciascun figlio) “si appalesano assolutamente inadeguati”, sia alla luce di precedenti giurisprudenziali che avevano liquidato importi molto superiori, sia alla luce del riconoscimento del danno da perdita della vita compiuto da Cass. n. 1361/2014.
    6.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui fa riferimento al danno per la perdita della vita, dato che introduce un tema nuovo (che non è stato trattato dalla sentenza impugnata e che non risulta dedotto nelle fasi di merito) oltrechè superato alla luce di Cass., S.U. n. 15350/2015; per il resto, la censura esprime una generica e non consentita istanza di rivalutazione del merito, funzionale alla liquidazione di un maggio re importo.
    7. Accolto pertanto il secondo motivo e dichiarata l’inammissibilità dei restanti, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di merito, che provvederà anche sulle spese di lite.
    P.Q.M.
    La Corte, dichiarati inammissibili gli altri motivi, accoglie il secondo, cassa in relazione e rinvia, anche per spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.
    Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2017.
    Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017

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