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Home » Sentenze » Cassazione civile, sez. III, 22 febbraio 2008, n. 4591

Cassazione civile, sez. III, 22 febbraio 2008, n. 4591

RedazionediRedazione
31 Dicembre 2021
inSentenze, Assicurazioni Responsabilità civile
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La S. citò in giudizio il Comune di Troina per essere risarcita in conseguenza del furto subito all’interno del suo palazzo, a ridosso del quale l’ente aveva innalzato delle impalcature attraverso le quali - ella sosteneva - ignoti avevano avuto accesso all’immobile, asportando suppellettili, quadri ed arredi.
Il Tribunale di Nicosia respinse la domanda ritenendo che solo all’impresa appaltatrice (non citata in giudizio) poteva imputarsi negligenza per non avere adottato le cautele necessarie ad evitare il fatto dannoso.
La Corte di Caltanissetta respinse l’appello della S., sui seguenti rilievi: l’azione era stata proposta ex art. 2043 c.c., sicché erano inammissibili in appello i profili di censura tendenti a far valere la responsabilità del Comune per difetto di custodia, nessuna corresponsabilità poteva essere addossata al Comune, essendo rimasto accertato che l’impresa, appal-tatrice dei lavori godeva di completa autonomia e propria organizzazione di mezzi; l’attrice non aveva dimostrato quali fossero state le omissioni di cautele che potessero aver agevolato la perpretazione del furto, le cui modalità erano tutt’altro che pacifiche; la corresponsabilità del Comune non poteva essere fatta valere, siccome neppure quella dell’impresa era stata dimostrata.
Propone ricorso per cassazione la S. attraverso tre motivi.
Risponde con controricorso il Comune di Troina. La ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (violazione di norme di diritto vizi della motivazione - erronea applicazione dell’art. 2043 c.c., in luogo dell’art. 2051 c.c., o in subordine dell’art. 2050 c.c.) la ricorrente rappresenta che i ladri si introdussero nell’appartamento attraverso un’impalcatura posta sta strada comunale, per lavori edilizi su di - un edificio comunale; siffatto ponteggio poggiava su suolo pubblico e sull’edificio frontista di proprietà S., restringendo la sottostante carreggiata stradale e realizzando un ponte collegante la proprietà comunale con quella S., così da formare un tunnel sotto il quale continuava il transito di persone ed auto. Opere, queste, eseguite a seguito di autorizzazione e direzione dell’ente, con conseguente onere di custodia a carico di quest’ultimo e relativa responsabilità ex art. 2051 c.c..
Responsabilità non esclusa dal fatto che i lavori di manutenzione dell’edificio comunale fossero stati aggiudicati in appalto ad un’associazione temporanea di imprese, e ciò in considerazione dei poteri di ingerenza della p.a. nell’esecuzione dei lavori stessi e della sua facoltà di disporre, a mezzo del direttore, varianti e sospensione di opere potenzialmente dannose per i terzi. Aggiunge pure la ricorrente che il giudice avrebbe erroneamente omesso di valutare la responsabilità della p.a. anche sotto il profilo dell’art. 2050 c.c., in considerazione della pericolosità della struttura costruita a servizio dei lavori da svolgersi.
Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 345 c.p.c., per aver confuso tra mutatio vietata ed emendatici ammessa e, soprattutto, per aver confuso tra domanda, nuova e diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso.
Il terzo motivo denunzia l’erronea valutazione della prova in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c.. Vi si sostiene che, essendo questa l’esatta qualificazione giuridica della fattispecie, il giudice avrebbe dovuto tener conto che all’attore spetta provare il rapporto eziologico tra cosa ed evento dannoso, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso causale; ossia, un fattore esterno, che presenti i caratteri del fortuito, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.
I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.
Come s’è visto in precedenza, la sentenza fonda le sue conclusioni su due principi: il primo, secondo cui la responsabilità per difetto di custodia si basa su un titolo diverso rispetto a quello di generica responsabilità ex art. 2043 c.c., con conseguente inammissibilità in appello di siffatta nuova domanda; il secondo, secondo cui il committente può essere corresponsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera affidata in appalto solo quando abbia tralasciato ogni sorveglianza nella fase esecutiva (art. 1662 c.c.), quando l’evento danno gli sia addebitabile per cattiva scelta dell’appaltatore, quando quest’ultimo sia stato semplice esecutore degli ordini del committente stesso o, infine, quando questo si sia di fatto ingerito con singole e specifiche direttive nell’esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fa si e modalità esecutive dell’appalto (ipotesi, queste, non sussistenti nella specie).
Si tratta di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, che meritano d’essere ribaditi senza alcun ripensamento.
Tuttavia, il giudice non ne ha fatto corretta applicazione alla fattispecie in trattazione.
Infatti, in primo luogo, non ha tenuto conto che la domanda che ha per oggetto l’accertamento della responsabilità per omessa custodia deve essere considerata diversa e nuova rispetto a quella che ha per oggetto la responsabilità fondata sulla clausola generale dell’art. 2043 c.c., quando implica l’accertamento di presupposti di fatto diversi, in tutto o in parte (cfr., tra le varie, Cass. 24 novembre 2005, n. 24799, quanto alla responsabilità ex art. 2050 c.c.).
Nel caso che ci interessa, invece, i fatti allegati in appello sono i medesimi di quelli allegati e provati in primo grado. Basti leggere la citazione introduttiva (lettura consentita a questa Corte dalla specifica censura processuale articolata dalla ricorrente), peraltro testualmente riportata in alcuni brani a pag. 4 della sentenza impugnata, per convincersi che sin dall’origine il privato aveva attribuito all’ente la responsabilità di avere “approntato le impalcature a ridosso del palazzo della sig. S., consentendo ai ladri di accedere ...nel palazzo e di asportare poi ...”.
Spiegazione della domanda che è possibile trovare, nei medesimi termini, anche nella parte espositiva della sentenza (pag. 2), a dimostrazione del fatto che anche il giudice l’ha percepita come strettamente collegata alla predisposizione dei ponteggi, che avevano costituito il tramite per l’illegittimo accesso alla proprietà.
In altri termini, il giudice non ha tenuto conto del fatto che l’attore aveva attribuito il danno alla cosa (al ponteggio) così come era stata predisposta e mantenuta, nel senso che essa era stata la causa stessa del danno, poiché senza la sua predisposizione non sarebbe stato possibile il furtivo accesso all’immobile.
Infatti, la più recente giurisprudenza tende ad attribuire carattere oggettivo alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, ritenendo sufficiente, per la sua configurabilità, che sussista il nesso causale tra la cosa stessa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla sua pericolosità attuale o potenziale (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza (cfr. tra le più recenti Cass. 6 febbraio 2007, n. 2563).
In questo senso, dunque, il giudice d’appello non s’è trovato di fronte ad una inammissibile nuova domanda, bensì di fronte alla proposta di una diversa qualificazione giuridica della domanda stessa; qualificazione che appartiene alla discrezionale scelta del giudice, anche del gravame.
Quanto, poi, alla concreta qualificazione giuridica della fattispecie in trattazione, sin da Cass. 9 febbraio 1980, n. 913, si afferma che, nell’ipotesi di furto in un appartamento, ad opera di ladri che vi si siano introdotti servendosi di un’impalcatura per lavori edilizi installata lungo la facciata di un contiguo edificio, è configurabile, a carico del proprietario di quest’ultimo, la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., la quale può essere esclusa mediante la prova, incombente al soggetto tenuto alla custodia, che l’evento dannoso è dipeso dal fortuito, inteso in senso lato e comprensivo, quindi, del fatto del terzo o della colpa esclusiva del danneggiato.
Risolta questa prima questione, può passarsi all’altra, attinente alla corresponsabilità del comune.
Anche in questo caso il giudice ha enunciato il giusto principio in ordine ai casi in cui il committente può essere considerato responsabile dei danni cagionati nel corso dell’esecuzione dell’appalto, ma non lo ha adeguato al caso concreto. Non ha tenuto conto, infatti, della speciale identità del committente in questione, non identificabile in un privato o in un qualsiasi ente, territorio, alla sicurezza ed alla viabilità cittadina.
In via generale, questa Corte ha avuto già modo di affermare, in tema di appalto di opere pubbliche, che gli specifici poteri di ingerenza della p.a. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l’ente committente (Cass. 5 ottobre 2000, n. 13266). Nel caso specifico, poi, il giudice doveva necessariamente valutare che così poderose strutture poste a servizio delle opere da svolgersi sull’edificio comunale, con restrizione della pubblica via, formazione di tunnel di passaggio ed appoggi su edifici privati non potevano sfuggire al potere d’autorizzazione e di controllo dell’amministrazione municipale. Si tratta, insomma, di quella doverosa ingerenza (alla quale, peraltro, fa riferimento lo stesso giudice) che esclude l’esonero di responsabilità per la stazione appaltante.
Considerazione, questa, che doveva condurre a valutare l’eventuale corresponsabilità della p.a. nella realizzazione e nella manutenzione dei ponteggi.
In conclusione, in relazione a questi punti la sentenza impugnata, siccome resa in violazione di legge e viziata nella motivazione, deve essere cassata ed il giudice del rinvio dovrà adeguarsi ai seguenti principi:
a) la domanda di affermazione della responsabilità per cosa in custodia (art. 2051 c.c.) deve essere considerata, dal giudice d’appello, diversa e nuova e, dunque, inammissibile, rispetto a quella che in primo grado aveva avuto ad oggetto la normale responsabilità per fatto illecito (art. 2043 c.c.) solo nel caso in cui essa implichi l’accertamento di fatti in tutto o in parte diversi da quelli allegati e provati nel primo giudizio; allorquando, invece, sin dall’atto introduttivo della causa l’attore abbia riferito il danno all’azione causale svolta direttamente dalla cosa (nella specie, dai ponteggi che avevano consentito l’accesso dei ladri nell’immobile), l’invocazione della speciale responsabilità ex art. 2051 c.c., si risolve nella richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto, consentita al giudice d’appello;
b) in tema di appalto di opere pubbliche, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della p.a. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l’ente committente.
L’accoglimento dei primi tre motivi ha efficacia assorbente rispetto agli altri. Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:
Accoglie i primi tre motivi del ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catania, anche perché provveda sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2008

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