Con sentenza del 15 – 27.10.2009 la Corte d’Appello di Trieste, confermando la pronuncia di prime cure, per quanto qui specificamente rileva escluse, in relazione al licenziamento irrogato dall’Enfap – Ente Nazionale di Formazione ed Addestramento Professionale, comitato sub regionale di Gorizia onlus (qui di seguito, per brevità, indicato come Enfap), al dipendente S.G. e dichiarato illegittimo dal primo Giudice, l’applicabilità della tutela reale ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/70, sul rilievo che alla parte datoriale andava riconosciuta la natura di organizzazione di tendenza ai sensi dell’art. 4 legge n. 108/90. A fondamento del decisum la Corte territoriale ritenne in particolare che non vi era prova che l’Ente avesse natura imprenditoriale poiché:
- deponevano in tal senso gli elementi desumibili dall’atto costitutivo e dallo statuto (assenza di scopo di lucro; finalità di formazione e di altre attività ivi indicate; mancata distribuzione di utili e avanzi di gestione e obbligo di loro utilizzazione solo per realizzare attività istituzionali ed altre ad esse connesse; sottoposizione alle norma di legge sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale);
– nulla si sapeva dei conferimenti di privati, aziende o altro e del loro rapporto con i servizi istruttivi e formativi resi, né era noto se gli allievi, o chi per loro, pagassero una retta o qualcosa di simile;
– i finanziamenti della Regione non potevano costituire remunerazione di fattori produttivi;
– la presenza di pesanti passività confliggeva con la tesi di un’attività imprenditoriale volta in ogni caso alla remunerazione dei servizi resi e le deposizioni raccolte non aggiungevano altro al riguardo;
niente si sapeva in concreto della economicità dell’attività svolta e, cioè, della potenziale idoneità a produrre utili ed a remunerare in qualche modo l’operato;
- i documenti bancari dimessi comprovavano una serie di uscite volte solo a corrispondere le retribuzioni ai dipendenti; – i conti economici dell’Ente al 3112.1999 ed al 31.12.2000 facevano “intendere che i ricavi delle prestazioni erogate erano quasi tutti connessi a finanziamenti regionali o del Fondo Sostegno Europeo (FSE) o frutto di autofinanziamento”. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, S.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo e illustrato con memoria. L’Enfap ha resistito con controricorso, eccependo altresì l’inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. L’eccezione di inammissibilità svolta dal controricorrente si fonda sul rilievo che il ricorso è stato notificato al difensore che aveva assistito l’Ente in appello, ma in luogo diverso dal domicilio eletto, in tale grado, presso lo studio del difensore domiciliatario. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la notifica del ricorso per cassazione al difensore costituito della parte appellata, privo della qualità di domiciliatario della medesima per il giudizio di appello, deve ritenersi nulla e non inesistente, poiché il professionista presso cui l’atto risulta effettuato è pur sempre un difensore costituito del destinatario, con la conseguenza che tate nullità è senz’altro sanata ove quest’ultimo si costituisca in giudizio (cfr, Cass., nn. 1944/1999; 1108/2006; 20731/2010): l’eccezione in esame va quindi disattesa. 2. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 18 legge n. 300/70 e falsa applicazione dell’art. 4 legge n. 108/90, nonché vizio di motivazione, deducendo che:
– doveva ritenersi più corretto l’orientamento giurisprudenziale che vede onerato il datore di lavoro della prava relativa all’inapplicabilità della tutela disposta dall’art. 18 legge n. 300/70;
– la sentenza impugnata aveva fatto riferimento ad un atto costitutivo approvato il 30,10.2001, precedente al licenziamento, ma successivo alla sospensione dal servizio di esso ricorrente;
la Corte territoriale non aveva tenuto conto di ulteriori elementi di giudizio, acquisiti in causa, da cui andava desunta la natura imprenditoriale della parte datoriale (risultanze dei conti economici 31.12.1999 e 31.12.2000; numero rilevante di dipendenti; indicazione nelle note integrative ai bilanci di crediti verso clienti; sottoposizione della parte datoriale all’Irap e all’Iva; qualificazione dei contributi economici provenienti dalla Regione e dal Fondo Sociale Europeo come corrispettivi di servizi prestati dall’Ente) e la potenzialità di realizzazione di un utile economico, con conseguente mancanza di indicatività delle perdite di bilancio.
3. Deve ritenersi inaccoglibile il profilo di censura relativo all’avvenuta valorizzazione, da parte della Corte territoriale, di uno statuto approvato dopo l’avvenuta sospensione dal servizio, sia perché, dal punto di vista formale, il licenziamento è stato irrogato in data successiva, sia perché, sotto l’aspetto sostanziale, non è stato neppure dedotto che, precedentemente, l’attività e gli scopi dell’Ente divergessero da quelli indicati nello Statuto esaminato.
4. In relazione agli altri profili di censura deve invece rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte:
– l’inapplicabilità ad un licenziamento della disciplina di cui all’art. 18 legge 300/70, in ragione dello svolgimento senza fine di lucro, da parte del datore di lavoro, di attività politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto (art. 4 legge 108/90), non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, non facendosi valere con essa alcun diritto sostanziale di impugnazione e, pertanto, non rientrando fra quelle eccezioni riservate alla esclusiva disponibilità delle parti; come tale può pertanto essere rilevata dal giudice d’ufficio anche in grado di appello, ovvero anche in caso di contumacia della parte (cfr, Cass., nn. 10640/2000; 12349/2001);
– la disciplina stabilita per le cosiddette “organizzazioni di tendenza” dall’art. 4 legge n. 108/90, che esclude l’operatività della tutela reale stabilita dall’art. 18 n. 300/70, è derogatoria alla regola generale di piena riparazione della lesione inferta al diritto soggettivo al lavoro di cui all’art. 4 della Costituzione, ha carattere eccezionale ed è di stretta interpretazione, con la conseguenza che la stessa non è applicabile ove manchi l’accertamento delle modalità di svolgimento dell’attività e si versi nell’impossibilità di escluderne il carattere imprenditoriale in presenza dell’erogazione di servizi a terzi che siano tenuti a pagare un corrispettivo proporzionale al valore dei servizi stessi (cfr. Cass., n. 24437/2010);
– in tema di licenziamento, l’applicazione della disciplina prevista per le cosiddette organizzazioni di tendenza dall’art. 4 della legge n. 108/90, presuppone l’accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto e, più in generale, qualunque attività prevalentemente ideologica, purché in assenza di una struttura imprenditoriale (cfr. Cass., n. 11777/2011);
- al fine di configurare un’organizzazione di tendenza, che, ai sensi dell’art. 4 legge n. 108/90, è esclusa dall’ambito di operatività della tutela reale, è necessario che si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti previsti dall’art. 2082 cc (e cioè professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività) e l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108/90 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento in concreto da parte del giudice di merito sia dell’assenza nella singola organizzazione di una struttura imprenditoriale, sta della presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dalla stessa legge all’art. 4 (cfr, Cass., nn. 12926/1999; 20442/2006; 21685/2008);
– ai fini dell’applicazione dell’art. 4 legge n. 108/90, che esclude dall’ambito di operatività dell’art. 18 n. 300/70 i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, il datore di lavoro è qualificabile o meno imprenditore in base alla natura dell’attività da lui svolta, da valutare secondo gli ordinari criteri, che fanno riferimento al tipo di organizzazione e all’economicità della gestione, a prescindere dall’esistenza di un vero e proprio fine di lucro (cfr, Cass., nn. 18218/2002; 1367/2004).
5.1 Alla luce di tali principi la decisione impugnata appare anzitutto censurabile laddove trae argomenti per l’esclusione della tutela reale dalla rilevata assenza di elementi di giudizio relativi alla remunerazione di servizi resi, alla natura dei conferimenti, ai pagamenti di rette o comunque di corrispettivi per lo svolgimento dell’attività informativa, ossia di quei fattori che, se sussistenti, comproverebbero la qualifica imprenditoriale dell’attività esercitata, piuttosto che ravvisare, nella impossibilità di accertare le effettive modalità di svolgimento dell’attività e di escluderne quindi il carattere imprenditoriale, ragioni per la generale applicazione della tutela dettata dall’art. 18 legge n. 300/70.
5.2 Al contempo la motivazione della sentenza impugnata si presenta insufficiente laddove, escludendo la natura imprenditoriale dell’attività esercitata, afferma apoditticamente che i finanziamenti della Regione non potevano costituire remunerazione di fattori produttivi e trascura di indagare sulla rilevanza di significativi elementi di giudizio, pur evincibili dagli atti acquisiti (in particolare dai bilanci, dai conti economici e dalle note integrative), inerenti ad appostazioni contabili relative a tasse di iscrizione, a ricavi per concessione in uso di locali e attrezzature, a cospicui importi per salari e stipendi dei dipendenti, a oneri pluriennali e ad immobilizzazioni, a crediti verso soggetti terzi, all’assoggettamento dell’Ente all’Irap e all’Iva), anche nell’ottica, già evidenziata dalla ricordata giurisprudenza, che impone il riferimento al tipo di organizzazione e all’economicità della gestione, a prescindere dall’esistenza di un vero e proprio fine di lucro.
7. In definitiva il ricorso risulta fondato nei termini testé indicati e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle doglianze accolte, con rinvio per nuovo esame al Giudice designato in dispositivo, che deciderà conformandosi ai suindicati principi e provvederà altresì sulle spese dei giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle doglianze accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia.