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Home » Civile e procedura civile » Cassazione civile, sez. lavoro, 16 aprile 2008, n. 9978

Cassazione civile, sez. lavoro, 16 aprile 2008, n. 9978

RedazionediRedazione
16 Aprile 2008
inCivile e procedura civile, Sentenze
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6-23 giugno 2003 il Tribunale di Torino accoglieva la domanda di T.A.M. volta ad ottenere il computo del premio aziendale di anzianità percepito ai fini del calcolo del TFR e, conseguentemente, condannava la FIAT Auto s.p.a. al pagamento in suo favore di Euro 196,88 oltre rivalutazione e interessi.

Con ricorso depositato il 22.6.2004 la FIAT Auto proponeva appello chiedendo il rigetto della domanda avanzata con il ricorso introduttivo, lamentando, per quanto ancora interessa in questa sede, l’omessa pronuncia da parte del primo Giudice sulla preliminare eccezione di improponibilità della domanda avversaria, svolta nella memoria difensiva di primo grado.

In particolare, faceva presente che, costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva dedotto che la T., successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro ed alla liquidazione delle competenze di fine rapporto, avesse già promosso altri due giudizi, nei quali aveva rivendicato rispettivamente l’incidenza sul TFR del lavoro straordinario prestato in corso di rapporto e la corresponsione di interessi legali e rivalutazione monetaria in riferimento al tardivo pagamento dello stesso TFR. La Fiat Auto precisava, ancora, che i due giudizi si erano conclusi con una conciliazione ed una sentenza passata in giudicato e rilevava che a distanza di anni la lavoratrice formulava una nuova domanda di rideterminazione del TFR per effetto di quanto percepito a titolo di premio di anzianità aziendale.

Sulla base di queste premesse, la società eccepiva l’improponibilità della nuova domanda, sostenendo che il giudicato, che si era formato con la sentenza già intervenuta fra le parti, copriva non solamente il dedotto ma anche il deducibile e, quindi, anche la richiesta oggetto del giudizio de quo.

Costituendosi, l’appellato chiedeva il rigetto del gravame.

Con sentenza del 10-23 febbraio 2005, l’adita Corte d’appello di Torino rigettava l’impugnazione.

Osservava, a sostegno del decisum, che l’oggetto del giudizio, di cui era investito, si identificava nell’esatta determinazione del TFR in quanto comprensivo del computo della voce denominata premio di anzianità, e, pertanto, esso era del tutto distinto da quello precedente, ove la T., prescindendo dal controllo circa l’esatto computo del TFR (e dalla inclusione nello stesso di tutte le voci retributive), pretendeva la corresponsione degli accessori computati sul capitale versato e pagato in ritardo; inammissibile doveva invece considerarsi il motivo d’appello in riferimento al precedente giudizio concluso con la conciliazione giudiziale, essendosi la società, in primo grado, limitata a sollevare un’eccezione di giudicato, in relazione alla sentenza già intervenuta fra le parti.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Fiat Auto S.p.A. con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

T.A.M. non si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il proposto ricorso, articolato in due motivi, la Fiat Auto S.p.A., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che la Corte d’appello abbia trascurato di considerare nei giusti termini che il giudicato, formatosi con la sentenza già intervenuta fra le parti, copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio (id est il giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito).

L’impugnata sentenza avrebbe, inoltre, motivato in maniera inadeguata la propria decisione incorrendo nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella fattispecie – puntualizza la ricorrente – l’ammontare del TFR indicato dalla T. nel precedente giudizio, quale base di calcolo degli accessori di legge richiesti in quella sede, non aveva formato oggetto di contestazione alcuna da parte della Società convenuta e, proprio per tale ragione, il Giudice non aveva ravvisato la necessità di alcun ulteriore accertamento. In tal modo l’ammontare del TFR colà indicato dalla T. era divenuto oggetto di giudicato implicito, come tale insuscettibile di riesame in altra sede giudiziale nell’ambito della quale il lavoratore pretenda di ottenerne la riliquidazione sotto il profilo del mancato computo dell’incidenza sul medesimo di alcune voci retributive (il Premio Aziendale di Anzianità, per l’appunto).

Nel caso di specie, rimettere in discussione l’importo del TFR equivarrebbe a frustrare l’esito del precedente giudizio, giacché la riliquidazione del TFR (per inclusione dell’ulteriore voce retributiva rivendicata) comporterebbe necessariamente la sopravvenuta erroneità della quantificazione delle somme accessorie (interessi e rivalutazione monetaria) operata dal precedente Giudice, in quanto la stessa risulterebbe operata su una base di calcolo inferiore poichè valutata “al netto” dell’incidenza delle voci retributive rivendicate ex post.

Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

Giova premettere che, secondo un principio da ritenersi ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimità, non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Cass. SS.UU. 15 novembre 2007 n. 23726).

Tale principio – come puntualizzato da questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 23726/07 cit.) – è venuto in emersione in un quadro normativo evolutosi negli ultimi tempi sotto un duplice profilo: da un lato si è assistito ad una sempre più accentuata valorizzazione della regola di correttezza e buona fede in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.; dall’altro, l’affermarsi del canone del “giusto processo”, di cui al novellato art. 111 Cost., ha comportato una lettura “adeguata” della normativa di riferimento (in particolare dell’art. 88 c.p.c.), nel senso del suo allinearsi al duplice obiettivo della ragionevolezza della durata del procedimento e della giustezza del processo, “inteso come risultato finale (della risposta cioè alla domanda della parte), che giusto non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltrechè la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi”.

In applicazione del suddetto principio, nelle sue varie articolazioni, deve ritenersi che, qualora il TFR formi oggetto di un’azione giudiziaria di condanna proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro dopo la cessazione del rapporto, resta preclusa una nuova domanda di riliquidazione dello stesso trattamento, ancorchè fondata su ragioni non dedotte – ma tuttavia deducibili – nel precedente giudizio e ciò in base all’ulteriore principio – da intendersi in maniera rigorosa – secondo cui la cosa giudicata copre non solo il dedotto, ma anche il deducibile (ex plurimis, Cass. 18 marzo 2004 n. 5514).

La rinnovata prospettiva del concetto di “deducibile”, imposta dai canoni di “correttezza e buona fede” e del “giusto processo”, comporta l’inaccettabilità delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata in adesione all’assunto della difesa della T., alla cui stregua la pronuncia con la quale è stato riconosciuto il diritto agli accessori per il tardivo pagamento del trattamento di fine rapporto non precluderebbe la pretesa relativa all’incidenza del premio di anzianità sul TFR, non essendosi formato alcun giudicato su di un precedente logico, essenziale e necessario della pronuncia.

Invero, non vi sono ragioni per ritenere – nè ne sono state prospettate – che, allorquando, a causa del tardivo pagamento del TFR, è stata fatta domanda per gli accessori (dedotto), costituenti -come è noto – ai sensi dell’art. 429 c.p.c., comma 3, parte essenziale del credito di lavoro (ex plurimis, Cass. 19 luglio 2006 n. 16531), non potesse richiedersi, con la medesima domanda, anche l’inclusione, nel computo di detto trattamento, del premio di anzianità (deducibile), sicchè, nel momento stesso in cui si è specificato l’importo del TFR, rispetto al quale la doglianza, in via giudiziale, attiene unicamente alla mancata sua integrazione mediante rivalutazione ed interessi, detto importo rappresenta la base di riferimento non più suscettibile di modifica per effetto del giudicato formatosi su di esso.

Più in dettaglio, nella fattispecie che ci occupa, la questione, su cui la Corte di appello ha (erroneamente) negato essersi formato il giudicato implicito (dando così accesso alla nuova iniziativa giudiziaria della T. volta ad ottenere la riliquidazione dell’istituto per cui è causa), è rappresentata dall’importo capitale del TFR di competenza del lavoratore, importo che nel precedente giudizio era stato indicato dal ricorrente stesso, ed aveva costituito la base di calcolo degli accessori di legge (interessi e rivalutazione monetaria), rivendicati in quella sede e riconosciuti dal Magistrato.

Sulla scorta dei principi sopra richiamati, tuttavia, la determinazione del Giudice a quo non può essere condivisa giacché la circostanza che il precedente Giudice si sia astenuto (come ha rilevato la Corte d’appello torinese nella sentenza impugnata) da una attività di “controllo circa l’esatto computo del TFR (e della inclusione nello stesso di tutte le voci retributive), lungi dal rappresentare una omissione che autorizzerebbe la T. a “ritornare sull’argomento”, ha al contrario costituito un comportamento dovuto, essendosi a monte formata la certezza giuridica sull’importo del TFR in linea capitale in ragione delle deduzioni dello stesso lavoratore, che ha indicato l’importo corrispostogli dalla società datrice di lavoro come bisognevole unicamente di essere integrato dagli accessori di legge.

Nella fattispecie, essendo unica la causa del credito ed unico il momento di maturazione dello stesso, unica deve ragionevolmente essere l’azione diretta a conseguirne il pagamento, nè può, altrettanto ragionevolmente, consentirsi che il giudice riesamini più volte lo stesso rapporto obbligatorio e attribuisca, eventualmente alla prestazione dovuta sulla base ad esso una diversa consistenza di volta in volta.

Per quanto esposto, il ricorso va accolto con annullamento della sentenza impugnata; per l’effetto va dichiarato che la causa promossa da T.A.M. non poteva essere proposta.

L’orientamento giurisprudenziale accolto, affermatosi con decisione solo di recente in seguito alla richiamata pronuncia delle SS.UU. n. 23726/07, induce a compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e dichiara che la causa promossa da T.A.M. non poteva essere proposta. Compensa le spese dell’intero processo.

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