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    Sentenze

    Cassazione civile, sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26161

    Redazionedi Redazione6 Gennaio 2015Aggiornato il:6 Gennaio 2015
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    Fatto

    1. Alla D.M. Trasporti srl fu ingiunto di pagare a favore della Costa Container Line s.p.a. la somma di oltre Euro 67 mila, quale corrispettivo dovuto per il servizio di trasporto. Con l’opposizione l’opponente sostenne di aver estinto il proprio debito consegnando assegni postdatati alla agente della creditrice (Eurotrasporti Shipping, poi fallita) in data 9 gennaio 2001, prima che, con nota del 15 gennaio successivo, la creditrice le chiedesse il pagamento comunicandole che erano cessati i rapporti con il proprio agente.
Aggiunse che la somma portata dal decreto era superiore a quella risultante da tutti gli assegni perchè la Costa, nella richiesta di pagamento, non aveva tenuto conto di uno storno, pari a circa 7 milioni e mezzo di lire.
La società creditrice opposta sostenne che per verificare la legittimazione dell’agente occorresse far riferimento non alla consegna degli assegni ma alla data in cui gli assegni (postdatati) avrebbero potuto essere incassati, successiva alla nota con cui si era comunicato all’opponente la cessazione del rapporto di agenzia.
Che, comunque, ricevuta la comunicazione della revoca del rapporto di agenzia, la debitrice avrebbe dovuto chiedere la restituzione degli assegni alla agente e pagare, comunque, la Costa.
L’opposizione proposta dalla D.M. fu accolta e il decreto ingiuntivo revocato.
La Corte di appello di Genova adita dalla Costa, nella contumacia del Fallimento della Eurotrasporti, accolse l’impugnazione e, in totale riforma della sentenza impugnata, respinse l’opposizione al decreto ingiuntivo, che confermò (sentenza del 29 marzo 2010).
2. Avverso la suddetta sentenza, la D.M. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la Costa.
Il Fallimento della società agente della creditrice (Eurotrasporti) non è stato intimato.

    Diritto

    1. Preliminarmente, va rilevato che la mancata intimazione del fallimento non è rilevante in considerazione delle questioni ancora oggetto del giudizio di legittimità. Infatti, la richiesta della società D.M. di essere tenuta indenne dalle conseguenze di una sua eventuale condanna, assorbita evidentemente in primo grado, non fu riproposta in appello dalla società.
2. Nel respingere il secondo motivo di appello della società creditrice Costa, che aveva rilevato la violazione degli artt. 1188 e 2697 cod. civ., la Corte di appello ha affermato che, sulla base dell’istruttoria espletata, la Eurotrasporti risultava legittimata come agente a riscuotere per conto della creditrice sino al 15 gennaio 2001 e che, quindi, era legittimata a ricevere il 9 precedente del mese i quattro assegni postdatati consegnati (portanti date dal febbraio 2001 al maggio 2002).
Ha aggiunto che diversa è la questione se il debitore, con la consegna degli assegni postdatati all’agente legittimato, si sia liberato dall’obbligazione. Nell’accogliere il primo e il terzo motivo di appello, con i quali la società creditrice aveva rilevato la mancanza di prova dell’avvenuto incasso da parte dell’agente e l’erroneità della argomentazione secondo cui la consegna degli assegni equivaleva a pagamento e all’estinzione dell’obbligazione, la Corte di merito ha sostenuto di non condividere la ratio dell’accoglimento dell’opposizione, espressa dal giudice di primo grado, secondo il quale, essendo nullo il patto di post-datazione e potendo il prenditore esigere subito il pagamento, gli assegni hanno svolto la loro funzione di mezzi di pagamento in un momento in cui la Eurotrasporti era legittimata a ricevere i pagamenti per conto della creditrice mandante, non potendosi addebitare al debitore se il prenditore non li aveva incassati o se, incassati, non li aveva trasferiti al mandante.
Invece, ha argomentato la Corte di appello, l’assegno postdatato non sfugge alla regola generale secondo cui, in caso di consegna di titoli, l’effetto solutorio si verifica solo in caso si sia dato corso all’incasso. Con la conseguenza che l’obbligazione si estingue e il debitore è liberato solo con l’incasso, e non è sufficiente la consegna dei titoli anche se immediatamente pagabili. Quindi, sempre secondo la Corte di appello, la società debitrice per essere liberata dall’obbligo di pagamento alla creditrice avrebbe dovuto provare – quale fatto costitutivo della sua eccezione di pagamento – l’incasso da parte di Eurotrasporti nei giorni precedenti alla data della revoca del rapporto di agenzia. Ha, poi precisato che, al contrario di quanto sostenuto dalla società debitrice, non si tratta di una eccezione che avrebbe dovuto essere sollevata da controparte.
E, sempre secondo la corte di appello, tale prova del fatto costitutivo della eccezione di pagamento, non era stata fornita dal debitore, il quale non aveva mai nemmeno dedotto che i titoli erano stati pagati al prenditore o a terzi giratari, come avrebbe potuto fare con l’estratto dei propri conti correnti. Mentre aveva invocato solo l’astratta riscuotibilità o l’astratta possibilità di girata.
Ha aggiunto ancora la Corte di merito, che la società debitrice non aveva chiesto il sequestro, non aveva chiesto alla propria banca di non adempiere, nè aveva chiesto per iscritto la restituzione degli assegni, fermo restando che non poteva interferire con la libera circolazione dei titoli.

    3. Il primo, il terzo e il quarto motivo sono strettamente collegati e meritano una trattazione unitaria.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito avrebbe incentrato la decisione sulla mancanza di prova dell’avvenuto pagamento dei titoli come mancata verificazione dell’effetto solutorio, mentre tale profilo sarebbe stato eccepito per la prima volta in appello dalla creditrice e la Corte di merito non avrebbe pronunciato sulla eccezione di novità della deduzione fatta valere tempestivamente in appello dalla società debitrice.
Con il terzo motivo si deduce la violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 31; con il quarto motivo, si deduce la violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 35.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che anche l’assegno postdatato intestato all’agente del creditore, nonostante fosse immediatamente pagabile per effetto della nullità del patto di postdatazione, non si sottraeva alla regola generale relativa ai titoli di credito, secondo la quale l’effetto solutorio si verifica, con liberazione del debitore, solo quando sia dato corso all’incasso.
Si contrappone la tesi, seguita dal giudice di primo grado, secondo cui l’effetto liberatorio dell’obbligazione sarebbe avvenuto con la consegna degli assegni postdatati a prenditore intestatario autorizzato a ricevere il pagamento a quella data, stante la possibilità del prenditore autorizzato di riscuoterli subito (art. 31, R.D.) e l’impossibilità di revoca del pagamento prima della scadenza del termine di presentazione (art. 35 stesso r.d. del 1933).
Quest’ultima norma è richiamata in riferimento alle argomentazioni (per quanto si dirà dopo irrilevanti rispetto alla decisione) relative al comportamento successivo del debitore.
La ricorrente richiama poi una decisione (Cass. n. 17749 del 2009), nella quale, fermo il principio della riscossione per l’effetto solutorio, si afferma che, trattandosi di mezzo di pagamento perfezionato con la consegna, la prova del pagamento quale fatto estintivo dell’obbligazione incombe sul creditore, non essendo la stessa diabolica, stante la legge di circolazione dei titoli secondo la quale il possesso del titolo implica mancato pagamento.

    3.1. Tutte le censure, per alcuni profili inammissibili, sono prive di pregio e vanno rigettate.
Preliminarmente vanno chiariti i confini della controversia.
Non è più in questione che al momento della consegna da parte del debitore degli assegni postdatati all’agente questi era legittimato a riscuotere i crediti. La Corte di appello ha espressamente rigettato (come sintetizzato nel p.2) l’impugnazione su tale profilo e la questione non è stata più riproposta in questa sede.

    3.2. Il primo profilo di censura (terzo motivo) che rileva è se il principio generale consolidato, secondo cui l’effetto solutorio dell’assegno si realizza con l’incasso, valga anche nel caso di assegno postdatato.
La ricorrente debitrice vorrebbe far discendere l’effetto solutorio dell’obbligazione dal carattere dell’assegno postdatato, quale idoneo mezzo di pagamento che si perfeziona con la consegna al prenditore, essendo pagabile a vista, non ritenendo necessaria la prova dell’avvenuto incasso. La Corte di appello ha ritenuto che il debitore non può ritenersi liberato se non prova l’avvenuta riscossione degli assegni, quale fatto costitutivo dell’eccezione proposta di avvenuto pagamento, applicando la regola generale anche all’assegno postdatato.
3.2.1. La censura va rigettata.
Nessuno dubita che, ai sensi del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 31, la postdatazione non induce di per sè la nullità dell’assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento. Con la conseguenza, che l’assegno bancario postdatato, non diversamente da quello regolarmente datato, deve considerarsi venuto ad esistenza come titolo di credito e mezzo di pagamento al momento stesso della sua emissione, che si identifica con il distacco dalla sfera giuridica del traente ed il passaggio nella disponibilità del prenditore. Il principio è pacifico nella giurisprudenza, che ne ha fatto innumerevoli applicazioni (es., Cass. n. 2160 del 2006) e non è messo in discussione neanche dalla ricorrente.
La ricorrente erra nel volere trarre da questo principio una conseguenza, in riferimento all’effetto solutorio, per distinguere nettamente l’assegno regolare dall’assegno postdatato, ritenendo che, mentre, per l’effetto solutorio del primo sarebbe necessario l’incasso, per il secondo tale prova non sarebbe necessaria potendo il prenditore esigere immediatamente il suo pagamento.
Con evidenza, la ricorrente intreccia due diversi piani: quello del momento in cui l’assegno viene ad esistenza e quello del momento nel quale l’effetto solutorio dell’obbligazione si realizza. Proprio al fine di consentire la tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, anche se postdatato, l’assegno viene ad esistenza nel momento del passaggio dal traente al prenditore e il pagamento può essere richiesto quando il prenditore vuole, coincidente con il momento della presentazione all’incasso e, quindi, prima del giorno illegittimamente indicato come data di emissione. Infatti, la conseguenza della nullità della postdatazione è solo che l’assegno postdatato può essere presentato per la riscossione prima del giorno indicato come data di emissione essendo dalla legge considerato pagabile nel giorno della presentazione all’incasso.
Invece, tutt’altra questione è quella relativa al fatto estintivo dell’obbligazione, coincidente con la presentazione per l’incasso e l’incasso effettivo, verificandosi l’effetto liberatorio per il debitore quando il creditore acquisisce concretamente la disponibilità della somma di denaro (Sez. Un. n. 26617 di 2007;
Cass. n. 8927 del 1998).
D’altra parte, a fini diversi, la Corte ha avuto modo di distinguere, rispetto agli assegni postdatati, la diversità tra venuta ad esistenza del titolo e incasso dello stesso (Cass. n. 13259 del 2006;
n. 6265 del 2012).
Pertanto, deve concludersi nel senso che, nel caso di assegno bancario postdatato, la sua venuta ad esistenza come mezzo di pagamento al momento della emissione, identificata con il distacco dalla sfera giuridica del traente ed il passaggio nella disponibilità del prenditore, consentendo al creditore solo di esigere immediatamente il pagamento, non rileva ai fini del fatto estintivo dell’obbligazione liberatorio per il debitore, costituito dall’incasso.

    3.3. Il secondo profilo di censura rilevante attiene all’onere della prova dell’avvenuto pagamento (primo e quarto motivo).
La ricorrente dopo aver posto il problema sotto un profilo processuale (primo motivo) adducendo la novità per essere stato posto solo con l’appello dalla società creditrice e l’omessa pronuncia sulla eccezione di novità, lo pone da un punto di vista del diritto sostanziale, sia pure senza mai invocare espressamente l’art. 2697 cod. civ. (quarto motivo).
3.3.1. Nessun pregio ha il profilo processuale.
Centrale ed assorbente è la considerazione che la Corte di merito ha rilevato che la prova del pagamento, quale incasso a fini solutori, spettava alla società debitrice che aveva eccepito l’avvenuto pagamento. Ha aggiunto, in risposta alla eccezione di novità, che non si trattava di eccezione da sollevarsi dalla controparte creditrice.
In tal modo ha fatto corretta applicazione del principio costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, la parte convenuta in giudizio per il pagamento di una somma di denaro che eccepisca di avere adempiuto alla propria obbligazione ammette, per ciò stesso, sia pur implicitamente, l’esistenza del rapporto su cui si fonda la pretesa della controparte, la quale, conseguentemente, è sollevata dall’onere della relativa prova, incombendo sul convenuto il compito di dimostrare il proprio assunto difensivo in base al principio per cui chi eccepisce l’estinzione del diritto fatto valere nei suoi confronti deve provare il fatto su cui l’eccezione si fonda (da ultimo Cass. n. 14610 del 2014).
3.3.2. Nel merito, la ricorrente, per superare la tesi che l’eccezione di avvenuto pagamento deve essere provata dal debitore eccipiente, richiama una pronuncia della Corte (Cass. n. 17749 di 2009) in cui si è affermato che “In caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, pro solvendo; tuttavia, poichè l’assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento”.
Evidente è la non conferenza della decisione richiamata rispetto alla specie ora all’esame della Corte. La decisione si riferisce all’ipotesi in cui viene in rilievo il rapporto tra traente e prenditore e, basandosi sulla legge di circolazione del titolo, fa gravare sul creditore/prenditore la prova del mancato incasso atteso che il possesso del titolo da parte di questi attesta il mancato incasso.
Nel nostro caso, invece, il creditore/preponente attore che agisce verso il debitore, secondo quanto non più in contestazione, aveva conferito all’agente il potere di riscuotere (secondo la previsione dell’art. 1744 c.c.) e gli assegni erano stati consegnati all’agente preposto quando questi era ancora legittimato. Allora, per porre correttamente la questione della estensibilità della giurisprudenza richiamata, la ricorrente non avrebbe potuto prescindere da questa particolarità ponendo il problema di come può operare la legge di circolazione dei titoli rispetto a chi aveva autorizzato la riscossione da parte dell’agente.
Comunque, va ricordato che la Corte di merito ha negato l’esistenza in atti di ogni prova in ordine all’incasso e, prima ancora, di ogni allegazione in riferimento all’incasso da parte di chiunque (agente preposto o creditore).
3.3.3. Deve aggiungersi che non assumono autonomo rilievo le censure (sempre nel quarto motivo) relative alla parte della motivazione che si sofferma sul comportamento successivo alla dazione dell’assegno da parte del debitore. Infatti le affermazioni della sentenza censurate sono non influenti sull’esito della decisione della Corte di appello, atteso che questa aveva rigettato l’appello sull’assunto centrale della mancanza di ogni prova, neanche allegata, in ordine all’avvenuto pagamento.

    4. Il secondo motivo di ricorso è autonomo rispetto agli altri tre.
Questo riguarda il profilo di opposizione della D.M. concernente la somma, di circa 7 milioni di lire, inclusa nel decreto ingiuntivo e che la D.M. assumeva non dovuta per l’esistenza di una fattura/nota di debito relativa a sconti riconosciuti.
La ricorrente debitrice deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale omessa pronuncia.
4.1. Il motivo è inammissibile.
E’ vero che la sentenza di appello non ha speso alcuna parola in motivazione su quello che era stato un motivo di opposizione diverso dal pagamento mediante assegni, opposizione conclusa con l’integrale accoglimento e la revoca del decreto ingiuntivo, anche se ad esso si riferisce quando, nel riportare l’appello di Costa, riferisce come subordinata la richiesta di condanna della D.M. a Euro 3.800,00 nel caso di mancata conferma del decreto ingiuntivo e, nel riportare la costituzione in appello della D.M., riferisce della richiesta di rigetto dell’appello.
Tuttavia, la Corte non è posta in grado di decidere la censura sulla base del ricorso. Questo non rispetta compiutamente l’art. 366 c.p.c., n. 6.
Pur riportando stralci degli atti processuali, questi non sono decisivi per ricostruire lo svolgimento del processo rispetto al suddetto motivo di opposizione, consentendo poi alla Corte il controllo diretto sugli atti.
La corte non è posta in grado di verificare, sulla base del ricorso, la decisività della censura. La ricorrente, infatti, non riporta le ragioni dell’accoglimento dell’opposizione in primo grado rispetto a tale profilo e i motivi di censura alla stessa da parte della Costa, della quale riferisce solo della richiesta subordinata di condanna parziale, quantomeno, a tali minori somme.
5. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza.

    P.Q.M.

    LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2014

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