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Home » Lavoro Previdenza » Cassazione civile, sez. lavoro, 1 aprile 2016, n. 6387

Cassazione civile, sez. lavoro, 1 aprile 2016, n. 6387

Avv. Gianluca LancianodiAvv. Gianluca Lanciano
11 Aprile 2016
inLavoro Previdenza, Sentenze
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 4/12/2009 davanti al Tribunale di Pinerolo M.M. conveniva in giudizio la soc CEVA Automotive Logistic ed esponeva che aveva lavorato a favore della convenuta in base a contratti di lavoro somministrati a termine a decorrere il primo dal 27/2/2006 motivato da esigenze sostitutive presso lo stabilimento di (OMISSIS); che detti contratti con l’utilizzatore erano illegittimi e pertanto chiedeva l’accertamento di un contratto di lavoro subordinato alle dipendenze della CEVA. Nel costituirsi in giudizio la CEVA affermava di aver ceduto in data 29/12/2009 il ramo d’azienda comprendente l’attività logistica di (OMISSIS) alla Fiat Group di cui chiedeva la chiamata in causa. Costituitasi anche la Fiat Group, il Tribunale accertava la nullità del contratto dl fornitura di lavoro temporaneo per violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, e, in applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, e dell’art. 2112 c.c., dichiarava la M. dipendente della CEVA dal 27/2/2006 al 31/12/2009 e della Fiat Group dall’1/1/2010 con condanna delle due società alla regolarizzazione del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni dal 30/6/2009 al 31/12/2009 con ulteriore condanna della Fiat Group a pagare le retribuzioni dal 31/12/2009 alla reintegra.
La Corte d’appello di Torino, con la sentenza qui impugnata, ha confermato la sentenza del Tribunale appellata da Fiat Group. Ritenuta infondata l’eccezione di ultrapetizione per non avere la M. esteso la sua domanda anche nei confronti della Fiat, la Corte territoriale ha affermato che, a prescindere dalla natura dichiarativa o costitutiva della sentenza del Tribunale, si perveniva comunque al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato tra la M. e la CEVA antecedente alla data di trasferimento di azienda del 31/12/2009 con la conseguenza che, in applicazione dell’art. 2112 c.c., il rapporto di lavoro della M., da considerarsi sussistente con la CEVA al momento del trasferimento d’azienda, era continuato con la cessionaria Fiat Group. La Corte d’appello ha poi condiviso la decisione del Tribunale secondo cui le ragioni giustificative del termine al contratto di somministrazione erano aspecifiche e comunque la Ceva non aveva assolto all’onere probatorio relativo alla effettiva sussistenza di dette esigenze sostitutive.
La Corte ha ritenuto, infatti, che l’assoggettamento alla disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, così come richiamato nel D.Lgs. n. 276 del 2003, comportava l’applicazione del principio di specificità per cui l’apposizione del termine era priva di effetto se non risultavano, direttamente o indirettamente da atto scritto, le ragioni di carattere tecnico, produttive organizzative sostitutive citate nel D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, riprese con identica formulazione nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4.
Ha quindi rilevato che tale principio di specificità era da intendersi come onere del datore di lavoro di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare trasparenza e veridicità di tali ragioni nonché l’immodificabilità delle stesse, le circostanze che contraddistinguevano il ricorso al lavoro a termine; che nella fattispecie il principio di specificità non era stato rispettato nel primo contratto stipulato con la conseguenza della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con l’utilizzatore.
Infine la Corte ha ritenuto inapplicabile la L. n. 183 del 2010, art. 32.
Avverso la sentenza ricorre in cassazione Fiat Group Automobiles spa, ora FCI Italy spa, con 6 motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. La CEVA e la M. sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 103 e 106 c.p.c., per avere la Corte ritenuto che la chiamata della CEVA non fosse avvenuta a titolo di garanzia con la conseguenza che la domanda si sarebbe estesa automaticamente nei confronti della Fiat Group; nonché vizio di motivazione.
2) Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte dichiarato la continuazione del rapporto di lavoro con la Fiat e la responsabilità solidale della stessa per i crediti retributivi della M. ai sensi dell’art. 2112 c.c., in assenza di una domanda attorea in tal senso.
I due motivi, congiuntamente esaminati, non sono idonei ad invalidare la sentenza impugnata.
La Corte d’appello ha precisato che la M. era venuta a conoscenza della cessione solo con la costituzione della Ceva; che la chiamata del cessionario a cura della cedente non era avvenuta a titolo di garanzia impropria ma ex lege; che infatti l’art. 2112 c.c., stabilisce la continuità del rapporto di lavoro con il cessionario e che, pertanto la Fiat Group era stata chiamata nella sua qualità di soggetto passivo con la conseguenza che la M. non era tenuta ad estendere espressamente la sua domanda nei confronti della chiamata in causa. A fronte di tali argomentazioni la ricorrente, nell’affermare invece che la chiamata era avvenuta a titolo di garanzia, non riporta l’esatto tenore della chiamata della Fiat Group in primo grado difettando, a riguardo, il ricorso di autosufficienza; Né la ricorrente spiega le ragioni per cui la chiamata avrebbe dovuto essere ricondotta a quella di garanzia.
Dalla sentenza emerge che la chiamata in causa della Fiat Group è avvenuta nella sua qualità di legittimato passivamente essendo la ricorrente indicata dalla Ceva quale il soggetto tenuto a rispondere della pretesa della lavoratrice con la conseguenza che correttamente la Corte ha affermato che la domanda di quest’ultima si era estesa automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza. (Cfr. Cass. 1522/2006, 5057/2010, 5400/2013 secondo cui “Nell’ipotesi in cui il terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall’attore, la domanda attrice si estende automaticamente ad esso, senza necessità di un’espressa istanza, dal momento che il giudizio verte sull’individuazione del responsabile sulla base di un rapporto oggettivamente unico”). Sulla base di tali considerazioni nessuna violazione delle norme citate risulta posta in essere dalla Corte territoriale.
3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2112 c.c., in riferimento al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, per avere la Corte ritenuto applicabile l’art. 2112 c.c., anche ai lavoratori il cui rapporto sia stato giudizialmente costituito D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 27, in epoca successiva alla cessione del ramo d’azienda, nonché vizio di motivazione.
Deduce che la portata costitutiva e sanzionatoria della sentenza resa ex art. 27, che individua l’utilizzatore quale soggetto sanzionato, nonché l’estraneità alla ratio della norma di ogni finalità di tutela reale come il licenziamento, impedivano di ritenere esistente il rapporto tra la ricorrente e la Fiat Group e in atto al momento della cessione.
4) Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, e art. 21, comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 22, comma 2, e al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per avere la Corte d’appello ritenuto che la causale nel contratto commerciale di somministrazione debba essere specifica.
La Corte ha creato un’indebita commistione tra le due fattispecie contrattuali (contratto commerciale di somministrazione e contratto di lavoro somministrato) ritenendo che i vizi o le carenze, sotto un profilo formale per inosservanza del D.Lgs. n. 368 del 2001, del rapporto di lavoro subordinato tra la M. e l’agenzia possano generare obblighi costitutivi di un rapporto di lavoro in capo all’impresa utilizzatrice Ceva che è totalmente estranea.
5) Con il quinto motivo Fiat Group denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, in riferimento al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, art. 21, comma 3, art. 22, comma 2, e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per avere la Corte ritenuto che l’aspecificità delle ragioni giustificative del termine al contratto di somministrazione ne determini l’irregolarità con conseguente rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore. Erra la sentenza nel ritenere che meri vizi formali e l’eventuale aspecificità giustifichi la costituzione del rapporto con l’utilizzatore: la sanzione dell’irregolarità del contratto commerciale si riferisce a presupposti sostanziali.
6) Con il sesto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta mancanza di prove relative all’effettiva sussistenza delle esigenze sostitutive. Lamenta che la Corte si è limitata ad aderire alla decisione di primo grado ed a riportare le censure proposte da Fiat senza pronunciare sull’unico aspetto rilevante circa la sussistenza di una fattispecie di somministrazione irregolare.
I motivi 3, 4, 5 e 6, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.
Va osservato che la loro infondatezza si ricollega, in primo luogo, alla mancata dimostrazione delle ragioni reali sottese alla assunzione della lavoratrice in conformità alle esigenze dedotte nel contratto di somministrazione e prima ancora al mancato adempimento dell’onere di specificazione delle causali giustificative del ricorso alla somministrazione a termine.
In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo esso estendersi, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere non sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore della prestazione (Cass. 15.7.2011 n. 15610, Cass. 9.9.2013 n. 20598).
La disciplina della somministrazione di lavoro è dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 20 a 28. Il primo di tali articoli, l’art. 20, intitolato “condizioni di liceità”, definisce il contratto di somministrazione e distingue tra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato. Con riferimento alla somministrazione a tempo determinato, le condizioni di liceità sono indicate al comma 4, con questa disposizione: “la somministrazione a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività dell’utilizzatore”.
L’articolo successivo, il 21, statuisce che il contratto di somministrazione di manodopera deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di elementi. Tra gli elementi necessari, il punto c) indica “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 20, commi 3 e 4”. Il termine “casi” è riferito al terzo comma concernente la somministrazione a tempo indeterminato, consentita nella casistica delineata ai punti da a) e i) di quel comma. Il termine “ragioni” è riferito al quarto comma, concernente il contratto di somministrazione a tempo determinato, ammesso solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Tutto ciò premesso, come già osservato in precedenti di questa Corte (Cass. n. 6933/2012, n. 21916/2015) “la risposta da dare al problema concernente la necessità o meno che le ragioni del ricorso alla somministrazione siano specificate non può che essere positiva”. Ed invero, la normativa prevede come “condizione di liceità” che il contratto sia stipulato solo in presenza di ragioni rientranti in quelle categorie ed impone di indicarle per iscritto nel contratto a pena di nullità (art. 21, u.c.); inoltre, l’art. 27, comma 3 sancisce che il controllo giudiziale è limitato “all’accertamento della esistenza delle ragioni”(e quindi consiste proprio in tale verifica).
La conseguenza di tutto ciò è che tali ragioni devono essere indicate per iscritto nel contratto e devono essere indicate, in quella sede, con un grado di specificazione tale da consentire di verificare se rientrino nella tipologia di ragioni cui è legata la legittimità del contratto e da rendere possibile la verifica della loro effettività. L’indicazione, pertanto, non può essere tautologica, Né può essere generica. Non può risolversi in una parafrasi della norma, ma deve esplicitare il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta. (cfr. in tali termini, Cass. 6933/2012 cit.).
Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3, precisa che il giudice, se non può sindacare nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive in ragione delle quali un’impresa ricorre alla somministrazione, deve orientare il suo controllo, “all’accertamento delle ragioni che (la) giustificano”, cioè che giustificano il ricorso alla somministrazione.
Il controllo giudiziario è concentrato, quindi, sulla verifica della effettività di quanto previsto in sede contrattuale (sul punto, cfr., Cass. 6933 del 2012, cit.; 2521 del 2012 cit.,15610 del 2011 e, da ultimo Cass. 8120 del 2013 nei sensi riportati). Questo accertamento è di competenza del giudice di merito e quindi, se motivato in maniera adeguata e priva di contraddizioni, non può essere rivalutato in sede di legittimità.
Nella fattispecie in esame la Corte d’ appello, nel richiamare un proprio precedente, ha effettuato la verifica con riferimento alle ragioni indicate dalla società, rilevando che in realtà tali ragioni non potevano essere considerate idonee, perché non vi era alcuna specificazione della causale, genericamente riferita sia alla esigenza di coprire assenze non programmabili, sia a quella di coprire assenze a carattere strutturale per l’ottimale copertura del servizio, in tal modo la formulazione essendo inclusiva indifferentemente di ipotesi alternativamente previste negli accordi sindacali, in contrasto con la logica sottesa agli stessi, diretta a definire per ciascuna esigenza precise tipologie di contratti. Non erano in sostanza precisate con sufficiente grado di specificazione le condizioni che rendevano necessario il ricorso ad assunzioni in sostituzione di personale assente, con riferimento alle componenti identificative essenziali della causale, sia quanto al contenuto che alla sua portata spazio temporale, che, più in generale circostanziale, si da rendere possibile il controllo della loro effettività.
Le argomentazioni della Corte sono congrue, logiche e le censure della ricorrente non valgono ad invalidare, sotto tale profilo, la decisione impugnata.
Accertata la mancata specificazione della causale il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che essere a tempo indeterminato.
Invero, come osservato da questa Corte (cfr. Cass. 15.7.2011 n. 15610, e, tra le successive, Cass. 8 5 2012 n. 6933) il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, stabilisce espressamente che in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20, e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
Pertanto, la stessa efficacia “ex tunc” che la norma in esame ricollega alla sentenza costitutiva provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che autorizza a ritenere che, se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un rapporto diverso da quello a tempo indeterminato, non avrebbe certamente avuto ragione di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto dall’inizio della somministrazione stessa. Un ulteriore ed insuperabile argomento sistematico è quello per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine: invero, qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex lege” con l’impresa utilizzatrice debba essere a termine, ad onta della accertata illegittimità del ricorso alla tipologia del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, si perverrebbe alla inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione così perpetrata consentirebbe all’impresa utilizzatrice di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa (cfr. Cass. 15610/2011 cit.).
Ritenuto, pertanto, che a decorrere dal 27/2/2006 la M. deve ritenersi dipendente della soc CEVA a tempo indeterminato non è censurabile la sentenza impugnata che ha ritenuto il rapporto di lavoro proseguito con Fiat Group cessionaria degli stabilimenti ove era addetta la lavoratrice.
La fattispecie è analoga, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, a quella dell’avvenuta dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato in epoca antecedente la cessione.
È costante, a riguardo, nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione del principio cui va data continuità, secondo il quale, in tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto. meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l’applicazione della direttiva 77/187/CE, la quale prevede – secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C-
319/94, 11 luglio 1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C19/83) – che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori (Sez. L, sentenza 1220 del 17/01/2013; Sez. L, sentenza 3041 del 27/02/2012; Sez. L, sentenza 23533 del 16/10/2013; Sez. L, Sentenza n. 8641 del 12/04/2010; Sez. Sentenza n. 7338 del 10/12/1986 Principio affermato anche ai sensi dell’art. 360 bis cod. proc. civ. da Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5507 del 08/03/2011).
In applicazione di detti principi validi anche nella fattispecie in esame in cui il rapporto di lavoro della M. risulta ripristinato con effetto da data antecedente la cessione del ramo d’azienda il rapporto prosegue con la cessionaria.
Per le considerazioni che precedono il ricorso non merita accoglimento risultando peraltro non formulata alcuna censura nel ricorso introduttivo avverso la decisione assunta dalla Corte di merito dell’inapplicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, la cui applicazione è invece riproposta esclusivamente nelle note ex art. 378 c.p.c..
Nulla per spese essendo le altre parti rimaste intimate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla per spese.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2016

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