Fatto
Con atto di citazione notificato il 31 ottobre e il 6 novembre 1990 F.G. e ad altri centosette conduttori di alloggi di edilizia economica e popolare convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia, nonchè P.C. ed Su.Eg., rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Istituto, per sentir accertare il loro diritto alla trasformazione del rapporto di assegnazione in locazione semplice dell’alloggio da ciascuno occupato in cessione in proprietà, previa quantificazione del prezzo rispettivo ai sensi della L. 14 febbraio 1963, n. 60, con compensazione delle somme ancora dovute a titolo di prezzo di cessione con quelle corrisposte a titolo di canone di locazione dopo la presentazione delle domande, e per ottenere il trasferimento della proprietà dell’alloggio attualmente condotto in locazione, con la restituzione delle maggiori somme eventualmente versate e con la condanna solidale dell’Istituto, e dei signori P. e S. in proprio, al risarcimento dei danni per la mancata percezione del reddito derivante dal conseguimento della titolarità degli immobili in ordine ai quali l’Istituto non aveva mai provveduto sulle domande di assegnazione in proprietà.
Al giudizio veniva riunito altro procedimento promosso da S.R. e altri sette attori con citazione notificata il 31 dicembre 1991 e il 3 gennaio 1992.
In corso di causa trentanove attori dichiaravano di rinunciare agli atti del giudizio e in luogo dell’I.A.C.P. si costituiva l’Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di Torino ad esso subentrato.
Con sentenza del 20 gennaio – 5 maggio 1998 il tribunale disponeva la separazione dei giudizi per tutti gli attori che non si erano costituti con un nuovo procuratore dopo il decesso del loro difensore e con separata ordinanza disponeva l’interruzione dei relativi procedimenti; dichiarava cessata la materia del contendere nei confronti di Ca.Mi. e V.V., respingeva le domande di L.L. e R.P., disponeva il trasferimento della proprietà dell’alloggio nei confronti degli eredi di Gr.Li. e di altri quaranta tre attori e respingeva tutte le ulteriori domande.
La sentenza veniva impugnata in via principale dalla Azienda Territoriale per la Casa della Provincia di Torino, e in via incidentale da taluni degli assegnatari, nonchè da P.C. ed Su.Eg..
Nel corso del giudizio P.D. dichiarava di rinunciare all’azione e al diritto di proprietà sull’alloggio in contestazione e la rinuncia veniva accettata dall’A.T.C..
Con sentenza del 23 febbraio – 10 giugno 2001 la Corte d’Appello di Torino dichiarava inammissibile per difetto di interesse l’appello proposto dall’A.T.C., contro R.P. e V.V.;
accoglieva quello proposto contro A.M. ed trentuno consorti di lite e lo rigettava nei confronti dei rimanenti attori;
rigettava gli appelli incidentali.
La Corte accoglieva preliminarmente l’eccezione di giudicato esterno sollevata nei confronti di A.M. ed altri attori i quali, rimasti soccombenti all’esito di un precedente giudizio promosso per ottenere la cessione in proprietà di alloggi che erano stati loro assegnati in locazione a seguito del bando di concorso indetto dalla Ges.Ca.L. con deliberazione del 20 dicembre 1972, non avevano impugnato la sentenza di primo grado oppure non ave vano proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di appello confermativa della prima pronuncia e poi cassata in favore degli altri assegnatari e respingeva conseguentemente le domande da essi proposte; rigettava l’appello nei confronti di C.M., C.G. e I.G.V. poiché il loro redditi immobiliari non superavano la soglia considerata dalla legge come preclusiva del diritto alla cessione in proprietà; lo accoglieva nei confronti di C.S., di N. e Ma.Ni. e di S. M., eredi dell’originario assegnatario per difetto del requisito della convivenza con i rispettivi danti causa a titolo universale; rigettava l’appello proposto contro gli altri assegnatari. Nei confronti degli appellati vittoriosi ribadiva l’ammissibilità del diritto alla cessione in proprietà degli alloggi in favore de gli eredi degli assegnatari; respingeva le censure dirette contro la prova della tempestiva proposizione della domanda di riscatto e della sua conferma richiesta dalla L. n. 513 del 1977, art. 27, nonchè quelle mosse contro il trasferimento dell’alloggio ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.; riconosceva il diritto alla cessione in proprietà degli alloggi che non fossero stati inclusi dall’ente nel la quota di riserva o la cui inclusione non fosse stata comunicata agli assegnatari, come nella specie si era verificato; riteneva del tutto irrilevante la mancata impugnazione del bando di concorso che disponeva che le future assegnazioni degli alloggi avessero luogo solo in locazione semplice in quanto pubblicato in data anteriore a quella di pubblicazione del D.P.R. n. 1035 del 1972, recante norme di attuazione della L. n. 865 del 1971, non applicabile perciò agli alloggi in questione; accoglieva la domanda estesa al trasferimento in proprietà dei locali adibiti ad autorimessa in quanto pertinenze dei rispettivi alloggi; rigettava le censure mosse contro la determinazione del prezzo di cessione operata dal consulente tecnico d’ufficio; rigettava infine, gli appelli incidentali proposti contro il diniego della compensazione tra il prezzo di cessione e i canoni di locazione e contro la pronuncia di rigetto della domanda di restituzione dei canoni di locazione e di risarcimento del danno per la ritardata cessione in proprietà degli alloggi.
Osservava la Corte – per quanto ancora rileva ai fini del presente giudizio – che, avendo l’Istituto Autonomo per le Case Popolari comunicato agli assegnatari l’avvenuta trasmissione della pratica all’Ufficio Tecnico Erariale per la valutazione degli immobili in questione, doveva presumersi, in mancanza di prova contraria, la tempestiva presentazione e conferma delle domande di cessione in proprietà e che la mancata determinazione del prezzo di cessione non poteva precludere il ricorso allo strumento di cui all’art. 2932 cod. civ. poiché gli assegnatari avevano offerto la controprestazione manifestando una seria volontà di eseguire il pagamento del prezzo da determinarsi in sede giudiziale sicchè doveva riconoscersi l’esistenza di un diritto soggettivo al trasferimento della proprietà dell’immobile da loro occupato, col solo limite che esso non fosse stato incluso nella quota di riserva, limite che nella specie doveva escludersi non essendo mai stata comunicata agli assegnatari l’inclusione del loro alloggio nella quota di riserva. E pertanto, a fronte di tale diritto soggettivo non poteva non configurarsi un correlativo obbligo dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari, il quale non era stato superato dalla L. n. 865 del 1971 che faceva salva la possibilità di cessione per gli alloggi per i quali fosse stata già presentata la domanda di cessione ma non fosse stato stipulato il relativo contratto.
Contro la sentenza ricorre per cassazione l’Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di Torino con venti motivi illustrati da memoria.
Resistono con controricorso C.A. e i suoi consorti di lite meglio in epigrafe specificati, taluni dei quali hanno proposto contestuale ricorso incidentale affidato a due motivi.
La ricorrente principale ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.
Non hanno presentato difese Co.Gr. ved. G. e i suoi consorti di lite né P.C. e gli eredi di S. E..
Con ordinanza del 9 giugno 2005 è stata dichiarata l’estinzione del giudizio nei confronti di V.V. per rinuncia al ricorso da parte dell’A.T.C. della Provincia di Torino.
Quindi, con ordinanza del 20 aprile 2006, n. 9222, è stata disposta la rimessione degli atti al Primo Presidente il quale ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto di giurisprudenza verificatosi in ordine ai limiti del diritto degli assegnatari alla cessione in proprietà degli alloggi condotti in locazione, e per la decisione della questione di particolare importanza relativa alla trasmissibilità del diritto alla cessione in proprietà dell’alloggio in favore de gli eredi dell’assegnatario anche alla luce della normativa sopravvenuta, nonchè alla possibilità di una pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., in caso di rifiuto del trasferimento da parte dell’ente proprietario.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi propositi contro la medesima sentenza.
Dev’essere quindi esaminato il ricorso incidentale con il quale si denuncia, sotto un duplice profilo, la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. poiché la sentenza impugnata avrebbe privato gli attori di un grado di giurisdizione accogliendo la eccezione di giudicato esterno tardivamente proposta in primo grado e riproposta con l’atto di appello – secondo il testo previgente della norma in esame, applicabile al giudizio in corso – e avrebbe così determinato una ingiustificata disparita di trattamento rispetto a coloro che potevano giovarsi della disciplina sopravvenuta introdotta dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52, la quale ha escluso la proponibilità di nuove eccezioni in appello (primo motivo) e avrebbe omesso di applicare la norma contenuta nel testo originario secondo cui, se l’eccezione poteva essere sollevata in primo grado, il giudice applicava per le spese del giudizio di appello, la disposizione dell’art. 92 cod. proc. civ..
Il ricorso non può trovare accoglimento poiché, per quanto attiene alla dedotta disparità di trattamento, essa è giustificata dalla successione delle leggi nel tempo la quale non può impedire che per i giudizi introdotti successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina questa debba trovare applicazione, anche se comporti effetti di minor favore per taluna delle parti, mentre, per quanto attiene all’omessa compensazione delle spese giudiziali, il richiamo all’art. 92 cod. proc. civ., per i giudizi instaurati anteriormente al 1 marzo 2006, va inteso come un invito rivolto al giudice di appello a disporre la compensazione delle spese del giudizio che resta pur sempre, in mancanza di soccombenza reciproca, espressione di una facoltà discrezionale affidata ad una valutazione del giudice di merito il cui mancato esercizio non è sindacabile in cassazione ancorchè privo dell’indicazione esplicita di giusti motivi, e ciò anche nell’ipotesi di tardiva produzione di un documento e o di deduzione di mezzi di prova che avrebbero potuto già aver luogo nel giudizio di primo grado (Cass. 16 novembre 1994, n. 9690; 2 agosto 2002, n. 11537; e, quindi, anche nell’ipotesi della riproposizione di eccezioni disattese dal primo giudice per la loro tardiva proposizione.
Passando all’esame del ricorso principale, ne va dichiarato innanzi tutto l’inammissibilità nei confronti di C.M., poiché il primo giudice aveva disposto con statuizione non appellata la cessazione della materia del contendere a seguito dell’avvenuto trasferimento in suo favore della proprietà dell’alloggio condotto in locazione.
Rettificato l’ambito soggettivo della controversia, va esaminato con priorità il quindicesimo motivo di ricorso con il quale si contesta l’operatività dell’istituto della cessione in proprietà di alloggi assegnati in locazione nei confronti degli alloggi disciplinati dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865.
Sostiene al riguardo la ricorrente che la sentenza impugnata, pur distinguendo correttamente l’istituto dell’assegnazione in locazione ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 61 e quella prevista dalla legislazione previgente, che consentiva la cessione in proprietà degli alloggi assegnati in locazione che non fossero inclusi nella quota di riserva, avrebbe poi applicato la disciplina previgente alle assegnazioni in questione senza considerare che, a causa dell’esaurimento della quota degli immobili assegnati con diritto a riscatto, la Ges.Ca.L. aveva disposto con Delib. 1 febbraio 1972 che le future assegnazioni avessero luogo sin dall’origine in locazione semplice senza possibilità di futura cessione in proprietà e che tale bando non era stato impugnato dagli assegnatari.
La censura non può trovare accoglimento poiché la sentenza impugnata, conformandosi alle reiterate pronunce emesse da questa Corte in relazione a giudizi promossi per la cessione in proprietà di alloggi assegnati in locazione in esecuzione di analoghe delibere della Ges.Ca.L. (Cass. 4 maggio 1990, n. 3730; 13 aprile 2005, n. 7701) non è affatto incorsa nell’errore denunciato avendo escluso – con statuizione non impugnata – che la disciplina dettata dalla L. del 1971 fosse applicabile agli alloggi in questione il cui bando di concorso era stato pubblicato prima dell’entrata in vigore delle norme di attuazione contenute nel D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 – secondo le previsioni dell’art. 65 della legge suddetta a norma del quale entro sei mesi dal la sua entrata in vigore sarebbero state emanate le norme per l’assegnazione e la revoca degli alloggi di edilizia economica e popolare, che sarebbero sta te applicate anche agli alloggi dei programmi in corso per i quali non fosse già stato emanato il bando di concorso – ed ha ribadito che restava in vigore, per le assegnazioni effettuate in attuazione dei bandi precedenti, la disciplina previgente, abrogata solo dalla L. n. 513 del 1977, a norma della quale solo l’avvenuta inclusione dell’alloggio nella quota di riserva avrebbe fatto venir meno il diritto dell’assegnatario alla cessione in proprietà dell’alloggio da lui occupato.
Ciò chiarito, vanno presi in esame l’undicesimo e il dodicesimo motivo di ricorso con i quali si contesta, con denuncia, rispettivamente, dei vizi di violazione di legge e di carenza di motivazione, l’esistenza del diritto soggettivo dell’assegnatario al trasferimento in proprietà dell’immobile non incluso nella quota di riserva e del correlativo obbligo dell’Istituto, sanzionabile attraverso il ricorso all’art. 2932 cod. civ..
Afferma la ricorrente che lo scambio dei consensi che si verifica quando, pronunciando sulla do manda del richiedente l’Istituto abbia manifestato la propria volontà di accettazione comunicando il prezzo della cessione, varrebbe solo a segnare l’esaurimento del procedimento amministrativo relativo all’assegnazione e solo da questo momento il conduttore – titolare sin allora del solo diritto alla valutazione della domanda e dei requisiti prescritti dalla legge e, quindi, di una mera aspettativa alla stipulazione del contratto di cessione che resta esposto sino alla sua stipulazione ad eventuali sopravvenienze normative – acquisterebbe il diritto soggettivo alla cessione del bene alle condizioni stabilite, diritto che non si costituisce tuttavia ope legis ma deve essere formalizzato con la stipulazione del contratto la quale produce il trasferimento della proprietà; tale trasferimento non sarebbe comunque coercibile attraverso lo strumento dell’art. 2932 cod. civ., a causa dei connotati pubblicistici che caratterizzano il rapporto tra l’Istituto e l’assegnatario: e pertanto le domande di riscatto inviate prima del 18 agosto 1977 e opportunamente confermate, per le quali la procedura amministrativa non si fosse ancora conclusa, non attribuirebbero all’assegnatario il diritto alla cessione dell’alloggio, ma solo il diritto di pretendere la valutazione della domanda da lui presentata e di ottenere il risarcimento del danno nel caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione.
Al riguardo si rinvengono nella giurisprudenza di questa Corte due orientamenti, che, tra l’altro, sono stati espressi recentemente da due sentenze decise in udienze diverse ma pubblicate entrambe il 13 aprile 2005, e recanti, rispettivamente, i nn. 7690 e 7701.
La prima di esse fa proprio l’interpretazione sostenuta dalla ricorrente e adduce a conforto della sua decisione, la considerazione che la L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 52, ha aggiunto alla L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 28, un quinto comma il quale stabilisce che in pendenza della valutazione definitiva dell’ufficio tecnico erariale gli istituti autonomi per le case popolari sono autorizzati a stipulare un contratto preliminare di vendita sulla base di un prezzo provvisorio stabilito mediante valutazione per campione, e ne trae la conclusione che la mera domanda di cessione in proprietà non può produrre alcun effetto obbliga torio corrispondente a quello derivante dalla stipulazione di un preliminare di compravendita.
La seconda sentenza, invece, facendo riferimento a un orientamento giurisprudenziale minoritario, afferma che, qualora l’Amministrazione non abbia dato notizia all’interessato che l’alloggio da lui occupato è compreso nella quota di riserva, l’assegnatario è titolare di un diritto potestativo al trasferimento in proprietà ai sensi della L. 14 febbraio 1963, n. 60, art. 29, diritto che verrebbe meno solo a seguito dell’avvenuta inclusione del l’alloggio nella quota di riserva.
Ai fini della risoluzione del presente contrasto di giurisprudenza sembra opportuna una sommaria esposizione dell’evoluzione della legislazione che disciplina la materia.
Orbene, la cessione in proprietà degli alloggi di tipo popolare ed economico è stata introdotta dal D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 – emanato in attuazione della delega conferita con la L. 21 marzo 1958, n. 447 – in favore di tutti gli assegnatari che avessero i requisiti richiesti dalla legge, e cioè che non fossero proprietari di altra abitazione nel medesimo centro urbano adeguata ai bisogni della famiglia, non fossero assegnatari in proprietà di altro alloggio di edilizia economica e popola re e fossero titolari di un reddito tassabile non superiore a L. 150.000, e che fossero nel godimento dell’alloggio e vi permanessero fino al momento del trasferimento della proprietà senza incorrere nella decadenza dal diritto alla futura vendita per morosità nel pagamento delle rate di prezzo; gli assegnatari sarebbero divenuti proprietari dell’alloggio solo dopo l’integrale pagamento del prezzo; da, la cessione in proprietà restavano escluse talune categorie di immobili specificamente individuate (ad esempio: gli alloggi di servizio) e gli alloggi che fossero stati inclusi nella quota di riserva;a tal fine gli enti interessati avrebbero dovuto rendere noti gli stabili suscettibili di cessione in proprietà; in caso di decesso dell’assegnatario la sua domanda poteva essere confermata entro trenta giorni dal coniuge e dai discendenti nel terzo grado e dagli ascendenti conviventi.
La possibilità di ottenere la cessione in proprietà degli alloggi è stata ampliata dalla L. 27 aprile 1962, n. 231, che ha stabilito che gli enti interessati avrebbero dovuto dar notizia non già degli alloggi fa vendere, bensì di quelli compresi nella quota di riserva;
ha disciplinato la procedura per il trasferimento dell’immobile in caso di domanda di cessione in proprietà immediata, ferma restando l’opzione per il pagamento rateale del prezzo, ed ha ribadito che solo il suo integrale pagamento avrebbe trasformato il diritto di godimento sull’alloggio assegnato in locazione in diritto di proprietà con la stipulazione del contratto.
Ulteriori cessioni sono state poi disciplinate dalla L. 14 febbraio 1963, n. 60, che ha soppresso la gestione I.N.A. Casa istituendo la Ges.Ca.L. ed ha previsto la possibilità di richiedere l’assegnazione in proprietà immediata con pagamento in unica soluzione ovvero con pagamento rateale garantito da ipoteca e la conversione dell’assegnazione in mera locazione in assegnazione con patto di futura vendita o in proprietà immediata.
Sono poi intervenute la L. 28 marzo 1968, n. 422, in materia di edilizia abitativa sovvenzionata e la L. 22 ottobre 1971, n. 865, in materia di edilizia residenziale agevolata e convenzionata che hanno segnato una inversione di tendenza in sen so restrittivo.
La prima legge ha previsto che le abitazioni realizzate con contributo statale fossero destinate alla locazione semplice e che solo una quota di abitazioni non superiore al 10% – previa autorizzazione ministeriale che accertasse il mutamento della situazione abitativa nella zona interessata – potesse formare oggetto di cessione in proprietà in favore degli assegnatari che le avessero occupate legittimamente e ininterrottamente per almeno quindici anni.
La seconda legge, detta “legge sulla casa”, ha disposto la trasformazione della nozione di edilizia economica e popolare in quella di edilizia residenziale pubblica e lo scioglimento di tutti gli enti pubblici edilizi preesistenti con trasferimento dei loro compiti agli Istituti Autonomi per le Case Popolari, attuato con il D.P.R. 30 dicembre 1971, n. 1036, e ha introdotto una disciplina fortemente limitativa in ordine alla quota degli immobili suscettibili di cessione in proprietà prevedendo nuovi criteri per la cessione in proprietà.
La nuova disciplina non trova però applicazione agli alloggi costruiti sotto la vigenza della precedente normativa la quale continua a restare o perante secondo le previsioni del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 23, recante norme per la assegnazione e la revoca nonchè per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione dei so li alloggi di edilizia residenziale pubblica compresi nella quota del 15% fissata dalla L. n. 865 del 1971, art. 61, comma 1, com’è confermato dal rilievo che solo con la L. 8 agosto 1977, n. 513, si è avuta l’abrogazione di tutte le leggi che disciplinavano il trasferimento in proprietà degli alloggi di edilizia economica e popolare in favore degli assegnatari.
Vigendo la precedente disciplina non si è mai dubitato che la posizione dell’assegnatario fosse di diritto soggettivo poiché nessuna discrezionalità era riconosciuta all’Amministrazione nella cessione in proprietà dell’alloggio quando si fossero verificate tutte le condizioni di legge, il cui accertamento, in caso di contestazione, poteva essere effettuato in via incidentale dal giudice ordinario in base alla considerazione che a seguito del provvedimento di assegnazione si instaurava tra le parti un rapporto di natura contrattuale (SS.UU. 29 marzo 1989, n. 1551; Cass. 14 giugno 2000, n. 8101; 2 ottobre 2003, n. 14698). Si riteneva, tuttavia, che essendo rimessa ad una scelta discrezionale del l’Amministrazione la formazione della quota di riserva, sin quando questa non fosse stata formata l’assegnatario era titolare solo di una posizione di interesse legittimo, poiché solo con la formazione della quota e la conseguente individuazione degli alloggi suscettibili di cessione si verificava la trasformazione della legittima aspettativa degli assegnatari in diritto soggettivo perfetto (SS.UU. 13 aprile 1992, n. 4478; 12 giugno 2006, n. 13525).
Abrogata la normativa precedente con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge sopravvenuta (18 agosto 1977) è stata dettata con l’art. 27 una norma transitoria che fa salve le domande di cessione già presentate per le quali non fosse intervenuta la stipulazione del contratto, alle quali, se confermate entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, sarebbe stata applicata la disciplina del successivo art. 28 che ha introdotto un nuovo criterio di determinazione del prezzo di cessione confermando che il trasferimento della proprietà avrebbe avuto luogo all’atto della stipulazione del contratto.
Per risolvere i dubbi interpretativi in ordine all’individuazione del momento in cui potesse considerarsi concluso il contratto nei casi di mancata formale sottoscrizione dell’atto di cessione è poi intervenuta la L. 5 agosto 1978, n 457, che con l’art. 52 ha modificato il citato art. 27, comma 2 prorogando al 31 ottobre 1978 il termine per la conferma delle domande di cessione e disponendo che si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita quando l’ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il relativo prezzo di cessione, qualora non previsto per legge, salva restando la facoltà degli Istituti Autonomi per le Case Popolari di stipulare un contratto preliminare di vendita sulla base di un prezzo provvisorio stabilito mediante valutazione per campione in pendenza della valutazione dell’Ufficio Tecnico Erariale per i singoli alloggi.
Ulteriore norma interpretativa è stata infine dettata dalla L. 2 aprile 2001, n. 136, art. 2, comma 3, secondo cui la L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 27, e tutte le disposizioni di legge che prevedono facoltà di riscatto degli alloggi di edilizia residenziale pubblica si interpretano nel senso che, in caso di decesso del soggetto avente titolo al riscatto che abbia presentato la domanda nei termini prescritti, l’Amministrazione ha comunque l’obbligo di provvedere nei confronti degli eredi disponendo la cessione dell’alloggio indipendentemente dalla conferma della domanda stessa.
Con tale disciplina è stata perciò sancita per il futuro l’inalienabilità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica – fatta eccezione per la percentuale del 15% prevista dalla L. n. 865 del 1971 e la eccezionale formazione dei piani di vendita previsti dalla L. n. 513 del 1977, art. 29 – sicchè il trasferimento in proprietà degli immobili restava limitata a quelli per i quali fosse già stata presentata la relativa domanda entro il 31 ottobre 1978.
Nell’interpretazione della disciplina transito ria la giurisprudenza prevalente è giunta gradualmente alla conclusione che la mera presentazione della domanda non è sufficiente a ritenere concluso il contratto nell’inerzia dell’Amministrazione, non potendo attribuirsi alcuna rilevanza a un comportamento concludente dell’ente, e che neppure la sua accettazione a seguito della comunicazione all’assegnatario del prezzo di cessione è determinante ai fini del trasferimento della proprietà dell’alloggio poiché da essa deriva solo la costituzione di un rapporto di carattere personale con l’ente che produce l’unico effetto di rendere incontestabile il diritto alla stipulazione del contratto di compravendita; tale rapporto, essendo caratterizzato da connotazioni pubblicistiche, non integra gli estremi di un contratto preliminare di compravendita di diritto privato suscettibile di esecuzione specifica attraverso il ricorso all’art. 2932 cod. civ., sicchè l’assegnatario ha solo un’azione di risarcimento dei danni derivanti dal comportamento colposo dell’Amministrazione la quale, sino al trasferimento della proprietà dell’alloggio, conserva i suoi poteri di controllo e può pur sempre disporre la revoca o la decadenza dell’assegnazione nei confronti dell’assegnatario che abbia perduto i requisiti richiesti dalla legge o sia inadempiente agli obblighi assunti.
Tale interpretazione della disciplina transitoria – che è quella espressa dalla sentenza n. 7690 del 2005 – risulta assolutamente prevalente poiché solo in due altre pronunce alquanto risalenti (Cass 5 agosto 1988, n. 4855; 8 agosto 1990, n. 8006) si è affermato che in tutti i casi in cui il prezzo di cessione fosse previsto per legge o fosse determina bile in base ai criteri prefissati non era richiesta alcuna accettazione ma era sufficiente che la domanda dell’assegnatario fosse stata trattenuta senza il rilievo di alcuna irregolarità formale e sostanziale, con la conseguenza che il ritardo o il rifiuto dell’ente al trasferimento della proprietà non comportavano la necessità di un sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., essendo sufficiente una sentenza meramente dichiarativa che accertasse l’avvenuto trasferimento della proprietà a seguito dell’esercizio del diritto potestativo riconosciuto all’assegnatario.
Alla luce dell’interpretazione assolutamente prevalente della normativa che regola la materia non può trovare consenso l’orientamento espresso dalla coeva sentenza n. 7701 del 2005 la quale afferma che la preesistenza del diritto potestativo alla cessione dell’immobile renderebbe irrilevante il mancato esercizio del potere dell’Amministrazione di formare la quota di riserva poiché, anche a voler ritenere abrogato in relazione agli immobili sottoposti alla disciplina transitoria il potere dell’Amministrazione di escludere taluni immobili dalla cessione in proprietà, il diritto alla cessione resta pur sempre sottoposto al rispetto della disciplina transitoria che, regolando la sorte degli immobili suscettibili di cessione, li sottopone al l’osservanza di una procedura che contrasta con l’esistenza di un diritto potestativo dell’assegnatario sin quando non sia avvenuta la stipulazione del contratto di compravendita, com’è confermato dal rilievo che solo se l’Istituto si sia avvalso della facoltà di stipulare un contratto preliminare con prezzo di cessione provvisorio può ipotizzarsi un diritto soggettivo dell’assegnatario al trasferimento dell’alloggio.
Va infatti considerato che la formulazione della disciplina transitoria, secondo cui si considera “stipulalo e concluso il contratto di compravendita” qualora l’ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il relativo prezzo di cessione, non può essere interpretato nel senso che la cessione dell’alloggio si verifichi automaticamente per il solo fatto della comunicazione del prezzo di cessione poiché, indipendentemente dal rilievo che non si rinviene una chiara manifestazione della volontà del legislatore di prescindere dall’osservanza delle forme richieste per la stipulazione dei contratti della Pubblica Amministrazione, va rilevato che nella fattispecie in esame manca ogni richiamo alla accettazione dell’assegnatario il quale, presa conoscenza del prezzo di cessione, dev’essere posto in condizione di verificarne la congruità e l’importo ed avere la possibilità di rifiutare un acquisto che comporti il pagamento di un prezzo che non rientri nelle sue possibilità economiche ovvero non corrisponda ai parametri di legge.
Ne consegue che la norma in esame deve interpretarsi nel senso che la comunicazione del prezzo di cessione dispensa l’assegnatario dall’onere della tempestiva conferma della domanda a pena di decadenza ed esclude che la cessione dell’alloggio debba avvenire per un nuovo prezzo da determinarsi alla stregua dei criteri introdotti dalla L. n. 513 del 1977, art. 28, operanti solo nei confronti degli assegnatari gravati dall’onere della conferma della domanda di cessione in proprietà.
E, poiché non è controverso nella specie che l’Istituto Autonomo per le Case Popolari non ha mai comunicato agli assegnatari il prezzo di cessione, né si è avvalso della facoltà di stipulare contratti preliminari di compravendita con prezzo provvisorio, ma ha espressamente dichiarato che gli alloggi in questione erano sin dall’origine assegnati in locazione semplice a causa dell’esaurimento della quota di alloggi a riscatto secondo le previsioni della L. n. 865 del 1971 – peraltro inapplicabile nella specie – nessun diritto può essere riconosciuto in favore degli assegnatari in ordine alla cessione in proprietà dei rispettivi alloggi.
Il rigetto delle censure della ricorrente comporta l’assorbimento dell’esame dei motivi con cui si denuncia il vizio di motivazione in ordine, rispettivamente: all’interpretazione della lettera in data 26 marzo 1979 con la quale l’Istituto aveva comunicato agli assegnatari il suo dissenso al trasferimento in proprietà, nella quale la sentenza impugnata ha ravvisato l’accettazione delle domande degli assegnatari facendola derivare dalla trasmissione delle domande all’Ufficio Tecnico Erariale per la determinazione del prezzo di cessione nonostante l’asserita esclusione degli immobili dalla cessione in proprietà (tredicesimo motivo), alla affermazione di una valida offerta della prestazione dovuta da parte degli assegnatari (quattordicesimo motivo), alle contestazioni sollevate contro il metodo di valutazione degli alloggi adottato dal consulente tecnico d’ufficio (diciassettesimo motivo) e alla validità delle contestazioni sollevate dall’Istituto per le Case Popolari rispetto all’assolvimento dell’onere probatorio da parte degli assegnatari in ordine alla presentazione delle rispettive domande ed alla loro tempestiva conferma (diciottesimo motivo).
Natura subordinata ha, altresì, la censura mossa con il sedicesimo motivo, con cui si censura il ritenuto rapporto pertinenziale tra gli alloggi e i locali destinati ad uso non abitativo, e cioè ad autorimessa, il cui esame resta pur esso assorbito.
La medesima sorte seguono, infine, i motivi dal primo al sesto, che contestano, sotto vari profili, la trasmissibilità agli eredi dell’assegnatario del diritto alla cessione in proprietà dell’alloggio in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ed i motivi dal settimo al decimo con i quali si contesta il diritto riconosciuto dalla sentenza impugnata agli assegnatari di ottenere la cessione in proprietà dell’alloggio attraverso la proposizione di una domanda ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., poiché – indipendentemente da ogni questione in ordine all’abrogazione del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, art. 10, ad opera della L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 27 – è rimasto escluso nella specie ogni diritto all’assegnazione in proprietà dell’alloggio suscettibile di trasmissibilità agli eredi e di realizzazione attraverso la pronuncia costitutiva del giudice, e può ipotizzarsi unicamente la successione dell’erede nel diritto alla stipulazione del contratto di compravendita e, in caso di perdurante inottemperanza della Amministrazione, nel diritto al risarcimento del danno quando si sia verificata l’accettazione della domanda dell’assegnatario e sia avvenuta la comunicazione del prezzo di cessione dell’immobile non compreso nella quota di riserva.
Va ribadito al riguardo, secondo quanto precisato da una recente pronuncia di questa Corte (Cass. 26 settembre 2005, n. 18732), che la disciplina transitoria – la quale ha previsto che si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l’ente proprietario abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il prezzo dell’alloggio – non solo non ha eliminato al necessità della formale stipulazione dell’atto di compravendita, ma ha mantenuta ferma la necessità che nell’ambito dell’integrale e compiuto esaurimento del procedimento amministrativo sia intervenuto un atto di formale accettazione del la domanda da parte dell’Amministrazione, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge in relazione alla domanda di riscatto originariamente presentata; e pertanto, in coerenza con i principi generali che presiedono alla formazione e alla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione – i quali escludono ogni possibilità di conclusione del contratto per facta concludentia – non può conferirsi rilievo a tal fine ad una mera dichiarazione di avvenuta ricezione del la domanda di riscatto, ancorchè contenente l’indicazione del prezzo di cessione.
Ne consegue che nel caso in cui l’assegnatario sia deceduto prima della stipulazione del contratto di compravendita i suoi eredi non acquisiscono a titolo derivativo alcun diritto alla cessione dell’alloggio.
Nè può ravvisarsi una deroga a tale disciplina nella norma interpretativa introdotta dalla L. 2 aprile 2001, n. 136, art. 2, comma 3, poiché essa va intesa nel senso della non necessità di una espressa conferma della domanda di riscatto da parte degli eredi, i quali potrebbero non aver avuto tempestiva conoscenza della domanda del loro dante causa, fermo restando l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere in ordine alla domanda di cessione dopo aver individuato, tra essi, quelli che abbiano titolo per subentrare nella posizione dell’assegnatario, ma non ha previsto anche il necessario accoglimento della domanda indipendentemente da ogni valutazione dei requisiti di parentela e di convivenza che, non essendo stati espressamente abrogati, non possono ritenersi posti nel nulla da una norma meramente interpretativa.
Per quanto attiene poi alla possibilità di una pronuncia costitutiva diretta alla realizzazione della cessione in proprietà dell’alloggio nell’inerzia o nel dissenso dell’Amministrazione essa deve ritenersi esclusa, per le considerazione già esposte, tutte le volte che l’istituto Autonomo per le Case Popolari non sia avvalso della facoltà di stipulare un contratto preliminare che preveda la cessione dell’alloggio previa fissazione di un prezzo provvisorio.
Con il diciannovesimo motivo si denuncia l’omessa pronuncia e il vizio di motivazione in ordine all’eccepita perdita del diritto alla cessione in proprietà da parte delle eredi S. per decadenza o revoca dell’assegnazione ovvero per la sua risoluzione per morosità.
La censura è inammissibile per difetto di interesse per quanto riguarda S.M. la cui domanda, in accoglimento dell’appello della A.T.C., della Provincia di Torino, è stata respinta per difetto del requisito della convivenza con l’assegnatario, mentre resta assorbita nei confronti di S. C. a seguito del mancato riconoscimento del diritto del suo dante causa all’assegnazione in proprietà dell’alloggio.
Con il ventesimo ed ultimo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’intervenuta risoluzione del rapporto di locazione nei confronti di C.G., C.M. e I.G.V. per superamento dei limiti reddituali richiesti dalla legge.
Anche l’esame di tale censura resta assorbito dalla affermata esclusione del diritto all’assegnazione in proprietà dell’alloggio nei confronti di tutti gli assegnatari che hanno agito in giudizio.
In conclusione perciò, il ricorso merita accoglimento nei limiti meglio innanzi precisati e consegue n temente, previo rigetto del ricorso incidentale, la sentenza impugnata dev’essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto può procedersi alla pronuncia nel merito con l’accoglimento dell’appello proposto nei confronti degli assegnatari vittoriosi, ferma restando ogni ulteriore statuizione.
Le spese giudiziali dell’intero giudizio, in considerazione del contrasto di giurisprudenza verificatosi nella materia, restano interamente compensate fra le parti.
La mancata partecipazione al giudizio di Ca.Mi.
preclude ogni pronuncia sulle spese nei suoi confronti.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite, riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di Ca.
M., ne accoglie l’undicesimo e il dodicesimo motivo, rigetta il quindicesimo e dichiara assorbiti i motivi ulteriori, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai mezzi accolti e, pronunciando nel merito, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie l’appello dell’Azienda Territoriale per la Casa della Provincia di Torino nei confronti di C.A., C.F.P., M.S., B. V., M.A., P.N., Ca.
A., C.E., I.G.V., G. G., D.C. ved. M., P.G. ved.
L., C.V., P.B., S.C., L.A., F.C., ved. O., O. M., O.A., G.C., C.M. e C.G., ferma restando ogni ulteriore statuizione.
Dispone la compensazione totale delle spese dell’intero giudizio tra le parti.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2007