Fatto
Con ricorso alla commissione tributaria di primo grado di Agrigento la società CO.VE.MA. srl proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento notificatole a cura dell’Ufficio Iva di quella città per l’anno 1976, per il minor credito d’imposta di L. 21.929.000, e per il pagamento della somma di L. 15.881.000, rimborsata indebitamente, oltre alle sanzioni e interessi. L’opponente esponeva che quell’avviso era infondato, in quanto la relativa dichiarazione priva di sottoscrizione era stata sostituita da altra regolare nel termine previsto; pertanto chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato.
Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza del ricorso, giacché l’avviso si basava su accertamento induttivo svolto dopo che aveva rilevato che la prescritta dichiarazione era priva di sottoscrizione, mentre nessuna (nuova) altra sostitutiva gli era mai pervenuta; e perciò chiedeva il rigetto dell’impugnativa.
Quella commissione accoglieva il ricorso introduttivo con sentenza n. 236 del 1994.
Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate proponeva appello, cui Covema non resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale, con sentenza n. 4 dell’8.1.2002, ha rigettato il gravame, osservando che la mancata sottoscrizione della dichiarazione non comportava la nullità di essa, e comunque la contribuente aveva provveduto a presentarne altra regolare nel termine, senza che l’amministrazione avesse assunto alcuna posizione sul punto.
Avverso questa pronuncia il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo.
La società Covema non ha svolto alcuna difesa.
Diritto
Col motivo addotto a sostegno del ricorso i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 37 e 55 e art. 2697 c.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione; circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che la mancata sottoscrizione della dichiarazione comportava l’inesistenza di essa; né alcuna altra sostitutiva era mai pervenuta all’ufficio, come risultava dai “protocolli, registri ed atti di esso”, senza che Covema avesse fornito alcuna prova, nonostante avesse prodotto la copia di una ricevuta postale illeggibile e per di più senza alcun timbro, come peraltro puntualmente contestato dall’appellante, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR. Il motivo è fondato.
La dichiarazione Iva non sottoscritta, non essendo riferibile ad alcun dichiarante, in quanto priva di un elemento essenziale per la produzione degli effetti che la legge le ricollega, deve essere considerata inesistente sul piano giuridico e non sanabile né a norma della L. 22 dicembre 1980, n. 882, art. 3, né a norma della L. n. 154 del 1989, art. 21, che dettano entrambi disposizioni relative alla sanatoria delle irregolarità formali in relazione alle sole dichiarazioni dei redditi non sottoscritte, poiché il legislatore delle sanatorie non ha esteso tale disciplina anche alle dichiarazioni Iva (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 14506 del 19/11/2001, n. 1733 del 1999, n. 7957 del 1995).
Ciò posto, in tema di accertamento dell’Iva, qualora sia stata omessa la presentazione della dichiarazione annuale, l’accertamento induttivo dell’imposta può essere fondato non solo su prove documentali, ma anche su indizi aventi i caratteri di gravità, precisione e concordanza per ricavarne – con apprezzamento insindacabile, se correttamente motivato, in sede di legittimità – una valida presunzione ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 53, 54 e 55 e art. 2727 cod. civ.. La presunzione in parola ha il valore autonomo di prova della pretesa fiscale e produce, quindi, l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria, che nella specie era mancata, atteso che nessun valore poteva essere attribuito alla copia della ricevuta peraltro illeggibile (V. pure Cass. Sentenza n. 9203 del 09/04/2008, n. 1715 del 2007). Peraltro tale circostanza specifica era stata dedotta dall’agenzia delle entrate con l’appello, col quale si contestava che nessuna dichiarazione sostitutiva era mai pervenuta all’amministrazione; né poteva attribuirsi alcun valore probatorio ad una fotocopia informale di essa, come preteso dall’appellata, peraltro non costituita, ovvero alla copia della ricevuta della raccomandata, peraltro priva di data e numero.
Pertanto essendosi formata una preclusione per la contribuente a potere richiedere il rimborso di quanto pretesamente assolto in più del dovuto, l’appello non poteva non essere accolto.
Alla luce di quanto più sopra enunciato, dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo adeguato, oltre che giuridicamente e logicamente corretto.
Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 1 atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, col rigetto del ricorso in opposizione della contribuente avverso l’avviso di accertamento.
Quanto alle spese di questa fase, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza senza rinvio, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del doppio grado di giudizio, e condanna l’intimata al rimborso di quelle di questa fase a favore dei ricorrenti, e che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre a quelle generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2009