Fatto
1. Con ordinanza del 22/7/2014, il G.I.P. del Tribunale di Salerno non convalidava il fermo di A.A., H.N. e Al.Ae..
I tre cittadini stranieri sono indagati per il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis: erano stati individuati come “scafisti” in occasione dello sbarco di 2.100 migranti nel porto di (OMISSIS), tutti recuperati in mare aperto mentre viaggiavano verso l’Italia su vari natanti alla deriva e recuperati da una nave della Marina Militare italiana.
Il cittadino marocchino che aveva riconosciuto Al.Ae. come scafista non era stato sentito con l’assistenza del difensore ai sensi dell’art. 351 c.p.p., comma 1 bis benchè indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis e, di conseguenza, le sue dichiarazioni non potevano essere utilizzate; d’altro canto, Al., sentito con l’assistenza di un difensore, aveva ammesso di avere accettato l’incarico di condurre l’imbarcazione, ma tali dichiarazioni non risultavano precedute dagli avvertimenti previsti dall’art. 64 c.p.p., comma 3.
Analoga era la posizione degli altri due fermati: essi erano stati riconosciuti come scafisti di un altro naviglio da due extracomunitari non sentiti con l’assistenza del difensore, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni; da parte loro, H. e A., nell’interrogatorio di garanzia, avevano negato la propria responsabilità di conduttori della nave.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, deducendo violazione di legge processuale.
Nel caso di specie non sussiste la connessione teleologia ex art. 12 c.p.p., lett. c) tra i reati contestati ai fermati e quello ipotizzato nei confronti dei migranti, atteso che essa presuppone che il reato fine sia realizzato dalla stessa persona o dalle stesse persone che hanno commesso il reato mezzo; esiste, piuttosto, il collegamento probatorio tra i reati ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in relazione ad una molteplicità di illeciti penali, ma non quando la prova dei reati discenda semplicemente da una medesima fonte.
Tuttavia, secondo il ricorrente, gli extracomunitari che avevano reso dichiarazioni accusatorie avrebbero potuto trovarsi nella posizione di soggetti richiedenti asilo politico, quindi portatori di un diritto di ingresso in Italia finalizzato proprio al riconoscimento dello status di rifugiato; inoltre dovevano ritenersi persone offese del delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 prive di ogni consapevolezza della clandestinità del loro ingresso in Italia. Del resto essi non intendevano sostare nel territorio italiano, ma proseguire per l’Olanda e la Norvegia.
In definitiva non avrebbe dovuto trovare applicazione il disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2 per mancanza di gravi indizi di reità a carico dei migranti; per di più, l’inutilizzabilità di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2 non trova applicazione per le dichiarazioni contra alios.
Il P.M., infine, segnala che la Legge Delega n. 67 del 2014 prevede che il Governo depenalizzi la norma di cui al D.Lgs. 286 del 1998, art. 10 bis trasformandola in un illecito amministrativo e sottolinea il paradosso di una declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni dei tre migranti pur non punibili in conseguenza della depenalizzazione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Diritto
Il ricorso deve essere rigettato.
Il P.M. ricorrente non contesta la sussistenza del collegamento tra reati ai sensi dell’art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), cosicché è irrilevante la negazione di un nesso teleologia) ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c) tenuto conto che – per quanto qui rileva – la disciplina è comune alle due ipotesi.
Tuttavia il ricorrente ritiene che le norme di cui all’art. 351 c.p.p., comma 1 bis e art. 63 c.p.p., comma 2 possano non trovare applicazione al caso di specie per un duplice motivo: la possibilità che i migranti si trovassero nella condizione di chiedere lo status di rifugiato e la loro condizione di persone offese del delitto di cui al D.Lgs. n. 286, art. 12 contestato ai fermati.
La prima prospettazione è chiaramente ipotetica e non è utile ad escludere la posizione di persona sottoposta ad indagini per i migranti: il fatto che essi -forse – in futuro avrebbero potuto chiedere asilo politico e – forse – avrebbero potuto anche ottenerlo non muta il dato oggettivo che, nel momento in cui gli stessi venivano escussi dalla polizia giudiziaria, essendo entrati clandestinamente nel territorio dello Stato erano indagati per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis.
D’altro canto, nemmeno il giudice non può assolvere lo straniero extracomunitario dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis ritenendo sussistenti le condizioni per ottenere la qualifica di rifugiato, poiché il riconoscimento dello “status” di rifugiato è di competenza di un apposito organismo amministrativo, a cui il giudice penale non può sostituirsi (Sez. 1, n. 29491 del 27/06/2013 – dep. 10/07/2013, P.G. in proc. Sivasubramaniam, Rv. 256292).
La seconda argomentazione, anche prescindendo dalla questione se i migranti possano ritenersi persone offese del delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 deve essere disattesa alla luce della giurisprudenza di questa Corte che, a Sezioni Unite, ha insegnato che il soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c) o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato, deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con le forme previste per la testimonianza cosiddetta “assistita” (Sez. U, n. 12067 del 17/12/2009 – dep. 29/03/2010, De Simone e altro, Rv.
246375); cosicché sono inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa di un reato la quale sia anche indagata per altro reato connesso o probatoriamente collegato al precedente e che venga sentita in qualità di testimone invece che con le garanzie riservate all’imputato di reato connesso ovvero, qualora ne sussistano i presupposti, nella veste di testimone assistito (Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009 – dep. 17/07/2009, Vernengo e altri, Rv. 244462; Sez. 1, n. 52047 del 10/06/2014 – dep. 15/12/2014, Simone, Rv. 262147).
Quindi, esattamente il G.I.P. richiama l’inutilizzabilità delle dichiarazioni prevista dall’art. 63 c.p.p., comma 2: effetto che si produce -difformemente a quanto sostenuto dal P.M. ricorrente – erga omnes (Sez. 2, n. 23211 del 09/04/2014 – dep. 04/06/2014, Morinelli e altro, Rv. 259654; Sez. 3, n. 1233 del 02/10/2012 – dep. 10/01/2013, Bernasconi e altri, Rv. 254176; Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009 – dep. 10/06/2009, Fruci, Rv. 243417).
Infine, risulta irrilevante la circostanza che la Legge Delega n. 67 del 2014 abbia previsto la futura depenalizzazione della violazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10 bis: tale legge delega non comporta l’abrogazione della norma, atteso che la depenalizzazione interverrà se e quando il Governo emanerà i decreti delegati (Sez. 1, n. 44977 del 19/09/2014 – dep. 29/10/2014, P.G. in proc. Ndiaye e altri, Rv. 261124).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2015