Fatto
1.La Corte di appello di Brescia in seguito all’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione disponeva un supplemento di istruttoria volta ad acquisire informazioni sul trattamento penitenziario riservato al M. in Romania. Tale supplemento era stato ritenuto necessario in quanto doveva essere applicata la procEdura indicata dalla CGUE nella sentenza della Grande sezione del 5 aprile 2016 (cause riunite C-404/15 e C659/15 PPU ric. Aranyosi e Caldararu) per garantire che le consegne in Romania rispettino i diritti umani in coerenza con le indicazioni offerte dalla Corte Edu (tra l’altro, nelle sentenza Iacov Stanciu v. Romania del 24/7/2012).
Ottenute le informazioni richieste, la Corte territoriale riteneva che le condizioni carcerarie riservate al M. dallo Stato rumeno consentissero, in concreto, di escludere la violazione dei diritti umani e, segnatamente la sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti.
Veniva, pertanto, disposta la consegna del M. alla Romania in relazione ai reati di contrabbando e rapina aggravata.
2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore del M. che deduceva:
2.1. violazione di legge: si dEduceva che le Autorità rumene non avevano fornito elementi utili da escludere che il M. subisse trattamenti inumani e degradanti, con violazione della L. n. 69 del 2005, artt. 2 e 18, dell’art. 1, p.p. 3, 5, 6 della Decisione quadro 2002/584/GAI e dell’art. 3 della Convenzione Edu. Si dEduceva che le informazioni fornite riguardavano in generale il sistema penitenziario rumeno, ma non fornivano indicazioni individualizzate specificamente riferite al trattamento penitenziario riservato al ricorrente.
In particolare non si chiariva se al M. sarebbe stato riservato un regime “chiuso”, “semiaperto” o “aperto”, Né tantomeno la durata della detenzione; si deduceva che non veniva indicato con certezza l’istituto penitenziario nel quale il M. avrebbe dovuto essere ristretto dopo il periodo di quarantena; inoltre lo spazio riservato al M. non sarebbe conforme alle indicazioni della Corte di Strasburgo, che richiede che la cella abbia una ampiezza minima di tre metri calpestabili; infine non sarebbero indicate le modalità con le quali dovrebbe essere disponibile l’acqua calda; Né erano state fornite indicazioni sulla disponibilità degli impianti di riscaldamento e sulla frequenza degli interventi di derattizzazione e disinfestazione.
Diritto
1. Il ricorso è infondato.
Si ritiene che, tenuto conto delle indicazioni fornite dall’Autorità rumena il provvedimento impugnato non violi le garanzie convenzionali in materia di inflizione di trattamenti inumani e degradanti all’interno degli istituti penitenziari.
2. Contrariamente a quanto dedotto, l’Autorità rumena comunicava il trattamento individuale riservato al M. non limitandosi a fornire indicazioni generali astrattamente riferibili al sistema penitenziario rumeno. Il M. dovrebbe scontare un primo periodo di detenzione (successivo ad un periodo di quarantena di 21 giorni) in regime chiuso verosimilmente presso il carcere di (OMISSIS), penitenziario definito “soddisfacente” nel 2015 dal Rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa, con a disposizione uno spazio calpestabile compatibile con le indicazioni fornite dalla Corte Edu (superiore ai tre metri quadri), regolarmente dotato di impianto di riscaldamento.
Trascorso un quinto del periodo di detenzione inflitto, il M. avrebbe la possibilità di accedere al regime “semiaperto” presso il carcere di (OMISSIS), sempre che la sua condotta risulti compatibile con l’affievolimento del regime carcerario.
Il carcere di (OMISSIS), secondo le indicazioni fornite dall’Autorità rumena consente il quotidiano utilizzo dell’acqua calda, secondo scadenze temporali programmate dal Direttore del penitenziario. Veniva anche precisato che era prevista la periodica attività di disinfezione delle celle.
In tale carcere lo spazio calpestabile nelle celle è inferiore ai tre metri quadri; si prevede, tuttavia, che i detenuti svolgano attività in comune all’esterno delle celle per otto ore al giorno; inoltre durante il giorno la porta delle stanze rimane aperta, consentendo l’accesso all’esterno (pagg. 3 e 4 delle informazioni fornite dall’Autorità rumena pervenute in Corte di appello il 17 febbraio 2017). Tali emergenze inducevano la Corte territoriale a ritenere che la dimensione delle celle, seppure inferiore ai tre metri quadri, non ledesse i diritti fondamentali del M. e non fosse incompatibile con le garanzie previste dall’art. 3 della Convenzione di Roma.
2. La compatibilità di tale spazio ristretto con le garanzie convenzionali deve essere vagliata alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di Strasburgo.
2.1.La Corte costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 ha chiarito che la Convenzione europea dei diritti umani come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo assurge a fonte del diritto interno di rango sovralegislativo, ma subcostituzionale: il giudice comune è tenuto ad interpretare la legislazione interna in modo “conforme” alla ratio decidendi del
giudice convenzionale, facendo ricorso ad ogni strumento ermeneutico disponibile; l’incidente di legittimità costituzionale è indicato come strumento residuale da utilizzare quando è impossibile la torsione interpretativa delle norme legislative (Corte cost. sentenza n. 80 del 2011).
Il ruolo della “norma” convenzionale, come emerge dalla mediazione giurisprudenziale della Corte europea, è stato significativamente chiarito dalla sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale.
La Consulta ha chiarito che l’obbligo dell’interpretazione adeguatrice incombe sul giudice solo in presenza di una interpretazione consolidata o di una sentenza pilota: “solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo (…) La nozione stessa di giurisprudenza consolidata trova riconoscimento nell’art. 28 della CEDU, a riprova che, anche nell’ambito di quest’ultima, si ammette che lo spessore di persuasività delle pronunce sia soggetto a sfumature di grado, fino a quando non emerga un “well-established case- law” che “normally means case-law which has been consistently applied by a Chamber”, salvo il caso eccezionale su questione di principio, “particularly when the Grand Chamber has rendered it” (Corte cost. n. 49 del 2015).
La Consulta ha anche indicato indici idonei ad orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento ovvero “ la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste dEduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano. Quando tutti, o alcuni di questi indizi si manifestano, secondo un giudizio che non può prescindere dalle peculiarità di ogni singola vicenda, non vi è alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte EDU per decidere una peculiare controversia, sempre che non si tratti di una “sentenza pilota” in senso stretto” (Corte cost. n. 49 del 2015).
Dunque: non ogni sentenza della Corte Edu genera l’obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi del diritto scrutinato non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avvallato dall’intervento di una pronuncia di Grande camera.
2.2. La Convenzione Edu proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, quali che siano i fatti commessi dalla persona interessata (Saadi c/Italia (GC), n. 37201/06, p. 127, 28 febbraio 2008, e Labita c/Italia (GC), n. 26772/95, p. 119, CEDU 2000-4). La Convenzione “ impone allo Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni detenuto siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad un disagio o ad una prova d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente assicurate (Kudla c/Polonia (GC), n. 30210/96, p. 92-94, CEDU 2000-11).
2.3. Segnatamente, sullo specifico tema della compatibilità degli spazi carcerari con l’art. 3 della Convenzione Edu è intervenuta la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo nel caso Mursic v. Croatia (Corte Edu, Grande Camera 20 ottobre 2016).
Secondo tale decisione il fatto che lo spazio della cella sia inferiore ai tre metri quadri genera una “forte presunzione” di violazione dell’art. 3 della Convenzione Edu, che può essere superata solo attraverso l’allegazione di fattori compensativi, individuati nella durata della restrizione carceraria, nel grado di libertà di circolazione, nell’offerta di attività collettive fuori dalle celle e nel carattere decoroso delle condizioni di detenzione (p. 135 della sentenza citata). Si tratta di una sentenza che offre un’autorevole composizione della giurisprudenza convenzionale che, fino ad allora, non si era espressa in modo univoco nel rilevare la violazione dell’art. 3 della Convenzione Edu nei casi in cui lo spazio calpestabile nelle celle è inferiore ai tre metri.
L’autorevolezza della decisione, proveniente dalla Grande Camera della Corte europea, e la apprezzabile accuratezza della stessa, consentono di ritenere che la sua ratio decidendi costituisca espressione di quel “diritto convenzionale consolidato”, idoneo a generale l’onere di interpretazione adeguatrice in capo al giudice comune italiano. Tale valutazione non risulta inficiata dagli argomenti proposti con le opinioni dissenzienti che si limitano a riproporre gli argomenti motivatamente superati dalla pronuncia di Grande Camera.
2.4. Può dunque affermarsi che se lo spazio delle celle è inferiore ai tre metri quadri esiste una forte presunzione di violazione dell’art. 3 della Convenzione Edu, vincibile solo attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella durata della restrizione carceraria, nella misura della libertà di circolazione, nell’offerta di attività da svolgere in spazi ampi fuori dalle celle e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione.
3. Nel caso di specie, preso atto che le stanze destinate alla detenzione nel carcere di (OMISSIS) dispongono di uno spazio inferiore ai tre metri quadri, occorre verificare se i fattori compensativi allegati dall’Autorità rumena consentano di escludere in concreto la violazione dell’art. 3 della Convenzione. Dal rapporto emerge che il M. dovrebbe passare nell’istituto di (OMISSIS) un periodo detentivo pari ai quattro quinti della pena che gli resta da scontare, dunque un periodo che non si presta ad essere qualificato come “breve”. Tuttavia, il tempo che il M. dovrebbe trascorrere ristretto in cella risulta limitato alle ore serali e notturne, poiché durante il giorno la porta della stanza resta aperta, consentendo l’accesso agli altri spazi dell’istituto; a ciò si aggiunge che nel carcere di (OMISSIS) risultano organizzate attività che si svolgono fuori dalle camere per otto al giorno, durante le quali i detenuti possono uscire nel cortile, camminare, andare nelle aule, in biblioteca, nell’aula destinata alle attività Educative od a svolgere attività sportive nei campi destinati al calcio alla
pallavolo, alla pallacanestro ed al ping pong (pagg. 3 e 4 delle informazioni fornite dall’autorità rumena pervenute in Corte di appello il 17 febbraio 2017). Tali condizioni, complessivamente considerate, consentono di ritenere che il carcere di (OMISSIS) offra condizioni detentive compatibili con le garanzie previste dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani, nonostante le celle abbiano una dimensione inferiore ai tre metri quadri. Non si ritiene pertanto integrata neanche la condizione ostativa prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h). La limitata dimensione delle celle risulta infatti sufficientemente compensata dalla possibilità offerta al detenuto di utilizzare ampi e decorosi spazi durante la maggior parte della giornata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22 comma 5.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2017