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    Cassazione penale, sez. III, 11 giugno 2015, n. 24691

    Redazionedi Redazione10 Settembre 2015Aggiornato il:10 Settembre 2015
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    Cassazione penale, sez. III, 11 giugno 2015, n. 24691

    RITENUTO IN FATTO
    1. (omissis) ricorrono per cassazione la sentenza
    indicata in epigrafe con la quale la corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della pronuncia resa dal tribunale di Tempio
    Pausania, sezione distaccata di Olbia, ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena al R, confermando nel resto l’impugnata
    sentenza,
    I ricorrenti rispondevano del reato (capo af della rubrica, per il quale è stato dichiarato non doversi procedere nei loro confronti per essere il reato estinto per intervenuta concessione in sanatoria) previsto dall’articolo 44, lettera e), d.p,r. 6 giugno 2001, n, 380 perché, in totale difformità dalla concessione edilizia numero 157/08 rilasciata dal comune di Arzachena in data 9 luglio 2008, realizzavano il primo, in qualità di proprietario, il secondo, in qualità di esecutore delle opere, una pergola delle dimensioni di mezzi 12,30 x 5 e metri 3 di altezza, ampliando e traslando la stessa, rispetto al progetto autorizzato; realizzavano inoltre una piscina di forma irregolare delle dimensioni di metri 1.6,70 x metri 9,50 con attiguo locale tecnico di metri 4 x metri 4,15 ampliando e traslando gli stessi, rispetto al progetto autorizzato; inoltre del reato (capo b) previsto dall’articolo 181, comma 1 bis, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, perché, in totale difformità dalla autorizzazione paesaggistica, eseguivano le opere descritte al capo a) In aree che per loro caratteristiche paesaggistiche sono state dichiarate di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alia realizzazione dei lavori (decreto ministeriale 12 maggio 1996). Reato accertato in località Cala Granu, in agro del comune di Arzachena il 20 luglio 2009,

    2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza i ricorrenti, con separati atti e tramite i rispettivi difensori, affidano i ricorsi ai seguenti motivi, qui enunciati, ai
    sensi dell’art. 173 disp, att, cod, proc, pen,, nei limiti strettamente necessari per la motivazione,

    2.1. Con unico motivo Paolo R. deduce la mancanza di motivazione con riferimento al secondo motivo di appello nonché nullità della sentenza per inosservanza dell’articolo 597 codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettere e) ed e) codice di procedura penale).
    Assume il ricorrente come, con il secondo motivo di appello, avesse evidenziato la carenza e la illogicità della sentenza di primo grado in punto di sussistenza dell’elemento psicologico, posto che il tribunale aveva fondato la colpevolezza affermando, da un lato, come fosse “fuori di dubbio” e, dall’altro, come fosse “verosimile ritenere” la sussistenza del dolo ma senza alcun effettivo vaglio degli elementi di fatto, rinvenibili in atti, che suffragassero tale “certezza” o “verosimiglianza”,
    Tuttavia la Corte di appello, nonostante il tema fosse stato ad essa devoluto, avrebbe totalmente omesso di pronunciarsi al riguardo, anche solo per reiationem.

    2.2. Giovanni B. deduce (con un primo motivo} erronea applicazione di legge penale in relazione agli articoli 167 e 1.81 del decreto legislativo 42 del 2004 (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale), assumendo come l’autorità amministrativa preposta alla tutela del vincolo avesse riscontrato la compatibilità paesaggistica 2° le procedure ex lege previste, con la conseguenza che alcun sanzione penale poteva essere applicata e conseguendo da ciò anche l’estinzione del reato,
    Il ricorrente deduce altresì (con il secondo motivo) la violazione e l’erronea applicazione nonché carenza di motivazione in relazione agli articoli 132-133 e 62 bis codice penale (articolo 606, comma 1, lettere di) ed e), codice di \J procedura penale), sostenendo che giudici del merito avrebbero fatto cattivo uso dei poteri discrezionali loro attribuiti dagli articoli 132 e 133 del codice penale nella determinazione del trattamento sanzionatorio, Peraltro, ai fini del diniego delle richiesti attenuanti generiche, è stato disatteso lo stato di incensuratezza e la totale assenza di capacità a delinquere da parte del ricorrente e neppure stata considerata la condotta contemporanea e susseguente al reato, circostanze che, se adeguatamente valutate, avrebbero dovuto comportare l’applicazione di 1 sanzione penale più contenuta rispetto a quella in concreto irrogata,

    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. I ricorsi sono inammissibili,

    2. Quanto alla doglianza prospettata dal R, va osservato che, sulla base di una complessiva lettura della motivazione della sentenza impugnata, la Corte di appello ha pienamente rispettato il principio devolutivo pronunciandosi sulla censura che il ricorrente aveva mosso nei confronti della sentenza di primo grado, sebbene l’atto contenga (a pag. 7) un evidente e riconoscibile errore materiale,
    Infatti, la Corte territoriale ha, con la massima precisione, enunciato i motivi di appello proposti nei confronti della sentenza di primo grado, in modo da disegnare, senza incertezze, il perimetro cognitivo devoluto al giudice di appello con l’impugnazione,
    Sotto tale aspetto (pagine 2 e 3 della sentenza impugnata), la Corte del merito ha dato atto come il R avesse sollevato tre motivi di gravame nei confronti della sentenza di primo grado, di cui il secondo relativo alla pretesa insussistenza dell’elemento psicologico del reato.
    La Corte di appello ha poi appositamente indicato (pagine 3, 4 e 5 della sentenza Impugnata) i due motivi di appello proposti da Giovanni B., esattamente corrispondenti ai due motivi proposti con il ricorso per cassazione ed in precedenza riassunti (intervenuta compatibilità paesaggistica e trattamento Sanzionatorio),
    Ne consegue che l’unico appellante che aveva proposto e devoluto al giudice d’appello un motivo riguardante l’insussistenza dell’elemento psicologico era il R, e ciò è ampiamente evìncibile dal testo della sentenza impugnata, cosicché la Corte non poteva che riferirsi a quest’ultimo quando ha affermato (a pagina 7-8 dell’impugnata sentenza) che, in relazione alla prospettata mancanza dell’elemento psicologico in capo a BG (recte R Paolo n.d.r.) si osserva che il dolo richiesto dalia norma è quello generico e richiede fa consapevolezza e volontà della propria condotta, ossia quella di realizzare un immobile in area tutelata in assenza dei preventivo nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, senza necessità di particolari conoscenze tecniche di guisa che io stesso deve ritenersi pacificamente sussistente”,
    Ne consegue che non costituisce vizio di omessa motivazione di un provvedimento giurisdizionale l’indicazione errata, contenuta nel testo del provvedimento, del nome di una persona, sia essa parte o meno del processo, in conseguenza di indubbio e immediatamente riconoscibile errore materiale che risulti dalla logica ricostruzione del contenuto complessivo dell’atto, implicando detto vizio una formazione della decisione del giudice che consegua ad un manifesto difetto di pronuncia su un punto decisivo del giudizio, sicché non integra II vizio di omessa pronuncia la mera indicazione di una circostanza fattuale o personale erroneamente risultante dai testo del provvedimento a cagione di un accertato, o immediatamente accertabile, errore materiale.
    Da ciò deriva l’inammissibilità del motivo proposto da Paolo R., che avrebbe dovuto impugnare la sentenza di appello sul punto della decisione che indubbiamente lo riguardava,

    3, Quanto al primo motivo di gravame proposto da Giovanni B., va osservato che, come più volte ribadito da questa Corte, il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall’art, 181, comma I-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Sez. 3, n, 7216 del 17/11/2010, dep, 25/02/2011, Zolesio ed altro, Rv, 249526), con Sa conseguenza che, a fronte di una contestazione di lavori eseguiti, come nella specie, su aree dichiarate di notevole interesse pubblico (e comunque in tutte le ipotesi di contestazione della fattispecie delittuosa ex art. 181, comma 1 bis, d.lgs. n. 42 del 2001), l’accertamento di compatibilità paesaggistica è del tutto irrilevante, a prescindere dall’ambito di operatività dell’art. 181, comma 1 ter, che esclude, a determinate condizioni, la rilevanza penale (non anche amministrativa dal punto di vista sanzionatorio) dell’art. 181, comma 1 (e non invece del comma 1 bis) ed anche a prescindere dalla rimessione in pristino che, ai sensi dell’art. 181, comma 1 quinquies, estingue la contravvenzione di cui al comma 1 e giammai il delitto di cui al comma 1 bis.

    Né può ipotizzarsi, avuto riguardo alle opere realizzate e come descritte nel capo di imputazione, l’inoffensività della condotta, dovendosi a tale proposito ricordare come questa Corte – nell’affermare il richiamato principio secondo il quale il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall’art, 181, comma l-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – abbia anche affermato che la mancata estensione alla fattispecie delittuosa della causa di non punibilità, prevista dall’art. 181, comma I-ter, d.lgs. n. 42 del 2004 per la sola fattispecie contravvenzionale di cui al comma primo, non viola il principio di offensività.
    Non vi è dubbio che la fattispecie incriminatrice descritta nell’art. 181, comma 1 bis, d.lgs. n, 42 del 2004 configuri, al pari di quella contravvenzionale, un reato di pericolo sicché, per l’integrazione dell’illecito penale, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano ictu acuii inidonee a compromettere i valori del paesaggio.
    Come questa Corte ha affermato il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.
    Ne! caso di specie, ì giudici di merito hanno dato conto dell’entità dell’opera eseguita e del fatto che la stessa è risultata non irrilevante sotto il profilo oggettivo, oltre ad essere stata realizzata in area dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento. Pertanto i giudici, dandone congrua motivazione, hanno valutato l’intervento idoneo a compromettere l’ambiente, pervenendo alla corretta conclusione circa la sussistenza di un’effettiva messa in pencolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.

    4. Quanto al secondo motivo dì gravame sollevato dalla B. e relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonché al trattamento sanzionatorio, ia Corte distrettuale ha osservato come l’incensuratezza fosse irrilevante, per espressa previsione normativa, ai fini della concessione delle attenuanti generiche e come non fossero ravvisaci elementi positivi tali da consentire il riconoscimento del beneficio.
    Quanto infine alla dosimetria della pena, la Corte di appello ha osservato come il trattamento sanzionatorio fosse stato commisurato sulla base dei minimi edittali.
    La motivazione è ineccepibile per avere la Corte territoriale escluso, con accertamento dì fatto non censurabile in sede di legittimità, la possibilità di concedere le attenuanti generiche, derivando da ciò anche l’impossibilità di ritoccare in senso favorevole al ricorrente il trattamento sanzionatorio per essere stata applicata la pena (anni uno di reclusione) nei minimo edittale previsto per il reato ritenuto in sentenza,
    5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. Pen„ di sostenere le spese del procedimento,
    Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n, 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», sì dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1,000,00 in favore della Cassa delle Ammende,
    Così deciso il 18/02/2015

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