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Home » Sentenze » Cassazione penale, sez. III, 9 marzo 2016, n. 35570

Cassazione penale, sez. III, 9 marzo 2016, n. 35570

RedazionediRedazione
12 Giugno 2021
inSentenze, Penale Procedura Penale
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Cassazione penale, sez. III, 9 marzo 2016, n. 35570

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 2 marzo 2015 la Corte d’appello di Catania parzialmente riformava la sentenza in data 5 novembre 2013 con la quale il Gup del Tribunale di Catania aveva condannato A.M. alla pena di anni cinque mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, art. 609 ter c.p., comma 2, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite genitori della minore p.o. C.S.. La Corte territoriale, rimanendo incontestata la affermazione di penale responsabilità del prevenuto, ne rigettava ira motivi di appello concernenti il mancato riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente, la mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, e art. 62 bis c.p., nonché la determinazione del trattamento sanzionatorio. In tal senso confermava la pronuncia gravata che peraltro riformava concedendo alle parti civili una provvisionale di Euro 60.000.
2. Contro la decisione, tramite il difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione l’Ardita deducendo tre motivi.
2.1 Con un primo motivo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione della diminuente del vizio parziale di mente, ribadendo le critiche alla perizia psichiatrica espletata in prime cure soprattutto in considerazione delle contro argomentazioni dei propri ctp.
2.2 Con un secondo motivo si duole di violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, e art. 62 bis c.p..
2.3 Con un terzo motivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio della motivazione relativamente alla concessione della provvisionale alle parti civili, non essendo le stesse appellanti Né avendo le stesse chiesto la provvisionale medesima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Con il primo motivo l’Ardita afferma che la sentenza impugnata è viziata per violazione di legge e vizio della motivazione sul punto della rigettata richiesta di applicazione della diminuente del vizio parziale di mente. In particolare si duole del mancato riscontro nella motivazione del giudice di appello delle risultanze delle proprie ctp psichiatriche quali contrastanti con quelle della perizia di ufficio.
Il motivo è inammissibile.
Con la censura infatti si chiede a questa Corte di sindacare una valutazione tipicamente meritale esclusivamente spettante alla Corte territoriale, che la stessa ha peraltro effettuato nel pieno rispetto dei criteri motivazionali impostile, con puntuale, specifica e logicamente inattaccabile risposta al motivo di gravame che la difesa dell’imputato aveva dedotto. Ciò, essenzialmente, ma dirimentemente, mediante un’ attenta analisi/valutazione delle considerazioni psichiatrico forensi del perito d’ufficio prof. P. ed un’ altrettanto diligente confutazione delle controdeduzioni dei cc.tt.p..
Fermo e comunque ribadito il principio che “Nel giudizio di legittimità, l’accertamento peritale può essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del cd travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità”. (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato infondato il motivo di ricorso con cui si contestava un risultato di una perizia fonica, proponendosi una diversa possibile lettura, sulla scorta degli esiti della consulenza di parte)” (ex pluribus v. Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011, Esposito, Rv. 251404).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio della motivazione per la mancata concessione delle attenuanti di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., e art. 62 bis c.p..
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha reso ampia e comunque coerente motivazione del giudizio, riservatole, inerente le due attenuanti in questione, peraltro rilevando l’inammissibilità della censura riguardante la seconda, in quanto a-specifica. In particolare il giudice di appello ha suffragato la propria decisione con riferimento alle specifiche, gravi, modalità delle condotte ascritte al prevenuto, infine rilevando che la pena in concreto inflitta si attesta comunque sui minimi edittali.
3. Con il terzo motivo l’Ardita si duole che la Corte d’appello di Catania lo abbia condannato al pagamento di una provvisionale in favore delle parti civili costituite, genitori della minore p.o., senza che ve ne fossero i necessari presupposti giuridico processuali.
In particolare il ricorrente rileva in via preliminare di rito che tale domanda non era stata fatta in primo grado e che le parti civili non hanno interposto alcun gravame avverso la sentenza del primo giudice. Lamenta dunque la violazione del principio della domanda e di quello del divieto di reformatio in pejus, citando precedenti di legittimità.
Sotto diverso profilo si duole inoltre della quantificazione operata dalla Corte territoriale, in assenza di specifica prova e motivazione al riguardo.
Il motivo è infondato quanto al primo profilo, è inammissibile quanto al secondo.
Anzitutto va rilevato, in fatto (come pacificamente consentito in questa sede trattandosi di vizio procedurale), che dallo stesso ricorso risulta chiaro che la richiesta di provvisionale è stata formulata dalle parti civili, certamente non appellanti, ma ritualmente costituite, nelle conclusioni del dibattimento di secondo grado.
Sul punto la attribuzione della qualità di “appellanti” alle parti civili stesse contenuta nella sentenza impugnata è il frutto di un banale refuso, non rilevante.
La questione è dunque quella di stabilire la ammissibilità della richiesta de qua in quanto formulata per la prima volta in appello e perciò di valutare la correlativa legittimità di una pronuncia di accoglimento della medesima, quando, come nel caso di specie, sia appellante il solo imputato.
Il Collegio è consapevole che su tale questione esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, affermandosi in alcune pronunce che tale decisione in appello sia illegittima, violando il divieto di “riforma in peggio”, sì come esteso alle statuizioni civili per la sua portata generale ed inderogabile (ex pluribus, da ultimo, in questo senso Sez. 1, n. 13545 del 04/02/2009, Bestetti, Rv. 243132), in altre, al contrario, statuendosi che “Quando è stata pronunciata in primo grado condanna generica al risarcimento del danno, non costituisce domanda nuova la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale effettuata per la prima volta in appello dalla parte civile, con la conseguenza che il giudice del gravame ha il dovere di pronunciarsi sulla domanda, utilizzando gli stessi criteri di giudizio previsti dall’art. 539, comma secondo, cod. proc. pen., per il giudice di prime cure” (ex pluribus, da ultimo, Sez. 3, n. 42684 del 07/05/2015, Pizzo, Rv. 265198).
Il Collegio ritiene di condividere tale secondo indirizzo, che perciò intende ribadire.
Questo essenzialmente perché si deve escludere che il principio di cui all’art. 597 c.p.p., abbia portata tale da estendersi alle statuizioni civili, “trattandosi, di norma che ponendo un limite alla pretesa punitiva dello Stato non si applica all’istanza risarcitoria oggetto dell’azione civile” (cfr. Sez. 3 n. 42684/2015 ed ulteriori pronuncie nella medesima citate). Ciò in quanto l’azione civile ancorchè “inserita” nel processo penale è pur sempre soggetta ai principi del processo civile e, per così dire, non risente di quelli processual penalistici, quali appunto il divieto di reformatio in pejus.
Ne consegue che, come in linea di principio sancito dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 353 del 1994), non può affermarsi che a chi esercita l’azione civile nel processo penale, salve le regole peculiari di esso, possano inibirsi facoltà processuali che gli spetterebbero qualora tale azione fosse esercitata nel processo civile.
E questa stessa facoltà senza dubbio spetterebbe, in situazione omologa, alle odierne parti civili nel processo civile di appello, dovendosi escludere che tale domanda sia “nuova” e come tale inammissibile, essendone evidente la funzionalità cautelare/anticipatoria rispetto al petitum principale, non potendosi escludere in astratto la possibilità giuridica di un’applicazione diacronica, tra primo e secondo grado, delle previsioni di cui ai due commi dell’art. 278 c.p.c., ossia la possibilità che la condanna generica e la condanna al pagamento di una provvisionale siano scisse nel tempo e particolarmente nei due gradi del giudizio di merito, civile e quindi, per la ragione di principio sopra esposta, anche penale.
Sotto il secondo profilo la censura de qua è manifestamente infondata e comunque inammissibile.
Per un verso infatti la sentenza impugnata è del tutto congruamente motivata, essendovi un preciso riferimento al limite del disposto sequestro conservativo e quindi ad una delibazione fattuale già operata in sede cautelare.
Per altro verso va comunque ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che “Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata” (tra le molte, da ultimo, v. Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).
4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione alle parti civili delle spese del grado, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende e condanna il ricorrente altresì alla rifusione alle parti civili delle spese del grado che liquida in Euro tremilanovecento complessivi oltre accessori e spese generali disponendone il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 9 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2016

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