Svolgimento del processo
Il Tribunale del Riesame di Roma, con ordinanza emessa il 22/04/010 – provvedendo sulla richiesta di riesame avanzata nell’interesse di V.M. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa l’01/02/010 dal Gip del Tribunale di Roma; il tutto in relazione ai reati di associazione a delinquere, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di più donne – respingeva il gravame limitatamente al reato di favoreggiamento della prostituzione, ex artt. 61 n. 6 capo e, 3 n. 8 e 4 n. 7 L. 75/58.
L’interessato, rimasto finora latitante, proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e) cpp.
In particolare il ricorrente esponeva che non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato di favoreggiamento della prostituzione. V.M. si era limitato ad inserire nel sito internet, gestito dallo stesso, annunci pubblicitari relativi all’attività di prostituzione svolta dalle donne di nazionalità ungherese, come individuate in atti; senza porre in essere alcuna condotta di favoreggiamento della prostituzione.
Tanto dedotto, il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 05/11/010, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
All’esito del procedimento del riesame, con ordinanza del 22/04/010, la originaria misura della custodia cautelare in carcere (applicata con provvedimento del Gip del Tribunale di Roma, in data 01/02/010) veniva limitata al solo reato di favoreggiamento della prostituzione delle persone, come individuate in atti, il tutto nei confronti di V.M., ex artt. 61, n. 6 cp; 3 n. 8 e 4 n. 7 L. 75/58.
Tanto premesso, si rileva che il Tribunale di Roma ha congruamente motivato i punti fondamentali della decisione nei termini di cui appresso.
Il giudice del merito, allo stato delle risultanze processuali finora acquisite al procedimento – relative, peraltro, ad ampie ed articolate indagini investigative, aventi per oggetto un’organizzazione criminale dedita alla introduzione nel territorio italiano, nonché all’induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di numerose donne di nazionalità ungherese – ha accertato che V.M. (in concorso con altro indagato, M.L., coinvolto nell’organizzazione criminale de qua) – nelle condizioni di tempo e di luogo, come individuate in atti – provvedeva alla pubblicizzazione sui siti gestiti dallo stesso (V.) delle prestazioni sessuali a pagamento offerta della donne come individuate nel capo b) della imputazione.
All’uopo – come si ricava dall’esame congiunto della due ordinanze dell’01/02/010 (Gip di Roma) e del 22/04/010 (Tribunale del Riesame) – va, altresì, evidenziato: a) che V.M., tramite il predetto M., manteneva contatti diretti con le prostitute, di cui pubblicizzava nei suoi siti Internet (oltre il recapito telefonico) anche foto in scene di nudo ed in atteggiamento provocante; b) che l’attività di pubblicizzazione svolta dal V. – pur non essendo lo stesso, allo stato, collegato in modo organico e diretto all’organizzazione criminale dedita all’induzione e sfruttamento della prostituzione di cui all’ordinanza custodiale del Gip dell’01/02/010 – era contigua e funzionale all’attività illecita riconducibile alla predetta organizzazione criminale.
Ricorrevano, pertanto, nella fattispecie de qua gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, del reato di favoreggiamento aggravata della prostituzione, come contestato in atti.
Al riguardo va ribadito ed affermato che integra reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi pubblica su un sito web inserzioni pubblicitarie di donne che si offrono per incontri sessuali, purché accompagnate da ulteriori attività finalizzate ad agevolarne prostituzione; come accertato, allo stato, nella fattispecie in esame (vedi sul punto in esame: Cass. Sez. III Sent. n. 26343 del 18/03/09, rv 244266).
Per contro le censure dedotte nel ricorso sostanzialmente costituiscono eccezioni in punto di fatto e, comunque, sono infondate perché in contrasto con quanto accertato dai giudici di merito.
Sono, altresì, errate in diritto per le ragioni sopra esposte.
Non risultano dedotte censure né sulle esigenze cautelari, né sulla idoneità della misura coercitiva applicata nei confronti di V.M., rimasto, peraltro, finora latitante.
Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da V.M. con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.