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Home » Penale Procedura Penale » Cassazione penale, sez. IV, 20 giugno 2018, n. 29515

Cassazione penale, sez. IV, 20 giugno 2018, n. 29515

Avv. Gianluca LancianodiAvv. Gianluca Lanciano
26 Ottobre 2018
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Cassazione penale, sez. IV, 20 giugno 2018, n. 29515

Fatto

1.Con sentenza in epigrafe, Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Padova, in funzione di giudice monocratico” appellata da B.F., ha assolto quest’ultimo dal reato di omicidio colposo in danno di U.I. perché il fatto non costituisce reato con conseguente caducazione delle statuizioni civili.

2. La imputazione era riferita all’accaduto del (OMISSIS) in (OMISSIS), quando poco prima delle 2 di notte, Igor U. con due complici, uno dei quali N.C. arrestato in flagranza e l’altro rimasto ignoto e datosi alla fuga, dopo aver rubato una Fiat Panda, avevano sfondato, con l’auto in retromarcia e utilizzando una panchina della vicina pizzeria, la vetrina della tabaccheria sottostante e comunicante,dalla porta situata nel retrobottega,priva di particolari protezioni, con l’abitazione del B. che stava dormendo con la moglie e la figlia presenti in casa. Il B., svegliato di soprassalto per il forte rumore e per l’attivazione delle sirene degli allarmi della tabaccheria e dell’abitazione, mentre la moglie chiamava il 113,era sceso al piano sottostante, dopo aver preso con sè la pistola legittimamente detenuta e averla caricata e aveva attinto con un colpo dell’arma l’ U., che ancora era nella tabaccheria, attingendolo nella zona del pilastro ascellare destro con fuoriuscita dell’ogiva in modo rettilineo dal pilastro ascellare sinistro,con trapasso completo del polmone destro e sinistro e dell’aorta, cagionandone così la morte per arresto cardio circolatorio. Si addebitava al B. di aver agito eccedendo colposamente dai limiti previsti dalle legge per legittima difesa in quanto il ladri non erano armatie l’ U. che, pur avendo aggredito i beni di sua proprietà (mentre l’altro complice poi arrestato stava caricando la refurtiva sull’autovettura),appariva che lui stesse fuggendo verso l’esterno e l’uso dell’arma era avvenuto senza addestramento preventivo, tanto che l’imputato si era ferito, mostrando quindi imperizia.

3.La Corte territoriale alla luce degli accertamenti e rilievi tecnici e degli elementi desunti dalle fonti dichiarative non contestate ha ricostruito i fatti nei termini di seguito sinteticamente riportati e ha assolto l’imputato per aver agito nei limiti della scriminante della legittima difesa domiciliare putativa incolpevole (art. 59 c.p.). In particolare ha sostenuto che pur essendo provato che l’azione furtiva era stata preordinata senza armi, “il modus operandi”, in base al quale i tre complici avevano abbattuto la porta con un ariete, di notte, in pieno centro abitato, non scoraggiati nemmeno dagli allarmi entrati in azione, poteva far presagire ex ante al proprietario improvvisamente svegliato dal botto, con fragore di vetri e dalle sirene degli allarmi un’incursione aggressiva di persone al piano sovrastante, dove si poteva entrare senza difficoltà e dove si trovavano la moglie e la figlia quindicenne.
La Corte sostiene che la ricostruzione del primo giudice secondo cui B. avrebbe ecceduto colposamente nella reazione contro l’ U. avendolo visto dirigersi verso la porta con la cassa del negozio, dopo aver avuto il tempo e la visuale necessaria per rendersi conto che stava scappando con il denaro, non è quelle più aderente alle risultanze processuali.
Afferma infatti che non vi sono prove che la cassetta e il registratore di cassa ritrovati nei presso della porta di ingresso e senza esiti di impronte fossero stati presi da U., ma più ragionevolemente da un terzo complice, descritto da una teste escussa, (fol 18) che lo aveva notato con indosso un berretto di lana e guanti e che era riuscito a dileguarsi,dopo aver gettato a terra cassetta e registratore.
La Corte di appello dava significativo rilievo per considerare invece la posizione del B. e di U.(che colloca come rispondente al disegno 3 del CT del PM P.) nel momento in cui il primo ha sparato,proprio ai residui delle particelle peculiari G.R.S e di quelle compatibili con i GRS presenti fin dall’estremità destra del bancone, sopra il borsone rosso e sul pavimento fino a lambire il vetro, illustrati nella relazione dei RIS del 26.12.2012,oltre che alle tracce di terriccio, sia a terra che dietro e sopra il ripiano del bancone, dove è stata rilevata un’impronta parziale di suola di scarpa (compatibili con le suole sporche di terra delle scarpe indossate da U.), fol.20; il tutto compatibile altresì anche con la ricostruzione del CT P., secondo cui l’ U., che era dietro al bancone, aveva potuto scavalcare il bancone stesso, appoggiando un piede sul ripiano e balzando con effetto sorpresa nelle vicinanze del B., con un movimento verso sinistra, cioè il centro della tabaccheria e poi roteando verso destra, cioè verso l’uscita, dove la sagoma di un’altra persona, verosimilmente il complice rimasto ignoto, veniva contestualmente percepita dal B., e il terzo complice stava caricando la refurtiva in macchina con il motore e i fari accesi.
La Corte nella ricostruzione, coadiuvata dai dati certi delle indagini tecniche esclude che l’ U. abbia posto in essere comportamenti di aggressione reale fisica nei confronti del B.; ma ritiene che la situazione di penombra, il forte rumore lo stress emotivo, la rapida successione dei movimenti all’interno della tabaccheria dei tre complici, che avevano divelto il registratore di cassa e tre mensole contenente la merce, possono aver indotto ragionevolmente e in maniera scusabile in errore il B. circa le effettive intenzioni di U., e la situazione erroneamente percepita come di imminente aggressione per sè o i suoi familiari, nel momento in cui, in uno stato di forte concitazione, ha fatto partire il colpo.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso, ai soli effetti civili, la parte civile ( U.A.) assistita dall’Avvocato Cardinali Guido affermando il proprio interesse all’annullamento della sentenza in epigrafe in quanto, al di là della formula utilizzata nel dispositivo, fatto non costituisce reato,la motivazione della sentenza si fonda sul riconoscimento dell’esercizio della legittima difesa sia pure nella forma putativa e come tale l’accertamento è idoneo a fare stato nel giudizio civile, nel quale la parte civile potrà far valere solo un diritto all’indennizzo previsto dall’art. 2045 c.c. e non il diritto al risarcimento del danno subito.
Lamenta in particolare il vizio del travisamento della prova e vizi di motivazione per contraddittorietà e illogicità:
1) Deduce che la sentenza impugnata ritiene di assumere apoditticamente più verosimile la raffigurazione del disegno n. 3 della CT del PM, quella in cui U. è in una posizione più arretrata rispetto alla porta di uscita, facendo leva sulla più ampia presenza di residui peculiari da sparo in quella zona e più aderente ai ricordi sia pure confusi dell’imputato.
Rileva che la Corte ha immotivatamente e apoditticamente disatteso l’accertamento peritale del PM secondo cui non si poteva definire esattamente la posizione dell’ U. nè quella del B. e ha valorizzato anche la compatibilità con le dichiarazioni rese dal B. nell’immediatezza dei fatti e i nei successivi interrogatori.
2) Lamenta che l’esclusione di ogni colpa da parte del B. nel presagire un pericolo di aggressione imminente è contraddetta dalla affermazione pure contenuta in motivazione che il B. quando avvertiva la presenza di un’altra figura che saltava dal balcone avrebbe reattivamente stretto con le mani la pistola da cui partiva un colpo; secondo il ricorrente il colpo sarebbe partito per spavento improvviso più che per legittima difesa.; e che la valutazione dell’errore di valutazione come grossolano sarebbe di per sè incompatibile con la sussistenza di una colpa scusabile.
5. La difesa dell’imputato B. ha presentato il 4 giugno 2018 memoria, in cui ripercorre l’iter argomentativo della sentenza della Corte territoriale e chiede dichiararsi la inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso della parte civile.

Diritto

1.Preliminarmente si è proceduto a valutare la sussistenza dell’interesse invocato a fondamento del ricorso dalla parte civile.
Sul punto le S.U 29.05.2008 n. 40049, Guerra affermano che “quanto alla sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato, dalla formulazione letterale dell’art. 652 c.p.p. emerge chiaramente che l’efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno è riconosciuta soltanto quando essa contenga l’accertamento che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, perchè in tal caso difetta il carattere di illiceità del comportamento e quindi il requisito della ingiustizia del danno. Negli altri casi in cui l’assoluzione perchè il fatto non costituisce reato è stata pronunciata per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, o per la presenza di una causa di giustificazione diversa da quella di cui all’art. 51 c.p. o per un’altra ragione, la sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio di danno e spetta al giudice civile o amministrativo il dovere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del giudizio penale (Cass. civ., Sez. 3, 30 ottobre 2007, n. 2883, m. 600388; Sez. 3, 14 febbraio 2006, n. 3193, m. 590619; Sez. 3, 19 luglio 2004, n. 13355, m. 575647; Sez. 3, 17 novembre 2003, n. 17374, m. 568227; Sez. 3, 18 luglio 2002, n. 10412, m. 555882; Sez. 3, 7 agosto 2002, n. 11920; Sez. 3, 30 luglio 2001, n. 10399, m. 548623).”
Si tratta del resto di disciplina del tutto coerente con il nuovo principio della reciproca indipendenza dell’azione penale e di quella civile cui si ispira il vigente codice di procedura penale.
E ancora: “l’art. 652 c.p.p., invero, stabilisce che la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto o l’impossibilità di attribuirlo all’imputato o circa la circostanza che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima (circostanze, queste ultime, che escludono l’illiceità, non solo penale, del fatto, e conseguentemente l’ingiustizia del danno). La formula utilizzata di per sè è perciò non decisiva perchè, al di là di essa, l’effetto di giudicato è collegato al concreto effettivo accertamento dell’esistenza di una di queste ipotesi. Secondo la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, al fine di stabilire l’incidenza del giudicato penale nel giudizio di danno il giudice civile non può limitarsi alla rilevazione della formula utilizzata, ma deve tenere conto anche della motivazione della sentenza penale per individuare la effettiva ragione dell’assoluzione dell’imputato, eventualmente anche prescindendo dalla formula contenuta nel dispositivo, ove tecnicamente non corretta (Cass. civ., Sez. L., 9 marzo 2004, n. 4775, m. 570909; Sez. 3, 20 maggio 1987, n. 4622, m. 453292; Sez. 1, 12 novembre 1985, n. 5523, m. 442726; Sez. 3, 11 gennaio 1969, n. 47, m. 337873)”. La formula di per sè dunque non è sufficiente se non vi è stato un concreto effettivo accertamento sull’esistenza di una delle ipotesi di assoluzione indicate: non sussistenza del fatto o sua non attribuibilità all’imputato o presenza di una scriminante di cui all’art. 51 c.p..
Ai fini però della valutazione della sussistenza in concreto dell’interesse della ricorrente parte civile, non si può non tener conto che la giurisprudenza di
questa Corte Sezione civile con specifico riferimento al diritto al risarcimento del danno della persona offesa, ne ha ritenuto la sussistenza applicando per analogia la disposizione di cui all’art. 2045 c.c., che riconosce al danneggiato una indennità da parte di colui che abbia commesso il fatto costretto dallo stato di necessità o da legittima difesa putativa (Sez. 3 civile, Sentenza n. 12100 del 19.08.2003, Rv. 565929; Sez. 3 civile, Sentenza n. del 06/04/1995 Rv. 491671).

3. Passando ora all’esame dei motivi del ricorso va rilevata la manifesta infondatezza in quanto le doglianze,tutte incentrate su una diversa ricostruzione dei fatti, non tengono conto delle puntuali argomentazioni e degli elementi di prova logicamente valutati dalla Corte territoriale,in quanto mirano a sollecitare una rivalutazione del giudizio di fatto che ha indotto la Corte al riconoscimento della legittima difesa putativa,che in quanto tale è insindacabile in sede di legittimità (Sez. 1 n 3148 del 19.02.2013 rv258408). La Corte territoriale con giudizio ex ante ha valutato,con motivazione ampia e ben strutturata tutte le circostanze di fatto, statiche e dinamiche,oggettive e soggettive, in relazione al momento della reazione e al contesto spazio-temporale,dando rilievo al complesso delle risultanze probatorie ed ha apprezzato e ritenuto scusabile,con giudizio logico e coerente,perciò in insindacabile, l’errore di valutazione del B. circa la sussistenza dei presupposti di fatto, di proporzione e necessità di difesa, che rappresentano gli elementi costitutivi della legittima difesa (cfr. Sez. 4 n. 33591 del 3.05.2016 rv. 267473).
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna alle spese del procedimento e al pagamento della somma di Euro 2000,00 a favore della cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2018

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