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Home » Diritto urbanistico Edilizia » Cassazione penale, sez. III, 13 gennaio 2015, n. 952

Cassazione penale, sez. III, 13 gennaio 2015, n. 952

RedazionediRedazione
30 Gennaio 2015
inDiritto urbanistico Edilizia, Sentenze
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RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato C. A. P. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e 23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in 23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto dagli artt. 81 cod. pen. e 44 lett. a) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore d’aria a servizio del proprio esercizio commerciale in assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b) previsto dall’art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per aver eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona sottoposta al vincolo paesaggistico. In Ostuni il 14 ottobre 2008.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, C. A. P. affidando il gravame a quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia l’erronea ed illegittima applicazione dell’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380del 2001 (art. 606,comma 1. lett. b) cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente all’esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun modo, nella previsione di cui all’art. 44 lett. a) del DPR 380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si contesta, infatti, la presunta violazione dell’art. 17 del regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame. Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non rientra e non può rientrare nella previsione dell’art. 44 lett. a) del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea installazione di un piccolo supporto tecnologico non può configurare e/o costituire attività urbanistica – edilizia, non incidendo minimamente sull’uso del territorio.

2.2.Con il secondo motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione all’art. 54 cod. pen. (art. 606,comma 1. lett. b) cod. proc. pen.) per aver la Corte territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo operato essere inquadrato in una condizione di necessità non altrimenti risolvibile.

2.3.Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1. lett. b) cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto che l’ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna incidenza sotto il profilo paesaggistico.

2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa applicazione della legge penale e del difetto di motivazione (art. 606,comma 1. lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna) per la violazione del principio di proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità dell’intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per la proposizione di essi nei casi non consentiti.

2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare come i climatizzatori o i condizionatori, per consolidata giurisprudenza amministrativa (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del 01/10/2008), costituiscono impianti tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie, all’esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall’art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell’art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001.
L’articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (come modificato dall’art. 17, comma 1, decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e la redazione della presente sentenza, nella legge 11 novembre 2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di manutenzione straordinaria “/e opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare I servizi igienico sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”, e l’articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede, per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi dell’istallazione di impianti che si pongano in rapporto di strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto “Sblocca Italia” (decreto legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164) ha introdotto modifiche alla nozione di “manutenzione straordinaria”, irrilevanti ai fini dello scrutinio della questione sottoposta alla Corte, in quanto il riferimento a “volumi e superfici delle singole unità immobiliari” è stato modificato, come si è in precedenza segnalato, nel concetto di “volumetria complessiva degli edifici” ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa, nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che l’esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (ora S.C.LA.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l’applicazione della sanzione penale prevista dall’art. 44 lett. a), del citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.LA.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 37 dello stesso decreto n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l’installazione del condizionatore d’aria è stata eseguita in violazione dell’art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è stata ritenuta la violazione dell’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001.

3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame attengono a questioni che sono state già proposte al giudice d’appello e sono state motivatamente respinte.
L’opera installata dalla ricorrente non rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque l’attività edilizia ed. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (art. 6, comma 1, d.P.R.n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l’intervento eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo paesaggistico, l’esecuzione dell’opera era condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica l’integrazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (manifesta infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano infausta la prognosi relativa all’astensione dalla futura commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608).

4. Con il secondo motivo di gravame è denunciata una questione nuova e
non sottoposta allo scrutinio del giudice d’appello.
In tema di ricorso per cassazione, vige il principio secondo cui non sono proponibili, perché precluse ai sensi dell’art, art. 609, comma 2, cod. proc. pen., questioni coinvolgenti valutazioni mai prima sollevate, ad eccezione di quelle rilevabili d’ufficio e salva la facoltà attribuita alla Corte di Cassazione dall’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., di decidere anche le questioni non dedotte nei motivi di appello la cui deducibilità sia divenuta possibile solo successivamente, sempre che si tratti di questioni di solo diritto che sorgano per “jus superveniens” ovvero in relazione a circostanze non emerse prima, che però siano pur sempre di diritto (Sez. 1, n. 5398 del 28/09/1993, Berisa, Rv. 197808; Sez. 2, n. 48308 del 15/10/2004, Ficarra, Rv. 230425).
Deve pertanto ritenersi rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, e quindi anche in presenza di eccezioni mai prima sollevate o in assenza di uno specifico motivo di ricorso, la sussistenza di una causa di giustificazione del reato, escludendo essa la punibilità dell’agente, a condizione che l’esistenza emerga dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti specificamente indicati nel ricorso e che la sua rilevabilità non comporti accertamenti in fatto o valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità.
Nel caso di specie, è dedotta l’esistenza di uno stato di necessità i cui elementi costitutivi sono del tutto non delineati ed ictu oculi non insussistenti, derivando da ciò la manifesta infondatezza del motivo.

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il
ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 07/10/2014

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