Fatto
In data 7.02.2014, la sig.ra Sc., titolare della rivendita di monopoli n. 2, del Comune di Casimicciola Terme, sita in via (omissis), presentava istanza di trasferimento di sede “fuori zona”, in (omissis), corredata da perizia giurata.
In data 11.07.2014 l’Agenzia delle Dogane e Monopoli – Ufficio Regionale della Campania – Napoli autorizzava il trasferimento fuori zona della rivendita, con il provvedimento n. 3949, avverso il quale i sigg.ri Ni. Sc. Di Uc., titolare della rivendita n. 4, Te. De Lu., titolare della rivendita n. 3 e Ca. Ca., titolare della rivendita n. 1, presentavano ricorso al Tribunale amministrativo Regionale della Campania.
Il Tar Campania, sezione III, con l’ordinanza n. 2027 del 5.12.2014 accoglieva la domanda cautelare presentata dai suddetti ricorrenti. Tale decisione veniva riformata, in sede di appello cautelare, da questo Consiglio di Stato, sezione IV, con ordinanza n. 1322 del 24.3.2015.
Infine il TAR adito, con la sentenza impugnata, n. 5188 del 6.11.2015, accoglieva il ricorso, evidenziando:
a. la violazione dell’art. 11 commi 2 e 3 del D.M. n. 38/2013 in punto di termine di presentazione dell’integrazione documentale, di completezza della documentazione a corredo dell’istanza e di accertamento della regolarità urbanistica. In particolare, i giudici di prime cure hanno ritenuto che la domanda di trasferimento non contenesse l’indicazione delle tre rivendite più vicine alla sede attuale, ossia di provenienza della rivendita trasferenda, indicando solo quelle più vicine alla sede proposta. Inoltre l’istanza di trasferimento presentata dalla sig.ra Sc. sarebbe stata priva della documentazione comprovante la regolarità urbanistico-edilizia del locale proposto, in quanto si sarebbe limitata ad indicare il certificato di agibilità, concernente i soli aspetti igienico – sanitari della costruzione, ma non anche quelli urbanistici;
b. il profilo di novità delle perizie presentata dalla sig.ra Sc. ad integrazione della prima perizia presentata; queste, nonostante fossero definite integrative, sono state ritenute del tutto nuove e pertanto prive di efficacia sanante;
c. la mancanza di un’approfondita istruttoria e di idonea motivazione che tenesse conto delle circostanze ostative al rilascio della autorizzazione di trasferimento, presentate dai ricorrenti in sede procedimentale;
d. la violazione dell’art. 11, comma 4, del D.M. n. 38/2013, in quanto l’Amministrazione ha rilasciato il provvedimento di trasferimento richiesto nonostante fosse spirato il termine di 30 giorni entro il quale, in caso di carenza della documentazione a corredo della domanda, l’istante è onerato ad integrarla a seguito della relativa richiesta, a pena di improcedibilità dell’istanza.
Avverso tale sentenza la sig.ra Sc., titolare della rivendita n. 2, ha proposto appello, chiedendo la riforma della medesima in quanto erronea ed ingiusta.
A sostegno dell’appello in esame è stata dedotta la violazione dell’art. 10 commi 5, 6 e 7 del D.M 38/2013, laddove subordina il rilascio dell’autorizzazione al mero rispetto dei requisiti di distanza e di redditività.
L’appellante ha, inoltre, sostenuto la tesi secondo cui l’Amministrazione, nonostante la mancata recezione dell’integrazione documentale nei termini, avrebbe emanato un atto legittimo, tenendo conto del principio di conservazione degli atti e di economicità dell’azione amministrativa. Secondo la tesi della ricorrente, pertanto, anche qualora l’autorizzazione venisse annullata in sede giurisdizionale, l’Amministrazione legittimamente potrebbe adottare il medesimo atto in favore dell’appellante in quanto provvista dei requisiti di cui sopra, con conseguente palese violazione del disposto di cui all’art. 21 octies della L. 241/90.
Si sono costituiti in giudizio, depositando memoria difensiva, gli appellati, sigg.ri Ni. Di Uc. Sc., Te. De Lu. e Ca. Ca., chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese del grado.
Si è pure costituita l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a mezzo del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.
In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie di replica.
Alla pubblica udienza del 5 maggio 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
Diritto
L’appello è fondato.
Con la controversia in esame il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento di trasferimento di rivendita di generi di monopoli, concesso dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in ordine alla richiesta avanzata dall’attuale appellante.
In particolare si tratta di un trasferimento “fuori zona”, così come qualificato dall’art. 10 comma 5 del D.M. 38 del 2013, in quanto lo spostamento della sede avviene oltre i 600 metri dalla rivendita originaria (nella specie, 1854 metri). Il comma 6 del medesimo articolo subordina il rilascio della relativa autorizzazione al rispetto di entrambi i seguenti requisiti: a) per il locale proposto devono essere rispettati i parametri di distanza e di redditività previsti dall’art. 2 commi 2 e 5; b) la produttività conseguita dalla rivendita di cui il titolare chiede il trasferimento deve risultare inferiore ai parametri di produttività minima prevista per le nuove istituzioni, per ciascuno dei due periodi di imposta precedenti la data della domanda.
Ciò posto il provvedimento di autorizzazione è legittimo in quanto risulta che il locale proposto per il trasferimento è ubicato, rispetto alle rivendite nn. 1, 3, e 4 a metri 447, a metri 673, e a metri 361, ossia tutte distanze superiori a quella minima di 300 metri prevista per i comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti ex art. 2 comma 2 lett. a) del D.M 38/2013.
Viene, inoltre, rispettato il parametro di redditività della zona ove la rivendita va a trasferirsi, ed infatti la quarta parte della somma degli aggi realizzati nell’anno 2013 delle tre rivendite controinteressate è di euro 23.414,29, superiore al parametro richiesto di euro 19.965,00.
Oltre ad essere soddisfatte le condizioni di cui al punto a) comma 5 dell’art. 10, è soddisfatto l’ulteriore requisito di cui al punto b) ovvero quello del “sottoreddito” della rivendita richiedente, la quale nel biennio precedente ha realizzato aggi inferiori al predetto minimo di euro 19.965,00.
La circostanza per cui sono rispettati tutti i requisiti richiesti dalla normativa in tema di trasferimento della rivendita fuori zona avvalora la tesi della parte appellante laddove ha sostenuto l’operatività del principio di cui all’art. 21 octies comma 2 L. n. 241/90, in tema di vizi non invalidanti.
Con riguardo alla mancata indicazione nella prima perizia presentata dalla sig.ra Sc. delle tre rivendite più vicine all’attuale, si ritiene si tratti di un dato non decisivo ai fini della valutazione in quanto già noto all’Amministrazione procedente la quale doveva esclusivamente valutare i requisiti di cui sopra.
Infine, in merito alla mancata integrazione documentale richiesta dall’Amministrazione, o meglio il ritardo con cui la parte avrebbe presentato tale documentazione, si ritiene che la parte abbia prodotto la documentazione solo dopo aver stipulato il contratto di fitto dell’immobile a seguito della richiesta istruttoria dell’ufficio competente, essendo, in assenza del suddetto contratto, priva della titolarità in ordine alla richiesta di certificazione attestante la regolarità urbanistico-edilizia. Il certificato di agibilità, in ordine ai profili igienico-sanitari, ed il certificato catastale, idoneo a dimostrate l’idoneità del locale ad una destinazione d’uso commerciale, presentati dalla richiedente sono stati pertanto ritenuti sufficienti ai fini della valutazione positiva della richiesta di trasferimento.
Infine, con riguardo alla principale ragione che ha spinto i controinteressati a presentare il ricorso, poi accolto dal Tar, ossia gli effetti pregiudizievoli in termini di redditività per le rivendite coinvolte, questo Collegio aderisce alla tesi per cui la vendita di generi di monopoli è strutturata secondo “un sistema nel quale l’interesse commerciale dell’esercente deve soggiacere a quello pubblico di carattere fiscale connesso alla vendita di generi di monopolio” (cfr. Cons. St., sez IV, sent. n. 4811/2014). Pertanto l’Amministrazione, nel concedere l’autorizzazione al trasferimento “fuori sede”, ha ritenuto prevalenti le finalità di adeguata diffusione del servizio e di massimizzazione del gettito erariale, in quanto l’interesse dei privati a non vedersi ridotto il ricavato della rivendita dei generi di monopolio è certamente subordinato rispetto all’interesse pubblico primario.
In altri termini, l’unico faro che deve orientare l’amministrazione è la capillarità, intesa come adeguata diffusione del servizio e non il mantenimento di rendite di posizione eventualmente acquisite nel tempo dai titolari delle rivendite esistenti.
In conclusione, l’appello è fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna le parti appellate alla rifusione delle spese, competenze ed onorari del doppio grado, che liquida complessivamente in euro 9.000 (novemila), oltre I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati: