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Home » Diritto urbanistico Edilizia » Consiglio di Stato, Sez, V,15 luglio 2013, n. 3823

Consiglio di Stato, Sez, V,15 luglio 2013, n. 3823

RedazionediRedazione
15 Luglio 2013
inDiritto urbanistico Edilizia, Sentenze
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FATTO e DIRITTO
Il sig. M.B., proprietario di terreni siti in località Valiano, presentava al Comune di Perugia istanza volta ad ottenere una concessione edilizia per la realizzazione di una abitazione familiare.
Il Comune, con provvedimento n. 379 del 4.3.1999, accoglieva l’istanza e rilasciava la concessione per la costruzione di un edificio unifamiliare.
In data 10.7.2001 il sig. B., con nuova istanza (protocollata al n. 75395) chiedeva, in variante al progetto autorizzato, il rilascio di una concessione per apportare alcune modifiche all’erigendo immobile.
L’amministrazione comunale, con provvedimento n. 89019 del 9.8.2001, comunicava al sig. B. l’avvio del procedimento per la declaratoria di decadenza dalla concessione edilizia n. 379/1999, avendo accertato, in sede di verifica dello stato dei luoghi avvenuto in data 2.8.2001, che i lavori assentiti non erano ancora iniziati a distanza di quasi due anni dal rilascio della concessione n. 379/1999.
Con successivo provvedimento n. 99746 del 12.9.2001, il dirigente dell’unità operativa concessioni edilizie dichiarava decaduta la concessione edilizia n. 379/1999.
Con il medesimo provvedimento il Comune sospendeva ogni determinazione in merito all’istanza di variante al progetto presentata il 10.7.2001, considerandola come una nuova domanda di concessione edilizia, in contrasto, altresì, con il piano urbanistico che nelle more era stato adottato con delibera del consiglio comunale del 22.3.1999.
Avverso il suddetto provvedimento n. 99746/2001 e gli atti presupposti, inerenti e consequenziali, il sig. B. ricorreva al T.A.R. Umbria assumendone l’illegittimità perché, nel termine annuale dal rilascio della concessione, sarebbe stata posta in essere una attività (delimitazione dell’area di cantiere con recinzione ed esposizione del relativo cartello e stipula di un contratto con terzi per la fornitura e la posa in opera di struttura prefabbricata) che dimostrava l’avvio dei lavori nel termine di legge.
Il T.A.R. dell’Umbria, con sentenza n. 270 del 10.5.2002, respingeva il ricorso, ritenendo la documentazione fotografica dello stato dei luoghi e il contratto di fornitura e posa in opera di materiale prefabbricato, prodotti in giudizio dal ricorrente, inidonei a dimostrare l’effettivo inizio dei lavori nel termine previsto dalla legge.
Avverso la pronuncia ha proposto appello il sig. B. con due motivi di censura.
Si è costituito in giudizio il Comune di Perugia chiedendo in via principale il rigetto dell’appello con la conseguente conferma della sentenza del T.A.R..
In via subordinata il Comune di Perugia propone appello incidentale per la riforma della sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure avrebbe circoscritto la materia del contendere all’esame della documentazione prodotta dal sig. B. , per verificare l’effettiva volontà del medesimo di avviare i lavori entro il termine previsto dalla legge. Al riguardo il Comune ritiene che tale esame non sarebbe consentito al giudice amministrativo, il quale dovrebbe limitare il proprio sindacato a verificare la legittimità “dell’agire dell’amministrazione” che dovrebbe “essere valutata con esclusivo riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente alla data di adozione del provvedimento gravato”.
La causa è stata assunta in decisione all’udienza dell’11 giugno 2013.
L’appello è infondato e va respinto.
Con un primo motivo l’appellante lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 4 della legge n. 10/1977, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti di legge, sviamento della causa tipica dell’atto, illogicità ed ingiustizia manifeste.
L’appellante sostiene che la sentenza gravata sarebbe erronea in quanto non avrebbe considerato, in modo complessivo, l’attività da lui posta in essere come “una reale e seria intenzione” di dare corso ai lavori di edificazione, non ritenendo sussistere, nel caso di specie, il così detto principio dell’animus aedificandi.
Sul punto si deve da subito osservare che, diversamente da quanto assunto dall’appellante, il T.A.R. nel determinarsi ha invece tenuto conto di tutte le attività edilizie in atto, evidenziandone l’inconsistenza e proprio dall’esame contestuale di esse ha ricavato che il titolare della concessione non ha dimostrato alcuna volontà di edificare.
La legge n. 10/1977 all’art. 4, commi 3, 4 e 6, dispone che “nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”; “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione”; “Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”.
Invero l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons. Stato, sez. V, 22.11.1993, n. 1165).
In termini più espliciti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere, con la sussistenza di altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5242).
Conseguentemente la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato, può considerarsi illegittima solo se siano stati almeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato, sez. V, 15 ottobre 1992, n. 1006) o se lo sbancamento realizzato si estende su un’area di vaste dimensioni; circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie dal B. (Cons. Stato, sez IV, 18 maggio 2012, n. 2915).
Nel caso di specie il T.A.R., tenendo conto anche della documentazione prodotta dallo stesso sig. B., ha ben evidenziato che il progetto edilizio (prevedendo la realizzazione di un edificio di 590 mc su tre livelli) richiedeva l’esecuzione di opere di sbancamento e di fondazione adeguate, che invece sono assolutamente mancanti, risultando avvenuta solo la recinzione del cantiere, l’apposizione del cartello dei lavori e il semplice “spianamento” del terreno.
Né appare rilevante il pagamento della fattura prodotta per il nuovo impianto dell’acqua che, peraltro, si riferisce ad un preventivo del 15 maggio 2000 e ad un computo metrico del 1° giugno 2000, effettuati quando il termine annuale per l’inizio dei lavori era già scaduto.
L’appellante documenta la stipula di un contratto con la società “Biemme Prefabbricati” concluso il 10.2.2000 in prossimità della scadenza del termine di inizio dei lavori, per la fornitura e posa in opera di elementi prefabbricati, da assemblare entro il 20.9.2001 e da concludersi entro novembre 2001.
Ma nel caso in trattazione non vi è stato, ripetesi, alcuno sbancamento del terreno né è stata richiesta variante alla tipologia della costruzione già prevista in muratura e cemento, né giustificato il ritardo nell’inizio dell’esecuzione dei lavori, così da consentire all’amministrazione comunale di determinarsi in merito ed eventualmente accordare una variante al progetto stesso rispetto a quello iniziale e cioè con pannelli prefabbricati.
Con il secondo motivo l’appellante lamenta la violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990, difetto di motivazione, violazione del principio di trasparenza e di partecipazione all’azione amministrativa, violazione del procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta, omessa pronuncia.
Anche tali censure risultano prive di fondamento perché, come già evidenziato, il T.A.R. non ha trascurato di pronunciarsi congiuntamente sul gravame rilevando che l’amministrazione comunale ha adottato i propri provvedimenti sulla base di chiari e convergenti elementi, che non sono stati smentiti nella loro consistenza dallo stesso sig. B.
Il provvedimento di decadenza dalla concessione adottato dal Comune di Perugia è, infatti, adeguatamente motivato per relationem sulla base di precise risultanze del sopralluogo eseguito dai tecnici comunali, che hanno rilevato l’assenza di sbancamento e di qualsiasi opera edilizia salvo, come già evidenziato, la perimetrazione del terreno, l’apposizione del cartello, lavori di livellamento del terreno e altri interventi, di cui è stata evidenziata l’irrilevanza. Da ciò la convinzione dell’amministrazione di dover ritenere non sussistente l’animus aedificandi in capo al titolare della concessione.
Conclusivamente l’appello principale del sig. M.B. è infondato e va respinto.
L’infondatezza dell’appello principale rende improcedibile l’appello incidentale del Comune, dato il suo carattere subordinato, per sopravvenuta carenza di interesse ad un pronunciamento in merito.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate in misura di €. 3.000,00 (tremila) in favore del Comune di Perugia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale del signor M.B. e dichiara improcedibile l’appello incidentale del Comune di Perugia.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in misura di E. 3000,00 (tremila/00) in favore del Comune di Perugia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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