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Home » Commerciale Fallimentare » Corte di Giustizia UE, 30 marzo 2006, C. 259-04

Corte di Giustizia UE, 30 marzo 2006, C. 259-04

RedazionediRedazione
1 Gennaio 2004
inCommerciale Fallimentare, Sentenze
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Fatto-Diritto

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Person Appointed by the Lord Chancellor under Section 76 of The Trade Marks Act 1994 (Autorità designata dal Lord Chancellor – ossia, dal Ministro della Giustizia britannico – ai sensi dell’art. 76 della legge britannica 1994, sui marchi; in prosieguo: l’ ), in sede di impugnazione di un provvedimento del Registrar of Trade Marks (conservatore del registro britannico dei marchi), verte sull’interpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia sorta tra la sig.ra Emanuel, stilista, e la società Continental Shelf 128 Ltd (in prosieguo: la ). Tale controversia ha per oggetto due azioni proposte dalla sig.ra Emanuel contro detta società, ossia, da un lato, un’opposizione alla registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, in lettere maiuscole (in prosieguo: il ), per gli abiti prodotti dalla CSL, e dall’altro, un’azione di decadenza del marchio Elizabeth Emanuel, in lettere minuscole eccetto le iniziali, registrato nel 1997 da un’altra società che lo ha successivamente ceduto alla CSL (in prosieguo: il o il ).
Contesto normativo
3 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 89/104:
g) i marchi di impresa che sono di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;

4 Ai sensi dell’art. 12, n. 2, della medesima direttiva:
b) è idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza geografica dei (-) prodotti o servizi [per i quali è registrato], a causa dell’uso che ne viene fatto dal titolare del marchio di impresa o con il suo consenso per i [suddetti] prodotti o servizi (-).
Causa principale e questioni pregiudiziali
5 La sig.ra Emanuel, rinomata stilista nel settore dei vestiti da matrimonio, ha creato nel 1990 un’impresa denominata Elizabeth Emanuel.
6 Nel 1996, la sig.ra Emanuel ha costituito insieme alla società Hamlet International Plc, la società Elizabeth Emanuel Plc (in prosieguo: la ), alla quale la stessa sig.ra Emanuel ha ceduto la sua attività di creazione e commercializzazione di vestiti, l’insieme delle attività dell’impresa compreso l’avviamento, così come la domanda di registrazione del marchio Elizabeth Emanuel, successivamente registrato nel 1997.
7 Nel mese di settembre del 1997, la EE Plc ha ceduto la propria azienda, l’avviamento e il suddetto marchio registrato alla società Frostprint Ltd, la quale ha immediatamente cambiato la propria denominazione sociale in Elizabeth Emanuel International Ltd (in prosieguo: la ). La EE International ha assunto come dipendente la sig.ra Emanuel, la quale ha lasciato il proprio impiego un mese più tardi.
8 Nel mese di novembre del 1997, la EE International ha ceduto il marchio registrato ad un’altra società, la Oakridge Trading Ltd (in prosieguo: la Oakridge). In data 18 marzo 1998, la Oakridge ha presentato una domanda di registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL.
9 Il 7 gennaio 1999, è stata proposta opposizione contro detta domanda di registrazione. Il 9 settembre seguente è stata poi proposta una domanda di decadenza contro il marchio registrato Elizabeth Emanuel.
10 Investito in primo grado delle azioni di opposizione e di decadenza, lo Hearing Officer (il funzionario competente per siffatti ricorsi) le ha rigettate con decisione 17 ottobre 2002, adducendo come motivazione che se il pubblico fosse effettivamente stato vittima di inganno e confusione, ciò sarebbe stato lecito in quanto conseguenza inevitabile della cessione di un’impresa e di un avviamento precedentemente gestiti con il nome del loro proprietario originale.
11 L’Autorità designata, adita con ricorso contro detta decisione, non ha rinviato la questione dinanzi alla High Court of Justice (magistrato di secondo grado di Inghilterra e del Galles) nonostante la richiesta in tal senso presentata dalla CSL divenuta, in pendenza del procedimento, cessionaria del marchio registrato e della domanda di registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, ai sensi dell’art. 76 del Trade Marks Act 1994 (legge 1994, sui marchi d’impresa; in prosieguo: la ), che prevede la possibilità di un tale rinvio nel caso in cui l’Autorità designata ritenga che la causa sollevi una questione giuridica d’importanza generale.
12 La discussione si è incentrata, come dinanzi allo Hearing Officer, sulla questione se gli artt. 3, n. 1, lett. g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104 possano servire come fondamento per le azioni dirette contro la CSL.
13 Alla luce di ciò, l’Autorità designata ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se un marchio sia di natura tale da indurre in inganno il pubblico e ne sia pertanto vietata la registrazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), [della direttiva 89/104] nelle seguenti circostanze:
– l’avviamento connesso al marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio;
– prima della cessione il marchio, per una significativa parte del pubblico di riferimento, indicava che una particolare persona partecipava al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali tale marchio veniva usato;
– dopo la cessione, è stata presentata dal cessionario una domanda di registrazione del marchio d’impresa; e
– all’epoca della domanda, una significativa parte del pubblico di riferimento riteneva erroneamente che l’uso del marchio indicasse che quella particolare persona partecipava ancora al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali il marchio veniva usato, e tale convinzione ha influito probabilmente sulle scelte d’acquisto di tale parte del pubblico.
2) Se la risposta alla questione sub 1) non fosse incondizionatamente affermativa, quali altri aspetti debbano essere presi in considerazione per verificare se un marchio sia tale da indurre in inganno il pubblico e ne sia pertanto vietata la registrazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g) [della direttiva 89/104], e, in particolare, se sia rilevante il fatto che è probabile che il rischio di inganno diminuisca nel corso del tempo.
3) Se un marchio registrato sia idoneo ad indurre in inganno il pubblico in seguito all’uso che ne sia stato fatto dal titolare o con il suo consenso e sia quindi suscettibile di decadenza ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), [della direttiva 89/104] nelle seguenti circostanze:
– il marchio registrato e l’avviamento ad esso connesso sono stati ceduti unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio;
– prima della cessione il marchio, per una significativa parte del pubblico di riferimento, indicava che una particolare persona partecipava al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali esso veniva usato;
– dopo la cessione è stata presentata una domanda di decadenza del marchio registrato; e
– all’epoca della domanda una significativa parte del pubblico di riferimento riteneva erroneamente che l’uso del marchio indicasse che quella particolare persona partecipava ancora al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali il marchio veniva usato, e tale convinzione ha influito probabilmente sulle scelte d’acquisto di tale parte del pubblico.
4) Se la risposta alla questione sub 3) non fosse incondizionatamente affermativa, quali altri aspetti debbano essere presi in considerazione per verificare se un marchio registrato sia tale da indurre in inganno il pubblico in seguito all’uso che ne sia stato fatto dal titolare o con il suo consenso e se sia quindi suscettibile di decadenza ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), [della direttiva 89/104] e, in particolare, se sia rilevante il fatto che è probabile che il rischio di inganno diminuisca nel corso del tempo.
Sulle osservazioni presentate a seguito delle conclusioni dell’avvocato generale
14 Con lettera del 22 febbraio 2006, la sig.ra Emanuel ha presentato alcune osservazioni sulle conclusioni dell’avvocato generale. La sig.ra Emanuel ha menzionato taluni errori che l’avvocato generale avrebbe commesso nell’interpretazione, da un lato, degli artt. 3 e 12 della direttiva 89/104 e, dall’altro, della giurisprudenza della Corte in casi precedenti.
15 Poiché né lo Statuto della Corte di giustizia, né il suo regolamento di procedura prevedono la facoltà per le parti di presentare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (v. ordinanza 4 febbraio 2000, causa C-17/98, Emesa Sugar, Racc. pag. I-665, punto 2), le osservazioni della sig.ra Emanuel non possono essere accolte.
16 Tuttavia, la Corte può, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, ovvero su domanda delle parti, riaprire la fase orale del procedimento, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, qualora ritenga di non avere sufficienti chiarimenti o che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra le parti (v. sentenze 19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters e a., Racc. pag. I-1577, punto 42, nonché 14 dicembre 2004, causa C-434/02, Arnold André, Racc. pag. I-11825, punto 27, e causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag. I-11893, punto 25).
17 Nella fattispecie la Corte ritiene, tuttavia, che tutti gli elementi ad essa necessari per risolvere le questioni proposte siano a sua disposizione. La Corte ritiene pertanto che non occorra ordinare la riapertura della fase orale.
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
18 Prima di rispondere alle questioni proposte, occorre esaminare se l’Autorità designata debba essere considerata un giudice ai sensi dell’art. 234 CE.
19 Per valutare se un organo possegga le caratteristiche di un giudice ai sensi di detta disposizione, questione rilevante solo ai fini del diritto comunitario, la Corte tiene conto di un insieme di elementi quali il fondamento giuridico dell’organo, il suo carattere permanente, l’efficacia vincolante delle sue pronunce, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels, Racc. pag. 408, in particolare pag. 424, 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23, e 2 marzo 1999, causa C-416/96, Nour Eddline Yassini, Racc. pag. I-1209, punto 17).
20 L’Autorità designata è stata istituita dalla legge britannica sui marchi.
21 Ai sensi degli artt. 76 e 77 di detta legge l’Autorità designata, nominata dal Lord Chancellor dopo aver consultato il Lord Advocate [carica dell’ordinamento scozzese, con funzioni paragonabili a quelle di un sottosegretario alla Giustizia; N.d.T.], può essere adita per ricorsi contro le decisioni del Comptroller-General of Patents, Designs and Trade Marks (denominato anche Registrar of Trade Marks). In Inghilterra e nel Galles, essa condivide detta competenza con la High Court of Justice e, in Scozia, con la Court of Session (magistratura con competenze civili, con sede in Edimburgo).
22 Spetta al ricorrente scegliere davanti a quale giudice introdurre il suo ricorso. In certi casi, l’Autorità designata può tuttavia decidere di rinviare l’appello dinanzi alla High Court of Justice, segnatamente nel caso in cui ritenga che la controversia sollevi una questione giuridica di importanza generale.
23 L’Autorità designata è un organo permanente, che decide secondo diritto, in applicazione della legge britannica sui marchi e secondo le norme di procedura previste dagli artt. 63-65 del Trade Marks Rules 2000 (regolamento 2000, sui procedimenti in materia di marchi). Il procedimento si svolge in contraddittorio. Le decisioni dell’Autorità designata sono giuridicamente vincolanti e, in linea di principio, hanno natura definitiva, a meno che esse non siano eccezionalmente oggetto di un ricorso di legittimità ().
24 Nell’esercizio del suo mandato l’Autorità designata gode delle medesime prerogative di indipendenza dei giudici.
25 Risulta dall’insieme degli elementi che precedono che l’Autorità designata deve essere considerata un giudice ai sensi dell’art. 234 CE e che le questioni pregiudiziali sono quindi ricevibili.
Sulle prime due questioni
26 Con le sue due prime questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza di conoscere a quali condizioni possa essere negata la registrazione di un marchio perché esso sarebbe di natura tale da ingannare il pubblico ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, quando l’avviamento connesso al marchio sia stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio e quando detto marchio, che corrisponde al nome dell’ideatore e primo produttore di detti beni, sia stato precedentemente registrato con una forma grafica differente.
Osservazioni presentate alla Corte
27 Il giudice del rinvio è colpito dalle argomentazioni delle due tesi contrapposte. Esso ritiene, da un lato, che l’interesse generale esiga che il marchio non debba essere tale da indurre in errore un consumatore medio, ragionevolmente attento ed accorto, ma che, dall’altro, sia tuttavia conforme all’interesse generale permettere la vendita e la cessione d’imprese ed avviamenti, insieme ai marchi che li contraddistinguono.
28 La sig.ra Emanuel, appellante nella causa principale, fa prevalere l’interesse generale alla protezione del consumatore, garantito dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104. Per l’applicazione di detta norma sarebbe sufficiente l’esistenza almeno di un rischio reale che l’utilizzo del marchio controverso possa indurre in errore il consumatore medio dei prodotti o servizi per i quali è stata chiesta la registrazione del marchio riguardo alla loro origine, e che tale errore possa influenzare le decisioni di acquisto di detto consumatore. L’esistenza di un tal rischio sarebbe una questione di fatto, cosicché tutte le circostanze che rendono probabile la confusione dovrebbero venir prese in considerazione.
29 L’appellante nella causa principale ritiene, pertanto, che dal momento che il rischio di confusione è stato accertato, poco importi che l’avviamento e il marchio siano stati ceduti all’impresa che crede di poter far uso di detto marchio.
30 La CSL, appellata nella causa principale, ritiene che l’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, non preveda alcuna distinzione a seconda che i marchi corrispondano o meno al nome di una persona. L’unico criterio rilevante consisterebbe nel determinare, in maniera oggettiva, se i marchi siano di natura tale da ingannare il pubblico o da indurlo in errore, in particolare creando confusione con altri prodotti.
31 Secondo l’appellata nella causa principale, la tesi della sig.ra Emanuel sui rischi di confusione per un consumatore medio si fonda su una giurisprudenza della Corte concernente alcuni regolamenti specifici che non può essere utilizzata per interpretare la direttiva 89/104.
32 Riguardo alla percezione da parte di un consumatore medio di un marchio corrispondente ad un nome, la CSL ritiene che detto consumatore sappia, particolarmente nel settore della moda, che una denominazione commerciale contraddistingue un prodotto fabbricato da un’impresa e che detta impresa possa essere ceduta insieme a detta denominazione. Per la CSL, questa considerazione vale anche per panificatori, viticoltori o produttori di beni di lusso. Pertanto, il trasferimento di una denominazione commerciale, di per se stesso, non può creare automaticamente confusione, indipendentemente dal fatto che detto trasferimento sia accompagnato o meno da forme di pubblicità.
33 La CSL insiste particolarmente sul fatto che se la tesi della sig.ra Emanuel fosse accolta, diventerebbe impossibile procedere alla cessione di un’impresa insieme a quella dell’avviamento e del marchio dei prodotti ivi fabbricati. Molto spesso, il prezzo per la cessione di un’impresa si basa essenzialmente sul marchio oggetto del trasferimento.
34 Secondo il governo del Regno Unito, la finalità dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 è di impedire la registrazione di marchi che ingannino il pubblico non sull’origine dei prodotti o dei servizi interessati dalla registrazione oppure sulle caratteristiche di detta origine, bensì sulle caratteristiche dei prodotti o dei servizi stessi.
35 Tale disposizione non sarebbe stata concepita con l’obiettivo di permettere la proibizione di un marchio sol perché i prodotti interessati non raggiungono un livello di qualità conforme alle attese del compratore, o perché una determinata persona non interviene più nella creazione o nella produzione di detti prodotti o per qualunque altra ragione. Benché un marchio debba garantire che determinati prodotti provengono da un’unica impresa, la quale è responsabile della loro qualità, esso generalmente non riflette la qualità stessa.
36 Il governo del Regno Unito sostiene che il pubblico è consapevole del fatto che la qualità dei prodotti recanti un marchio determinato possa variare, potendo ciò dipendere o da una decisione del titolare del marchio, o da un cambiamento della proprietà o della direzione, o ancora da modifiche intervenute in seno al gruppo di progettazione o all’impianto di produzione. Un consumatore medio non potrebbe quindi essere indotto in inganno dal fatto che un marchio cambi proprietario.
37 La Commissione delle Comunità europee constata innanzitutto che la Corte non ha ancora avuto occasione di interpretare l’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 con riferimento ai casi in cui un marchio sia di natura tale da ingannare il pubblico e, pertanto, non ha ancora identificato l’interesse pubblico protetto da tale disposizione, interesse pubblico che può essere differente da quello analizzato in relazione ad altri impedimenti assoluti alla registrazione, come quelli esaminati nelle sentenze 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779), 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips (Racc. pag. I-5475), o 6 maggio causa C-104/01, Libertel (Racc. pag. I-3793).
38 La Commissione ricorda tuttavia che la Corte ha identificato la funzione essenziale del marchio, che è quella di garantire al consumatore o all’utilizzatore finale di identificare l’origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile un certo prodotto o servizio da altri di provenienza diversa. Infatti, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato intende introdurre e preservare, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (v., in particolare, sentenza 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 48).
39 La Commissione ne deduce che tale funzione non ha come conseguenza il fatto che il consumatore debba essere capace di identificare attraverso il marchio il produttore, ma piuttosto che il marchio debba fornire la garanzia che i beni sono stati immessi sul mercato con il consenso del suo titolare.
40 La Commissione ritiene anche che il mero fatto che un marchio corrisponda ad un nome di una persona non significa che detta persona sia collegata al titolare del marchio o che si debba presumere un tale collegamento e, di conseguenza, ciò non permette neanche di concludere che detta persona sia coinvolta nella fabbricazione dei prodotti recanti tale marchio. La Commissione ritiene che tale tesi sia confermata dal ragionamento svolto dalla Corte nella sentenza 16 settembre 2004, causa C-404/02, Nichols (Racc. pag. I-8499), secondo la quale al nome di una persona non si applica alcuna disposizione particolare della normativa sui marchi.
41 La Commissione considera anche che un consumatore medio possa essere indotto in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, da un marchio corrispondente al nome di una persona solo se uno degli argomenti del venditore consista nel far credere che detta persona partecipi alla fabbricazione del prodotto recante il marchio interessato, quando questa invece non ha più alcun legame con il titolare di detto marchio.
42 Infine, tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte ritengono che non abbia alcuna rilevanza, riguardo alla capacità di un marchio di indurre, o meno, in inganno un consumatore medio, il tempo trascorso da quando la persona il cui nome corrisponde al marchio non è più titolare del marchio stesso.
Giudizio della Corte
43 L’art. 2 della direttiva 89/104 contiene un elenco, qualificato come esemplificativo dal settimo considerando della direttiva medesima, di segni suscettibili di costituire un marchio qualora siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese, vale a dire a soddisfare la funzione del marchio, di indicatore dell’origine. Tale elenco prevede espressamente i nomi di persone (sentenza Nichols, cit., punto 22).
44 Come ricordato dalla Commissione, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato intende introdurre e preservare, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (v., segnatamente, sentenza Arsenal Football Club, cit., punto 48).
45 Un marchio quale ELIZABETH EMANUEL può svolgere tale funzione distintiva dei prodotti fabbricati da un’impresa, in particolare quando esso è stato oggetto di cessione a tale impresa e questa produce lo stesso tipo di beni che inizialmente portava il marchio in questione.
46 Tuttavia, trattandosi di un marchio corrispondente al nome di una persona, la ragione di ordine pubblico che giustifica la proibizione di registrare un marchio suscettibile di indurre in inganno il pubblico, decretata dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, ossia la protezione del consumatore, deve indurre a interrogarsi sul rischio di confusione che un tale marchio rischia di creare nella mente di un consumatore medio, segnatamente quando la persona al cui nome il marchio corrisponde impersonava in origine i prodotti recanti detto marchio.
47 I casi di impedimenti alla registrazione, previsti dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 presuppongono, però, l’accertamento di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore (sentenza 4 marzo 1999, causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, Racc. pag. I-1301, punto 41).
48 Nella fattispecie, quand’anche un consumatore medio potesse venire influenzato nel suo atto di acquisto di un vestito recante il marchio ELIZABETH EMANUEL dall’idea che l’appellante nella causa principale abbia partecipato alla creazione di tale vestito, le caratteristiche e le qualità di detto vestito restano garantite dall’impresa titolare del marchio.
49 Pertanto, la denominazione Elizabeth Emanuel non può essere considerata di per se stessa tale da indurre in inganno il pubblico sulla natura, qualità o provenienza della merce che essa contraddistingue.
50 Spetterebbe invece al giudice nazionale valutare se, nella presentazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, non esista una volontà da parte dell’impresa, che ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, di far credere al consumatore che la sig.ra Emanuel sia ancora la creatrice dei prodotti recanti tale marchio o che comunque partecipi alla loro creazione. In tal caso si tratterebbe, in effetti, di una manovra che potrebbe essere valutata dolosa ma che non potrebbe essere considerata come un inganno ai sensi dell’art. 3 della direttiva 89/104 e che, di fatto, non inciderebbe direttamente sul marchio stesso e, di conseguenza, sulla possibilità di registrarlo.
51 Si devono pertanto risolvere le prime due questioni sollevate dichiarando che la domanda di registrazione di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere respinta perché esso indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio, precedentemente registrato con una forma grafica differente, è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
Sulle due ultime questioni
52 Con le sue due ultime questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza di conoscere a quali condizioni il titolare di un marchio possa essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, quando l’avviamento connesso a tale marchio sia stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio e questo corrisponda al nome del creatore e primo produttore di detti beni.
53 Poiché le condizioni di decadenza previste dall’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104 sono identiche a quelle collegate agli impedimenti alla registrazione, di cui all’art. 3, n. 1, lett. g), della stessa direttiva, il cui esame è stato oggetto della risposta alle prime due questioni, si deve rispondere alle due ultime questioni dichiarando che il titolare di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
Sulle spese
54 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) La domanda di registrazione di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere respinta perché esso indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio, precedentemente registrato con una forma grafica differente, è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
2) Il titolare di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.

), in sede di impugnazione di un provvedimento del Registrar of Trade Marks (conservatore del registro britannico dei marchi), verte sull’interpretazione degli artt. 3, n. 1, lett. g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia sorta tra la sig.ra Emanuel, stilista, e la società Continental Shelf 128 Ltd (in prosieguo: la ). Tale controversia ha per oggetto due azioni proposte dalla sig.ra Emanuel contro detta società, ossia, da un lato, un’opposizione alla registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, in lettere maiuscole (in prosieguo: il ), per gli abiti prodotti dalla CSL, e dall’altro, un’azione di decadenza del marchio Elizabeth Emanuel, in lettere minuscole eccetto le iniziali, registrato nel 1997 da un’altra società che lo ha successivamente ceduto alla CSL (in prosieguo: il o il ).
Contesto normativo
3 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 89/104:
g) i marchi di impresa che sono di natura tale da ingannare il pubblico, per esempio circa la natura, la qualità o la provenienza geografica del prodotto o del servizio;
4 Ai sensi dell’art. 12, n. 2, della medesima direttiva:
b) è idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza geografica dei (-) prodotti o servizi [per i quali è registrato], a causa dell’uso che ne viene fatto dal titolare del marchio di impresa o con il suo consenso per i [suddetti] prodotti o servizi (-).
Causa principale e questioni pregiudiziali
5 La sig.ra Emanuel, rinomata stilista nel settore dei vestiti da matrimonio, ha creato nel 1990 un’impresa denominata Elizabeth Emanuel.
6 Nel 1996, la sig.ra Emanuel ha costituito insieme alla società Hamlet International Plc, la società Elizabeth Emanuel Plc (in prosieguo: la ), alla quale la stessa sig.ra Emanuel ha ceduto la sua attività di creazione e commercializzazione di vestiti, l’insieme delle attività dell’impresa compreso l’avviamento, così come la domanda di registrazione del marchio Elizabeth Emanuel, successivamente registrato nel 1997.
7 Nel mese di settembre del 1997, la EE Plc ha ceduto la propria azienda, l’avviamento e il suddetto marchio registrato alla società Frostprint Ltd, la quale ha immediatamente cambiato la propria denominazione sociale in Elizabeth Emanuel International Ltd (in prosieguo: la ). La EE International ha assunto come dipendente la sig.ra Emanuel, la quale ha lasciato il proprio impiego un mese più tardi.
8 Nel mese di novembre del 1997, la EE International ha ceduto il marchio registrato ad un’altra società, la Oakridge Trading Ltd (in prosieguo: la Oakridge). In data 18 marzo 1998, la Oakridge ha presentato una domanda di registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL.
9 Il 7 gennaio 1999, è stata proposta opposizione contro detta domanda di registrazione. Il 9 settembre seguente è stata poi proposta una domanda di decadenza contro il marchio registrato Elizabeth Emanuel.
10 Investito in primo grado delle azioni di opposizione e di decadenza, lo Hearing Officer (il funzionario competente per siffatti ricorsi) le ha rigettate con decisione 17 ottobre 2002, adducendo come motivazione che se il pubblico fosse effettivamente stato vittima di inganno e confusione, ciò sarebbe stato lecito in quanto conseguenza inevitabile della cessione di un’impresa e di un avviamento precedentemente gestiti con il nome del loro proprietario originale.
11 L’Autorità designata, adita con ricorso contro detta decisione, non ha rinviato la questione dinanzi alla High Court of Justice (magistrato di secondo grado di Inghilterra e del Galles) nonostante la richiesta in tal senso presentata dalla CSL divenuta, in pendenza del procedimento, cessionaria del marchio registrato e della domanda di registrazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, ai sensi dell’art. 76 del Trade Marks Act 1994 (legge 1994, sui marchi d’impresa; in prosieguo: la ), che prevede la possibilità di un tale rinvio nel caso in cui l’Autorità designata ritenga che la causa sollevi una questione giuridica d’importanza generale.
12 La discussione si è incentrata, come dinanzi allo Hearing Officer, sulla questione se gli artt. 3, n. 1, lett. g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104 possano servire come fondamento per le azioni dirette contro la CSL.
13 Alla luce di ciò, l’Autorità designata ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se un marchio sia di natura tale da indurre in inganno il pubblico e ne sia pertanto vietata la registrazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), [della direttiva 89/104] nelle seguenti circostanze:
– l’avviamento connesso al marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio;
– prima della cessione il marchio, per una significativa parte del pubblico di riferimento, indicava che una particolare persona partecipava al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali tale marchio veniva usato;
– dopo la cessione, è stata presentata dal cessionario una domanda di registrazione del marchio d’impresa; e
– all’epoca della domanda, una significativa parte del pubblico di riferimento riteneva erroneamente che l’uso del marchio indicasse che quella particolare persona partecipava ancora al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali il marchio veniva usato, e tale convinzione ha influito probabilmente sulle scelte d’acquisto di tale parte del pubblico.
2) Se la risposta alla questione sub 1) non fosse incondizionatamente affermativa, quali altri aspetti debbano essere presi in considerazione per verificare se un marchio sia tale da indurre in inganno il pubblico e ne sia pertanto vietata la registrazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g) [della direttiva 89/104], e, in particolare, se sia rilevante il fatto che è probabile che il rischio di inganno diminuisca nel corso del tempo.
3) Se un marchio registrato sia idoneo ad indurre in inganno il pubblico in seguito all’uso che ne sia stato fatto dal titolare o con il suo consenso e sia quindi suscettibile di decadenza ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), [della direttiva 89/104] nelle seguenti circostanze:
– il marchio registrato e l’avviamento ad esso connesso sono stati ceduti unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio;
– prima della cessione il marchio, per una significativa parte del pubblico di riferimento, indicava che una particolare persona partecipava al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali esso veniva usato;
– dopo la cessione è stata presentata una domanda di decadenza del marchio registrato; e
– all’epoca della domanda una significativa parte del pubblico di riferimento riteneva erroneamente che l’uso del marchio indicasse che quella particolare persona partecipava ancora al disegno o alla creazione dei prodotti in relazione ai quali il marchio veniva usato, e tale convinzione ha influito probabilmente sulle scelte d’acquisto di tale parte del pubblico.
4) Se la risposta alla questione sub 3) non fosse incondizionatamente affermativa, quali altri aspetti debbano essere presi in considerazione per verificare se un marchio registrato sia tale da indurre in inganno il pubblico in seguito all’uso che ne sia stato fatto dal titolare o con il suo consenso e se sia quindi suscettibile di decadenza ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), [della direttiva 89/104] e, in particolare, se sia rilevante il fatto che è probabile che il rischio di inganno diminuisca nel corso del tempo.
Sulle osservazioni presentate a seguito delle conclusioni dell’avvocato generale
14 Con lettera del 22 febbraio 2006, la sig.ra Emanuel ha presentato alcune osservazioni sulle conclusioni dell’avvocato generale. La sig.ra Emanuel ha menzionato taluni errori che l’avvocato generale avrebbe commesso nell’interpretazione, da un lato, degli artt. 3 e 12 della direttiva 89/104 e, dall’altro, della giurisprudenza della Corte in casi precedenti.
15 Poiché né lo Statuto della Corte di giustizia, né il suo regolamento di procedura prevedono la facoltà per le parti di presentare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (v. ordinanza 4 febbraio 2000, causa C-17/98, Emesa Sugar, Racc. pag. I-665, punto 2), le osservazioni della sig.ra Emanuel non possono essere accolte.
16 Tuttavia, la Corte può, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, ovvero su domanda delle parti, riaprire la fase orale del procedimento, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, qualora ritenga di non avere sufficienti chiarimenti o che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra le parti (v. sentenze 19 febbraio 2002, causa C-309/99, Wouters e a., Racc. pag. I-1577, punto 42, nonché 14 dicembre 2004, causa C-434/02, Arnold André, Racc. pag. I-11825, punto 27, e causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag. I-11893, punto 25).
17 Nella fattispecie la Corte ritiene, tuttavia, che tutti gli elementi ad essa necessari per risolvere le questioni proposte siano a sua disposizione. La Corte ritiene pertanto che non occorra ordinare la riapertura della fase orale.
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
18 Prima di rispondere alle questioni proposte, occorre esaminare se l’Autorità designata debba essere considerata un giudice ai sensi dell’art. 234 CE.
19 Per valutare se un organo possegga le caratteristiche di un giudice ai sensi di detta disposizione, questione rilevante solo ai fini del diritto comunitario, la Corte tiene conto di un insieme di elementi quali il fondamento giuridico dell’organo, il suo carattere permanente, l’efficacia vincolante delle sue pronunce, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels, Racc. pag. 408, in particolare pag. 424, 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23, e 2 marzo 1999, causa C-416/96, Nour Eddline Yassini, Racc. pag. I-1209, punto 17).
20 L’Autorità designata è stata istituita dalla legge britannica sui marchi.
21 Ai sensi degli artt. 76 e 77 di detta legge l’Autorità designata, nominata dal Lord Chancellor dopo aver consultato il Lord Advocate [carica dell’ordinamento scozzese, con funzioni paragonabili a quelle di un sottosegretario alla Giustizia; N.d.T.], può essere adita per ricorsi contro le decisioni del Comptroller-General of Patents, Designs and Trade Marks (denominato anche Registrar of Trade Marks). In Inghilterra e nel Galles, essa condivide detta competenza con la High Court of Justice e, in Scozia, con la Court of Session (magistratura con competenze civili, con sede in Edimburgo).
22 Spetta al ricorrente scegliere davanti a quale giudice introdurre il suo ricorso. In certi casi, l’Autorità designata può tuttavia decidere di rinviare l’appello dinanzi alla High Court of Justice, segnatamente nel caso in cui ritenga che la controversia sollevi una questione giuridica di importanza generale.
23 L’Autorità designata è un organo permanente, che decide secondo diritto, in applicazione della legge britannica sui marchi e secondo le norme di procedura previste dagli artt. 63-65 del Trade Marks Rules 2000 (regolamento 2000, sui procedimenti in materia di marchi). Il procedimento si svolge in contraddittorio. Le decisioni dell’Autorità designata sono giuridicamente vincolanti e, in linea di principio, hanno natura definitiva, a meno che esse non siano eccezionalmente oggetto di un ricorso di legittimità ().
24 Nell’esercizio del suo mandato l’Autorità designata gode delle medesime prerogative di indipendenza dei giudici.
25 Risulta dall’insieme degli elementi che precedono che l’Autorità designata deve essere considerata un giudice ai sensi dell’art. 234 CE e che le questioni pregiudiziali sono quindi ricevibili.
Sulle prime due questioni
26 Con le sue due prime questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza di conoscere a quali condizioni possa essere negata la registrazione di un marchio perché esso sarebbe di natura tale da ingannare il pubblico ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, quando l’avviamento connesso al marchio sia stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio e quando detto marchio, che corrisponde al nome dell’ideatore e primo produttore di detti beni, sia stato precedentemente registrato con una forma grafica differente.
Osservazioni presentate alla Corte
27 Il giudice del rinvio è colpito dalle argomentazioni delle due tesi contrapposte. Esso ritiene, da un lato, che l’interesse generale esiga che il marchio non debba essere tale da indurre in errore un consumatore medio, ragionevolmente attento ed accorto, ma che, dall’altro, sia tuttavia conforme all’interesse generale permettere la vendita e la cessione d’imprese ed avviamenti, insieme ai marchi che li contraddistinguono.
28 La sig.ra Emanuel, appellante nella causa principale, fa prevalere l’interesse generale alla protezione del consumatore, garantito dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104. Per l’applicazione di detta norma sarebbe sufficiente l’esistenza almeno di un rischio reale che l’utilizzo del marchio controverso possa indurre in errore il consumatore medio dei prodotti o servizi per i quali è stata chiesta la registrazione del marchio riguardo alla loro origine, e che tale errore possa influenzare le decisioni di acquisto di detto consumatore. L’esistenza di un tal rischio sarebbe una questione di fatto, cosicché tutte le circostanze che rendono probabile la confusione dovrebbero venir prese in considerazione.
29 L’appellante nella causa principale ritiene, pertanto, che dal momento che il rischio di confusione è stato accertato, poco importi che l’avviamento e il marchio siano stati ceduti all’impresa che crede di poter far uso di detto marchio.
30 La CSL, appellata nella causa principale, ritiene che l’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, non preveda alcuna distinzione a seconda che i marchi corrispondano o meno al nome di una persona. L’unico criterio rilevante consisterebbe nel determinare, in maniera oggettiva, se i marchi siano di natura tale da ingannare il pubblico o da indurlo in errore, in particolare creando confusione con altri prodotti.
31 Secondo l’appellata nella causa principale, la tesi della sig.ra Emanuel sui rischi di confusione per un consumatore medio si fonda su una giurisprudenza della Corte concernente alcuni regolamenti specifici che non può essere utilizzata per interpretare la direttiva 89/104.
32 Riguardo alla percezione da parte di un consumatore medio di un marchio corrispondente ad un nome, la CSL ritiene che detto consumatore sappia, particolarmente nel settore della moda, che una denominazione commerciale contraddistingue un prodotto fabbricato da un’impresa e che detta impresa possa essere ceduta insieme a detta denominazione. Per la CSL, questa considerazione vale anche per panificatori, viticoltori o produttori di beni di lusso. Pertanto, il trasferimento di una denominazione commerciale, di per se stesso, non può creare automaticamente confusione, indipendentemente dal fatto che detto trasferimento sia accompagnato o meno da forme di pubblicità.
33 La CSL insiste particolarmente sul fatto che se la tesi della sig.ra Emanuel fosse accolta, diventerebbe impossibile procedere alla cessione di un’impresa insieme a quella dell’avviamento e del marchio dei prodotti ivi fabbricati. Molto spesso, il prezzo per la cessione di un’impresa si basa essenzialmente sul marchio oggetto del trasferimento.
34 Secondo il governo del Regno Unito, la finalità dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 è di impedire la registrazione di marchi che ingannino il pubblico non sull’origine dei prodotti o dei servizi interessati dalla registrazione oppure sulle caratteristiche di detta origine, bensì sulle caratteristiche dei prodotti o dei servizi stessi.
35 Tale disposizione non sarebbe stata concepita con l’obiettivo di permettere la proibizione di un marchio sol perché i prodotti interessati non raggiungono un livello di qualità conforme alle attese del compratore, o perché una determinata persona non interviene più nella creazione o nella produzione di detti prodotti o per qualunque altra ragione. Benché un marchio debba garantire che determinati prodotti provengono da un’unica impresa, la quale è responsabile della loro qualità, esso generalmente non riflette la qualità stessa.
36 Il governo del Regno Unito sostiene che il pubblico è consapevole del fatto che la qualità dei prodotti recanti un marchio determinato possa variare, potendo ciò dipendere o da una decisione del titolare del marchio, o da un cambiamento della proprietà o della direzione, o ancora da modifiche intervenute in seno al gruppo di progettazione o all’impianto di produzione. Un consumatore medio non potrebbe quindi essere indotto in inganno dal fatto che un marchio cambi proprietario.
37 La Commissione delle Comunità europee constata innanzitutto che la Corte non ha ancora avuto occasione di interpretare l’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 con riferimento ai casi in cui un marchio sia di natura tale da ingannare il pubblico e, pertanto, non ha ancora identificato l’interesse pubblico protetto da tale disposizione, interesse pubblico che può essere differente da quello analizzato in relazione ad altri impedimenti assoluti alla registrazione, come quelli esaminati nelle sentenze 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-C-109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I-2779), 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips (Racc. pag. I-5475), o 6 maggio causa C-104/01, Libertel (Racc. pag. I-3793).
38 La Commissione ricorda tuttavia che la Corte ha identificato la funzione essenziale del marchio, che è quella di garantire al consumatore o all’utilizzatore finale di identificare l’origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile un certo prodotto o servizio da altri di provenienza diversa. Infatti, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato intende introdurre e preservare, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (v., in particolare, sentenza 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 48).
39 La Commissione ne deduce che tale funzione non ha come conseguenza il fatto che il consumatore debba essere capace di identificare attraverso il marchio il produttore, ma piuttosto che il marchio debba fornire la garanzia che i beni sono stati immessi sul mercato con il consenso del suo titolare.
40 La Commissione ritiene anche che il mero fatto che un marchio corrisponda ad un nome di una persona non significa che detta persona sia collegata al titolare del marchio o che si debba presumere un tale collegamento e, di conseguenza, ciò non permette neanche di concludere che detta persona sia coinvolta nella fabbricazione dei prodotti recanti tale marchio. La Commissione ritiene che tale tesi sia confermata dal ragionamento svolto dalla Corte nella sentenza 16 settembre 2004, causa C-404/02, Nichols (Racc. pag. I-8499), secondo la quale al nome di una persona non si applica alcuna disposizione particolare della normativa sui marchi.
41 La Commissione considera anche che un consumatore medio possa essere indotto in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, da un marchio corrispondente al nome di una persona solo se uno degli argomenti del venditore consista nel far credere che detta persona partecipi alla fabbricazione del prodotto recante il marchio interessato, quando questa invece non ha più alcun legame con il titolare di detto marchio.
42 Infine, tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte ritengono che non abbia alcuna rilevanza, riguardo alla capacità di un marchio di indurre, o meno, in inganno un consumatore medio, il tempo trascorso da quando la persona il cui nome corrisponde al marchio non è più titolare del marchio stesso.
Giudizio della Corte
43 L’art. 2 della direttiva 89/104 contiene un elenco, qualificato come esemplificativo dal settimo considerando della direttiva medesima, di segni suscettibili di costituire un marchio qualora siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese, vale a dire a soddisfare la funzione del marchio, di indicatore dell’origine. Tale elenco prevede espressamente i nomi di persone (sentenza Nichols, cit., punto 22).
44 Come ricordato dalla Commissione, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza leale che il Trattato intende introdurre e preservare, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (v., segnatamente, sentenza Arsenal Football Club, cit., punto 48).
45 Un marchio quale ELIZABETH EMANUEL può svolgere tale funzione distintiva dei prodotti fabbricati da un’impresa, in particolare quando esso è stato oggetto di cessione a tale impresa e questa produce lo stesso tipo di beni che inizialmente portava il marchio in questione.
46 Tuttavia, trattandosi di un marchio corrispondente al nome di una persona, la ragione di ordine pubblico che giustifica la proibizione di registrare un marchio suscettibile di indurre in inganno il pubblico, decretata dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, ossia la protezione del consumatore, deve indurre a interrogarsi sul rischio di confusione che un tale marchio rischia di creare nella mente di un consumatore medio, segnatamente quando la persona al cui nome il marchio corrisponde impersonava in origine i prodotti recanti detto marchio.
47 I casi di impedimenti alla registrazione, previsti dall’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104 presuppongono, però, l’accertamento di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore (sentenza 4 marzo 1999, causa C-87/97, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, Racc. pag. I-1301, punto 41).
48 Nella fattispecie, quand’anche un consumatore medio potesse venire influenzato nel suo atto di acquisto di un vestito recante il marchio ELIZABETH EMANUEL dall’idea che l’appellante nella causa principale abbia partecipato alla creazione di tale vestito, le caratteristiche e le qualità di detto vestito restano garantite dall’impresa titolare del marchio.
49 Pertanto, la denominazione Elizabeth Emanuel non può essere considerata di per se stessa tale da indurre in inganno il pubblico sulla natura, qualità o provenienza della merce che essa contraddistingue.
50 Spetterebbe invece al giudice nazionale valutare se, nella presentazione del marchio ELIZABETH EMANUEL, non esista una volontà da parte dell’impresa, che ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, di far credere al consumatore che la sig.ra Emanuel sia ancora la creatrice dei prodotti recanti tale marchio o che comunque partecipi alla loro creazione. In tal caso si tratterebbe, in effetti, di una manovra che potrebbe essere valutata dolosa ma che non potrebbe essere considerata come un inganno ai sensi dell’art. 3 della direttiva 89/104 e che, di fatto, non inciderebbe direttamente sul marchio stesso e, di conseguenza, sulla possibilità di registrarlo.
51 Si devono pertanto risolvere le prime due questioni sollevate dichiarando che la domanda di registrazione di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere respinta perché esso indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio, precedentemente registrato con una forma grafica differente, è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
Sulle due ultime questioni
52 Con le sue due ultime questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza di conoscere a quali condizioni il titolare di un marchio possa essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, quando l’avviamento connesso a tale marchio sia stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio e questo corrisponda al nome del creatore e primo produttore di detti beni.
53 Poiché le condizioni di decadenza previste dall’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104 sono identiche a quelle collegate agli impedimenti alla registrazione, di cui all’art. 3, n. 1, lett. g), della stessa direttiva, il cui esame è stato oggetto della risposta alle prime due questioni, si deve rispondere alle due ultime questioni dichiarando che il titolare di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
Sulle spese
54 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) La domanda di registrazione di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere respinta perché esso indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio, precedentemente registrato con una forma grafica differente, è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
2) Il titolare di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere considerato decaduto dai suoi diritti perché tale marchio indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi dell’art. 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.

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