FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente (iscritto dal 2 marzo 1987 nel Comune di Portula) impugna il provvedimento in epigrafe, con cui è stata dichiarata inammissibile la propria istanza di concessione della cittadinanza italiana (prodotta il 23 maggio 2005), per mancanza del requisito della residenza continuativa da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. Deducendo censure di eccesso di potere e violazione dell’art. 9 comma 1 legge n. 91/1992, egli sostiene: - in primo luogo, che dalla documentazione prodotta emerge “palesemente che il sig. Mo. Ji. risiede continuativamente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”; - in secondo luogo, che nel provvedimento impugnato si fa “riferimento unicamente alle vicende anagrafiche dell’interessato” (cancellazione dal Comune di Peia per irreperibilità accertata il 24.1.1998 e reiscrizione in data 29.10.1998 nel Comune di Covo), mentre l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare discrezionalmente il livello di integrazione sociale dello straniero nella comunità nazionale.
2. L’Amministrazione dell’Interno resiste al ricorso e produce documentazione.
3.1. Ciò premesso, osserva il Collegio che l’art. 9, l. 5 febbraio 1992 n. 91 esprime un concetto di “residenza legale” suscettibile di una lettura coincidente con quella di un’acclarata e legittima presenza sul territorio nazionale. In particolare, il suddetto concetto di “residenza legale” è stato successivamente integrato dall’art. 1 del regolamento di esecuzione della citata legge 91/92 (d.P.R. 12 ottobre 1993 n. 572), ove è stabilito che si considera tale quello integrato dal soddisfacimento delle condizioni e degli adempimenti “previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica”. Tale previsione regolamentare ha pertanto introdotto, accanto ai ricordati presupposti di legittimo ingresso e regolare soggiorno, quello della residenza attestata dai registri anagrafici (così, da ultimo: T.A.R. Trentino-Alto Adige, 5/06/2013, n. 180).
3.2. In altri termini, l’art. 9 comma 1 lett. f), l. 5 febbraio 1992 n. 91 (il quale prevede che la cittadinanza italiana può essere concessa con d.P.R., sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica) attribuisce rilevanza giuridica ai periodi di soggiorno nel territorio italiano solo se coperti dall’apposito titolo autorizzatorio e certificati dall’autorità anagrafica, in quanto la condizione di “residenza legale” va riferita a quella indicata dall’art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. 12 ottobre 1993 n. 572, che presuppone che il residente abbia soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalla norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica. In tale prospettiva, non si rivela utile a configurare il presupposto della “residenza legale ultradecennale” il mantenimento di una situazione residenziale di mero fatto, essendo invece a tal fine necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe. Ne consegue che non si può prescindere dall’iscrizione anagrafica mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare “aliunde” la presenza sul territorio. Del pari, l’interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica perché la legge demanda ai registri anagrafici l’accertamento della popolazione residente e coerentemente l’art. 1, d.P.R. n. 362 del 1994 e l’art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 impongono che la prova della residenza sia fornita attraverso l’esibizione del certificato di iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 4/12/2012, n. 10123).
3.3. Nello stesso senso è la giurisprudenza di questo Tribunale . Si veda Sez. I, 7.12.2011, n. 1707, ove si afferma analogamente che: - «la residenza, per potersi considerare “legale”, così come prescrive la norma citata, non può prescindere dall’iscrizione anagrafica, la quale rappresenta un requisito richiesto dalla legge, alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territori»; - per cui «lo straniero che intende ottenere la concessione della cittadinanza italiana deve anzitutto verificare il possesso attuale ed ininterrotto del requisito della residenza legale e, dunque, dell’iscrizione anagrafica» e «ove si verifichino dei disguidi o degli errori da parte dell’Amministrazione nelle cancellazioni anagrafiche, l’interessato ha l’onere di attivarsi tempestivamente al fine di ottenere una rettifica dei dati».
3.4. Da quest’ultima enunciazione giurisprudenziale (coerente al sistema, così come delineato nelle precedenti pronunce richiamate) si evince, dunque, che il requisito della residenza legale ultradecennale deve “essere attuale e ininterrotto” e che incombe sullo straniero l’onere di attivarsi in caso di disguidi e/o errori nelle cancellazioni anagrafiche che lo riguardano. Nel caso in esame, lo straniero non contesta la sua cancellazione per irreperibilità disposta il 24 gennaio 1998 dal Comune di Peia, né la sua reiscrizione avvenuta solo il 29.10.1998 presso il Comune di Covo, ed anzi deposita in giudizio due certificati di residenza storici rilasciati dai predetti Comuni, in cui entrambe tali circostanze sono attestate (cfr. i rispettivi documenti 3 e 4). Sennonché, la soluzione di continuità così verificatasi ha impedito al ricorrente di poter vantare, alla data della presentazione della domanda di cittadinanza (23 maggio 2005), il prescritto requisito del possesso attuale e ininterrotto della residenza legale da più di dieci anni: in altri termini, la medesima cancellazione del 24 gennaio 1998 ha determinato una interruzione tale per cui si è irrimediabilmente “consumato” il precedente periodo (pur ultradecennale) di residenza legale e solo dalla reiscrizione anagrafica (29 ottobre 1998) è iniziato a decorrere il nuovo periodo ininterrotto di residenza legale “attuale” al momento della presentazione dell’istanza. Il disposto della lettera f) dell’art. 9 legge 91/92 richiede, infatti, quale presupposto di ammissibilità, che lo straniero risieda legalmente e continuativamente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, al momento della presentazione dell’istanza, con ciò connotando di attualità il suddetto requisito temporale ed escludendo che possa acquistare rilievo qualsiasi permanenza legale pregressa ma storicamente conclusa e non dotata di continuità e attualità con la presentazione della domanda di cittadinanza. In questo senso, risulta corretta la motivazione di inammissibilità addotta dalla Prefettura di Bergamo, laddove afferma che “l’interessato non risulta aver risieduto continuativamente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”, poiché tra la reiscrizione anagrafica del 29 ottobre 1998 e la data di presentazione dell’istanza (23 maggio 2005) non era decorso il prescritto termine minimo continuativo di 10 anni. In conclusione, così come il prescritto periodo minimo decennale di residenza legale non può essere raggiunto mediante la sommatoria di più distinti soggiorni legali tra loro non continuativi, allo stesso modo esso non può essere integrato da un precedente soggiorno legale ultradecennale continuativo ma giuridicamente risolto e che si collochi, dunque, in discontinuità temporale con il momento di presentazione della domanda di cittadinanza.
3.5. Ciò posto e acclarata l’insussistenza, nella specie, di un prerequisito di legge, risultano evidentemente inconferenti le ulteriori censure con cui il ricorrente insiste sulla mancanza di una valutazione discrezionale operata dall’Amministrazione in relazione “agli ulteriori elementi che motivino l’opportunità della concessione”.
4. In definitiva, il ricorso deve essere respinto. Le spese di lite possono, tuttavia, essere integralmente compensate, stante la peculiarità e la natura eminentemente interpretativa della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo RESPINGE. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati: (omissis)