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    Tribunale di Arezzo, 20 marzo 2018, n. 319

    Redazionedi Redazione8 Novembre 2018Aggiornato il:8 Novembre 2018
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    Tribunale di Arezzo, 20 marzo 2018, n. 319

    Tribunale di Arezzo, 20 marzo 2018, n. 319

    Fatto

    Con atto di citazione ritualmente notificato la R. evocava in giudizio la A. e M.B. assumendo di aver acquistato una BMW X6 dalla B. quale addetta alle vendita dell’A.; che a fronte di ciò la società aveva pagato Euro 51.000 e consegnato in permuta due vetture; che l’auto era stata poi sequestrata alla frontiera ungherese risultando quindi rubata; che oltre alla perdita del veicolo, la società aveva dovuto affrontare i costi per il legale ungherese; che doveva essere riconosciuta la responsabilità in solido dei due convenuti per evizione totale ovvero per truffa contrattuale; chiedeva quindi la condanna a complessivi Euro 90.000,00
    La B. restava contumace
    Si costituiva la A. contestando le deduzioni avversarie e eccepiva che effettivamente la vettura era transitata per la concessionaria ma la A. non ne aveva curato la vendita, fatta direttamente dal proprietario; che M.B. non era addetta alle vendita ed era soggetto completamente sconosciuto; che il F. aveva informato la A. dell’accaduto ma che nessun collegamento vi era tra la società e quanto successo; che il Tribunale difettava di giurisdizione trattandosi di contratto tra soggetti stranieri; che nessuna responsabilità fosse addebitabile alla convenuta
    La causa all’esito delle memorie ex 183 c.p.c. era istruita con prove testimoniali e per interpello; quindi il GI disponeva confronto tra i testimoni; ricostruite le effettive targhe delle auto date in permuta, veniva disposta prova testimoniale di risulta nei confronti degli acquirenti
    Quindi la causa era inviata a conclusioni con scambio di conclusionali e repliche

    Breve esposizione dei motivi in fatto ed in diritto della decisione
    Va detto preliminarmente come ben distinte appaiono le posizioni dei due convenuti.
    Ciò in quanto, alla luce del complessivo comportamento processuale della B. la quale è rimasta contumace e del suo rifiuto di rendere interrogatorio formale, la posizione di questa appare ben definita e assolutamente chiara in tema di responsabilità.
    È lei certamente ad aver ceduto il bene (che risultava a lei intestato) alla R., un bene che non poteva essere ceduto in quanto rubato. Non appaiono sussistere dubbi sia in forza della deposizione del teste B. ed anche dei documenti costituenti il contratto (due) firmati dalla B. e non disconosciuti.
    È dunque pienamente accoglibile la richiesta di parte attrice di dichiarare la responsabilità della venditrice per evizione totale della cosa venduta ex art. 1483 c.c. rilevato come il bene appare essere stato definitivamente sottratto alla disponibilità dell’acquirente e “riconsegnato” al legittimo proprietario dalla polizia austriaca.
    La Suprema Corte ha precisato che (C. Cass. 28807/2008) che ciò comporta una responsabilità ai sensi dell’art. 1494 c.c. “Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, infatti, la vendita di una autovettura immatricolata con falsa documentazione e recante il numero di telaio contraffatto configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse che integra la fattispecie dell’inesatto adempimento (Cass., 30.3.2006 n. 7561; Cass., 1.7.1996 n. 5963). Alla luce di tale orientamento, la Corte d’Appello ha ritenuto che sul M. gravava la responsabilità risarcitoria di cui all’art. 1494 c.c., ed operava a suo carico la presunzione di colpa stabilita dal primo comma di tale disposizione (Cass. 26.4.1991 n. 4564; Cass., 19.7.1995 n. 7863; Cass., 20.5.1997 n. 4464; Cass. 29.3.1982 n. 1937). Da tale responsabilità egli avrebbe potuto esimersi provando di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa venduta.”
    La misura del risarcimento è determinata ai sensi dell’art. 1479 c.c. e quindi non essendo stata data dimostrazione che il venditore ignorava senza colpa la circostanza, sarà pari al valore pagato detratto il deterioramento, oltre le spese sopportate. Pertanto può essere considerato congruo un risarcimento che, tenuto conto del valore di acquisto pari ad Euro 70.000, provveda alla diminuzione per deterioramento e consumo del mezzo calcolabile in circa 10.000 euro e quindi per Euro 60.000,00.
    Non appare dimostrato alcun risarcimento ulteriore visto che le fatture depositate non sono state emesse in favore della società attrice.
    Ben diversa invece appare la posizione dell’altra convenuta, A., per la quale non sembra sia accertabile alcuna responsabilità.
    Iniziamo con il dire che anche il collegamento tra il contratto e la legge italiana quale legge applicabile appare piuttosto incerto, visto che l’auto era un’auto “rumena” (immatricolata teoricamente in Romania e con documenti rumeni) alienata da un venditore rumeno ad acquirente rumeno e nessun riferimento viene fatto nel contratto alla legge italiana. Unico punto di contatto, in quanto non contestato, è che l’accordo si sarebbe formato in Arezzo, ma tale circostanza non è neppure documentalmente certa.
    Ritenuto comunque di poter affrontare la vicenda sulla base della legge italiana, essendo stata suscitata la responsabilità di un cittadino (anzi società) italiana, bisogna concludere che non è stata data prova di un qualsiasi collegamento certo tra la convenuta ed il contratto e che pertanto detta responsabilità non sussiste.
    L’unico elemento che collega la A. all’auto oggetto di vendita è costituito dalla circostanza che l’auto si è effettivamente trovata nell’officina della convenuta prima di essere acquistata, così come confermato anche dal teste dell’A.. Ciò, di per sè, non sembra dirimente, l’auto può infatti essersi trovata lì anche solo per controlli e riparazioni come dichiarato dal sig S.
    Unico indizio che depone in favore della ricostruzione di parte attrice, che vorrebbe la B. addirittura come addetta alle vendite di A., appare essere la testimonianza del sig. B. la quale però, al di là dei suoi profili di attendibilità, può anche essere intesa nel senso che l’incontro con la B. sia avvenuto all’autosalone ma non necessariamente in un ufficio della concessionaria.
    Gli altri testi infatti escludono tutti che la convenuta abbia fatto parte dell’organizzazione aziendale e tutti gli altri indizi appaiono propendere per tale ricostruzione.
    In primo luogo in nessuno dei contratti compare o si fa riferimento (anche quale semplice carta intestata) alla A.; la macchina era di proprietà della B. ed il passaggio di proprietà in suo favore era avvenuto vari mesi prima della rivendita alla R.D.; non è stata fornita alcuna prova di come tra le parti vi sia stato trasferimento di denaro, ritenendo impossibile che 50.000 euro siano transitati in contanti; non vi è dimostrazione, pertanto che effettivamente dalla vendita sia intervenuto un qualche incasso per A.; pur in presenza di una ipotesi così evidente di una situazione di rilevanza penale, l’attrice non appare aver promosso alcuna iniziativa in tal senso né è stato dato corso ad alcuna indagine; la R.D., pur essendo una società, sembra non aver curato affatto la questione di un acquisto senza alcun elemento contabile.
    Parte attrice deduce che solo un rapporto con una concessionaria avrebbe giustificato la cessione in permuta di due auto, ma nonostante l’indagine svolta non vi stata fornita prova che le due macchine fossero state cedute poi dall’A., anzi il contrario, ma soprattutto rileviamo come i mezzi scambiati non erano di R. bensì di un’altra società, il che ingenera ulteriori dubbi sui rapporti tra la B., il F. e la R.D. .
    Acquistare un’auto da circa 70.000 euro da una concessionaria senza avere una qualche garanzia o controllo o assistenza post vendita di qualunque tipo è ulteriore elemento di dubbio per la ricostruzione di parte attrice. Se effettivamente la R.D. (ma chi?) fosse stata convinta all’acquisto per la presenza di una specifica organizzazione societaria alle spalle della vendita tale rapporto sarebbe certamente stato esplicitato in forme magari non strettamente collegate al contratto ma con modalità sicuramente evidenti.
    In assenza, pertanto, di qualsivoglia prova che la A. abbia in qualche modo partecipato alla vendita dell’auto tra la B. e R.D., nessuna resonsabilità può ad essa essere ascritta.
    Alla soccombenza della B. segue la sua condanna alle spese, liquidate come in dispositivo; con compensazione tra l’attrice e A..

    PQM

    Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:
    Accertata la responsabilità per evizione totale del bene e il conseguente obbligo al risarcimento, condanna B.M. al pagamento in favore della R.D. Company S.R.L. dell’importo complessivo di Euro 60.000,00 oltre rivalutazione dalla data della domanda;
    Rigetta le domande nei confronti dell’A. in quanto non provate;
    Condanna B.M. al pagamento in favore della R.D. Company S.R.L. delle spese di lite, che si liquidano in Euro 7.795,00 per compensi (D.M. n. 55 del 2014 scaglione 52.000/260.000 valore minimo) oltre 15% per spese generali, Euro 700,00 per anticipazioni, c.p.a. ed i.v.a. come per legge e spese di CTU
    Compensa le spese di lite tra R.D. Company S.R.L. e A.A. srl
    Così deciso in Arezzo, il 20 marzo 2018.
    Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2018.

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