Il porto d’armi senza licenza è previsto dall’art. 7 della legge 36/1990 per i soli magistrati di professione e non si applica ai giudici onorari
L’art. 7 della legge 36/1990 prevede che, ai soli fini della difesa personale, è consentito il porto d’armi senza la licenza di cui all'articolo 42 del TULPS ai magistrati dell’ordine giudiziario, anche se temporaneamente collocati fuori del ruolo organico.
Nel 2018 il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi – Direzione generale dei magistrati) con circolare n. 11799 ha disposto il ritiro dei tesserini di riconoscimento in corso di validità dei giudici ausiliari di Corte d’Appello, dei giudici onorari di pace e dei vice procuratori onorari al fine della loro sostituzione con nuovi modelli privi della dicitura “valido ai fini del porto d’arma senza licenza – art. 7 legge 21.2.1990, n. 36”. Alcuni magistrati onorari hanno impugnato detto provvedimento davanti al giudice amministrativo.
Secondo il Consiglio di Stato, che ha confermato la decisione del TAR Lazio, la circolare del Ministero è corretta ed è conforme all’ordinamento costituzionale. Il riferimento normativo ai «magistrati dell’ordine giudiziario» va intenso nel senso dei soli soggetti di cui all’ art. 4, comma 1, r.d. n. 12 del 1941.
A ciò porta sia la ratio legis (l’attribuzione della facoltà è in ragione della potenziale esposizione a pericolo per l’esercizio delle funzioni giudiziarie: circostanza che normalmente non si realizza per gli affari minori cui sono addetti i magistrati onorari), sia la rivelatrice precisazione per la quale la facoltà permane anche nel periodo eventualmente trascorso in posizione di fuori ruolo, cioè indipendentemente dal rapporto organico in un ufficio giudiziario, dunque con radicamento piuttosto nel rapporto di servizio. Del resto, solo il magistrato professionale può essere collocato in posizione di fuori ruolo senza con questo perdere la collocazione nell’ordine giudiziario.
La norma di che trattasi inoltre - osserva il C.d.S. - è di stretta interpretazione perché fa eccezione al generale divieto di porto delle armi (art. 699 Cod. pen. e art. 4, primo comma, l. n. 110 del 1975).
Da tutto questo consegue che, per volontà della legge, è consentito il porto d’armi senza licenza ai soli magistrati di professione (cfr. Cass. pen., I, 28 maggio 2015, n. 22567, secondo cui l’esonero dall’obbligo di denuncia di detenzione e l’autorizzazione al porto d’armi non si riferisce ai magistrati onorari), a coloro cioè che stabilmente e istituzionalmente esercitano funzioni giurisdizionali. Diversamente sarebbe consentito il porto d’armi senza licenza a chi svolge in via principale non l’attività di magistrato (onorario) ma un’altra attività lavorativa e professionale.
Il Collegio ha altresì ritenuto che:
- la circolare impugnata non viola un diritto quesito: non vi è una norma sopravvenuta che, limitando l’applicazione di una precedente disposizione estensiva, abbia ristretto situazioni consolidate corrispondenti a incomprimibili diritti umani: vi è semmai un beneficio in passato attribuito per incongrua lettura del dato normativo (ad opera di precedenti circolari del 1994 e del 1996): al quale, l’obbligo dell’amministrazione di far costantemente corretta applicazione della legge, impone di rimediare;
- anche a voler ipotizzare che un analogo esercizio di funzioni giudiziarie possa esporre i magistrati onorari ai medesimi rischi per aggressioni dei magistrati ordinari (il che nella media non è), non v’è un’illogica disparità di trattamento perché il diverso statuto professionale degli uni e degli altri legittima trattamenti differenziati nei termini indicati: tanto più che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il porto d’armi senza licenza non è correlato in via diretta allo svolgimento in concreto della “funzione magistratuale”;
- l’accostamento dei magistrati onorari ai giudici popolari è effettuato al solo scopo di marcare la differenza tra i magistrati che compongono l’ordine giudiziario e quelli che vi appartengono per le funzioni temporaneamente svolte e, in questi termini, non è illogica: entrambi, pur con competenze diverse, sono in funzione della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia (cfr. art. 102, comma 3, Cost.).
Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2021, n. 1062