Corte Costituzionale, 21 luglio 2010, n. 265
La custodia cautelare in carcere non può essere l’unica misura cautelare prevista per i reati sessuali. Dichiarata la parziale incostituzionalità dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo c.p.p.
I giudici della Corte costituzionale hanno negato l’estensione automatica ai reati di natura sessuale – 600-bis (Prostituzione minorile), primo comma, 609-bis (Violenza sessuale) e 609-quater (Atti sessuali con minorenne) del codice penale – di quanto previsto dal codice di procedura penale in tema di misure cautelari per i delitti di mafia, e ciò senza considerare misure meno “afflittive”. La norma, nella sua formulazione dichiarata incostituzionale, era stata modificata dal pacchetto sicurezza di cui al d.l. n. 11/2009, che ha tra l’altro introdotto le norme sullo stalking.
In particolare la Corte ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La norma in parola è stata ritenuta violativa dell’art. 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti in questione a quelli concernenti i delitti di mafia nonché per l’irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi punitivi considerati; dell’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale; dell’art. 27, secondo comma, Cost., in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena.
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Corte Costituzionale, 21 luglio 2010, n. 265