Consiglio di Stato, sez. V, 21 gennaio 2021, n. 653
Avvocato senza studio legale? Si può. L’avvocato non deve necessariamente disporre di uno studio legale ed in ogni caso lo studio legale non è di per sé luogo pubblico o aperto al pubblico
Il Consiglio di Stato si è espresso in ordine ad una controversia che ha visto contrapposti il Comune di Parma ed il Consiglio dell’Ordine forense del medesimo capoluogo. La questione era relativa ad una variante del Regolamento edilizio comunale recante “Disciplina per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche”, nella parte in cui ricomprendeva, fra gli edifici aperti al pubblico, anche gli studi professionali di avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio e abilitati al gratuito patrocinio.
Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati parmense ha impugnato le delibere del Consiglio Comunale con cui sono state approvate dette varianti, sostenendo l’inapplicabilità di tale disciplina agli studi legali, avendone ragione in sede di impugnazione davanti al Consiglio di Stato.
Secondo i giudici del Supremo Consesso, «né la legge professionale 31 dicembre 2012 n. 247, in particolare l’art. 7 di essa, relativo al “domicilio”, né il codice deontologico forense obbligano l’avvocato, per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato.
In particolare, l’art. 7 della l. n. 247/2017 prevede solo che egli abbia un “domicilio”, ovvero in termini semplici un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione.
Pertanto, l’apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista. Inoltre, lo studio legale, anche quando esiste, non è di per sé luogo pubblico o aperto al pubblico, come si desume, per implicito, dalla costante giurisprudenza penale, secondo la quale commette il reato di violazione di domicilio previsto dall’art. 614 c.p. chi acceda allo studio di un avvocato, o vi si trattenga, contro la volontà del titolare: per tutte, da ultimo, Cass. pen., sez. V, 18 aprile - 26 luglio 2018 n. 35767».
«Premesso quanto si è detto sopra [...] ovvero che l’avvocato non è obbligato a disporre di uno studio» è stato altresì rilevato che «il relativo incarico professionale si può sempre svolgere con modalità che prescindono dalle barriere architettoniche in questione. La legge n. 247/2012 citata e il codice deontologico non vietano infatti in generale che il difensore, per svolgere il proprio mandato, possa recarsi presso la parte, in un luogo che essa ritiene adeguato alle proprie esigenze, anche di salute, e in particolare non vietano certo che egli si rechi al domicilio di un disabile il quale se ne possa allontanare solo con difficoltà».
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Consiglio di Stato, sez. V, 21 gennaio 2021, n. 653