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Giurisprudenza Lavoro Previdenza

La CEDU (implicitamente) conferma il Jobs Act in tema di controlli a distanza e licenziamento dei lavoratori.

Avv. Emiliano Vitellidi Avv. Emiliano Vitelli24 Gennaio 2016Aggiornato il:24 Gennaio 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Corte Europea dei Diritti dell’uomo, 12 gennaio 2016, A. 61496-08

La sentenza n. 61496/08 (Case of Barbulescu v. Romania, Application n. 61496/08) emessa dalla Corte dei diritti umani il 12 gennaio 2016 conferma che un datore di lavoro può licenziare il proprio dipendente a seguito di controlli – a distanza – effettuati sugli strumenti di comunicazione utilizzati dal lavoratore.
Pronunciandosi sul caso del licenziamento di un ingegnere rumeno per aver utilizzato la connessione Internet messagli a disposizione dalla società per motivi personali durante l’orario di lavoro, in violazione delle norme interne, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto che vi era stata una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza) e che erano stati certamente coinvolti la vita privata del signor Bărbulescu e la sua corrispondenza, pur tuttavia il controllo del datore di lavoro delle sue comunicazioni era da ritenersi ragionevole nell’ambito di un procedimento disciplinare.

La vicenda.
Dietro invito della propria azienda (rumena) i dipendenti utilizzavano Yahoo Messanger per rispondere ai clienti. Tuttavia a seguito di un periodo di monitoraggio sulle comunicazioni l’azienda riscontrava che un proprio dipendente aveva utilizzato il Messenger per scopi personali, ciò anche se ci fossero precise policy che vietavano un tal tipo di utilizzo.
Sulla base di tali riscontri l’azienda licenziava il dipendente il quale agiva in giudizio.
Il dipendente ha contestato il licenziamento ed il comportamento dell’azienda sostenendo che il datore non aveva il diritto di monitorare le proprie conversazioni e che le stesse avevano carattere personale. Un comportamento che aveva comportato una forte lesione dei propri diritti personali sia sotto il profilo della Carta costituzionale che del codice penale rumeni, ma anche sotto il profilo dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti umani.
Va precisato anche che il dipendente sebbene non abbia spiegato durante il giudizio le ragioni per cui aveva utilizzato Yahoo Messenger per scopi personali, aveva comunque dimostrato che l’account monitorato era quello personale e non quello aziendale (con un ID differente).
La Corte di Strasburgo, nel rigettare il ricorso del lavoratore ha stabilito che:

  • esistevano policy aziendali conosciute dal dipendente e che questi aveva violato;
  • il controllo dei messaggi di comunicazione era l’unico modo per il datore di poter verificare che i propri dipendenti svolgessero correttamente le proprie mansioni;
  • soltanto a mezzo di un adeguato monitoraggio il datore può evitare sia che attraverso l’utilizzo di internet il dipendente possa produrre danni all’azienda e al sistema IT aziendale, sia che addirittura un lavoratore scientemente svolga attività illecita e dannosa contro l’azienda medesima.

Nel proprio ragionamento la Corte ha anche tenuto conto che pur se era vero che l’azienda aveva controllato l’account personale (e non quello aziendale) del dipendente, comunque lo aveva fatto nella convinzione che questi stesse utilizzando quello strumento per svolgere le proprie mansioni, visto che era stata la stessa impresa a consigliarne l’utilizzo. I giudici di Strasburgo hanno anche avuto modo di sottolineare che l’azienda si era limitata a controllare le comunicazioni sul Yahoo Messenger, ma non gli altri dati e documenti eventualmente memorizzati sul computer del dipendente
Su tali presupposti la Corte hanno ritenuto del tutto ragionevole e giustificato che il datore di lavoro ponga in essere un’attività di controllo volta a verificare che i dipendenti stiano svolgendo correttamente il proprio lavoro.

In Italia
Con la riforma del Jobs Act il datore di lavoro può installare, previo accordo sindacale, strumenti di controllo a distanza, se sussistono esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, con esclusione di quegli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (computer, device mobili, ecc. ma anche per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze), per i quali il datore non riscontro alcuna limitazione (art. 4 Statuto dei Lavoratori come modificato dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n.151)
La medesima riforma ha poi stabilito che le informazioni così raccolte sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D.lgs 196/2003.

Perché ha vinto l’azienda?
Dalla vicenda si possono sottolineare alcuni fondamentali elementi:

  1. L’azienda aveva delle policy comunicate a tutti i propri dipendenti;
  2. L’azienda ha utilizzato i controlli a distanza in modo circoscritto e proporzionato;
  3. L’attività di controllo dell’azienda deve tener conto delle molteplici minacce che provengono da internet.

Perché ha perso il lavoratore?
Leggendo attentamente la sentenza della Corte appare chiaro che le cose forse avrebbero potuto avere un esisto anche diverso se il dipendente avesse provato in giudizio che la propria condotta:

  1. La propria condotta non aveva comportato alcun danno (sotto molteplici profili) all’azienda;
  2. Il comportamento che aveva avuto trovava una seria giustificazione in termini personali ed economici (il dipendente si è giustificato sostenendo per esempio che un cellulare costava troppo);
  3. L’attività di controllo dell’azienda era stata svolta senza garanzie e i propri dati personali erano stati diffusi in maniera non giustificata.

Conclusioni.
Sicuramente l’atteggiamento dei Tribunali (anche nostrani) a seguito dell’adozione di normative quali il Jobs Act permettono ai datori di lavoro di avere maggiore libertà in tema di controllo dei dipendenti. Ma è fondamentale sottolineare che questo sarà possibile sempre, solo e soltanto quando l’impresa si mette in condizioni strutturali ed imprenditoriali tali da rendere il controllo giustificato, circoscritto e proporzionato.

 

Art. 4 
Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo
(Articolo sostituito dall’articolo 23, comma 1, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n.151)
1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Clicca e scarica il testo integrale della sentenza ⇣
Corte Europea dei Diritti dell’uomo, 12 gennaio 2016, A. 61496-08

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