Cassazione civile, sez. II, 5 giugno 2012, n. 9063
Un’altra sentenza della Cassazione si aggiunge all’ormai cospicuo filone giurisprudenziale che considera il contratto preliminare e definitivo come distinti tra loro, in quanto dotati di autonoma causa. In base alla cd. teoria della doppia causa o dell’assorbimento, avallata da gran parte della dottrina, nella relazione tra contratto preliminare e definitivo, quest’ultimo sarebbe in grado di assorbire il precedente accordo intercorso tra le parti, poiché rappresenterebbe l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni per queste. Nel caso in esame, un acquirente di alcuni appezzamenti di terreno cita in giudizio il relativo venditore per essere riconosciuto proprietario anche di un determinato lotto non compreso nel contratto definitivo di compravendita, ma incluso nel precedente contratto preliminare. Il venditore resistente contesta la proprietà della particella di terreno oggetto di controversia, sostenendo che tra il preliminare e il definitivo si era raggiunto un nuovo accordo, modificativo del preliminare. I giudici di merito riconoscono la legittimità delle ragioni esposte dal venditore poiché, come confermato nel successivo giudizio di Cassazione, solo il contratto definitivo “costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. n. 15585/2007; Cass. 18-7-2003 n. 11262; Cass. n. 2824/2003; Cass. n. 5635/2002)”. È stato ulteriormente puntualizzato che nel silenzio del contratto definitivo, ove abbia ad oggetto beni immobili, la prova “di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente
alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o
prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto
definitivo” deve risultare da atto scritto.
Diversamente argomentando, da un lato “verrebbe a negarsi il valore di nuovo accordo alla manifestazione di volontà delle parti consacrata nel definitivo, che assurgerebbe, quindi, a mera ripetizione del preliminare, ponendosi in tal modo un limite ingiustificato all’autonomia privata; e, dall’altro, si attribuirebbe natura negoziale all’adempimento, in contrasto con la concezione, ormai dominante, che vede in esso il “fatto” dell’attuazione del contenuto dell’obbligazione e non un atto di volontà (Cass. n. 233/2007)”.
Ciò comporta che il contratto preliminare determina soltanto l’obbligo
reciproco delle parti a stipulare il contratto definitivo, la cui
disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, può anche non
conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario
un nuovo accordo scritto.
Muovendo da tali considerazioni la Cassazione riconosce la legittimità della valutazione di fatto effettuata dai giudici di merito in quanto hanno “accertato, in concreto, sulla base di elementi presuntivi (quali le caratteristiche di dirupo della particella in questione, che forniscono una spiegazione al rifiuto degli appellanti di acquistarla, altrimenti incomprensibile; il fatto che la superficie complessiva dei terreni oggetto della compravendita si ottiene non considerando la particella per cui è causa), che con esso le parti hanno inteso derogare al contratto preliminare precedentemente stipulato, escludendo il trasferimento della particella 170”. La Suprema Corte, applicando per analogia il principio vigente in materia di prova testimoniale, ricorda che il ricorso ad elementi presuntivi nell’interpretazione della volontà contrattuale è lecito quando abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale e non sia perciò diretto a provare patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento in grado di modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto di un negozio consacrato nell’atto scritto. Non può perciò affermarsi che il giudice di appello sia incorso nella violazione degli artt. 2722 e 2729 c.c., in quanto tale prova non era diretta a dimostrare patti aggiunti al contratto preliminare.
Ne consegue che l’indagine di fatto compiuta dalla Corte territoriale risulta insindacabile “poiché sorretta da una motivazione immune da vizi logici e rispettosa dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (tra le tante v. Cass. n. 13242/2010; Cass. 29-8-2004 n. 15381)”.
Cassazione civile, sez. II, 5 giugno 2012, n. 9063