Cassazione civile, sez. II, 14 ottobre 2020, n. 22191
L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla sua distruzione. L’onere della prova che il testamento fu distrutto da persona diversa dal testatore, oppure che costui non aveva intenzione di revocarlo, incombe su chi vi ha interesse.
La prova contraria - ovvero che il testamento è andato semplicemente smarrito ma che la volontà del de cuius non è mutata rispetto a quella risultante dalla copia del testamento - può essere data anche per presunzioni. Detta prova può consistere nella prova dell’esistenza del testamento al momento della morte (cosa che darebbe la certezza che il testamento non è stato revocato dal testatore), ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volontà del testatore stesso.
È ammessa anche la prova che la distruzione del testamento olografo da parte del testatore non era accompagnata dalla intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute.
In presenza di una copia informale del testamento olografo il mancato disconoscimento della conformità all’originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca.
Ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme dell’art. 2724 c.c., n. 3 e art. 2725 c.c., sui contratti. È quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull’esistenza del testamento, purché beninteso la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento.
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Cassazione civile, sez. II, 14 ottobre 2020, n. 22191