Cassazione civile, sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754
Il risarcimento del cosiddetto danno “catastrofale” – il quale presuppone la consapevolezza in capo alla vittima dell’imminenza della propria morte o della gravissima entità delle lesioni subite – può essere riconosciuto agli eredi, a titolo di danno morale (nell’accezione del termine precedente a Cass., sez. un., n. 26972/08), a condizione che sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte. Condizione che si avvera solo allorché, nel breve intervallo temporale tra il momento del sinistro e quello della morte, la vittima del sinistro medesimo abbia mantenuto uno stato di coscienza.
Diversamente, in assenza di uno stato di coscienza (così come nel caso di specie laddove tra il sinistro e la morte sono sì intercorse alcune ore ma la vittima versava in stato comatoso) la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento.
Osserva a tal proposito la Corte «non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal soggetto che muore, e che cosi si estingue, un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte (chi non è più non può acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più), ma è logicamente inconfigurabile la stessa funzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantita invece dal diritto penale), ma riparatoria o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione riparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può, per la forza delle cose, essere attuata a favore del defunto».
Ai congiunti della vittima di un sinistro che non abbia già acquisito al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno connesso alla perdita della propria vita spetta pertanto il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta.
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Cassazione civile, sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754