Consiglio di Stato, sez. V, 9 marzo 2010, n. 1382
La questione della retribuibilità o meno delle mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico ha dato luogo, in passato, ad orientamenti giurisprudenziali non sempre univoci, tuttavia, l’art. 56 D.Lgs. n. 29/93, nel testo sostituito dall’art. 25 D.Lgs. n. 80/98, ha regolamentato ex novo la materia, riconoscendo al lavoratore del settore pubblico il diritto alle differenze retributive dovute per le mansioni superiori che abbia in effetti espletato anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni prescritte; con contestuale attribuzione di responsabilità al Dirigente che abbia disposto l’incarico, in caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo. Sennonché, l’applicazione di tale disposizione è stata rinviata, finché non è intervenuto l’art. 15 del D.Lgs. 29.10.1998 n. 387.
In senso favorevole al dipendente pubblico si è recentemente orientata la Cassazione Civile che, con la sentenza n. 25837 del 11.12.2007 delle Sezioni Unite, ha espresso il principio di diritto per il quale in materia di pubblico impiego, come si evince anche dalla lettura del D.Lgs. 3.2.1993 n. 29, art. 56 6° comma (nel testo sostituito dal D.Lgs. 31.3.1998 n. 80, art. 25, così come successivamente modificato dal D.Lgs. 29.10.1998 n. 387, art. 15), l’impiegato cui siano state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiore a quella di inquadramento, ha diritto, in conformità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.; norma questa che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, anche nel settore del pubblico impiego privatizzato, sempre che le superiori mansioni assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità corrispondenti a dette superiori mansioni.
Pur in presenza di tale indirizzo della Cassazione, favorevole a riconoscere natura retroattiva alla modifica di cui al D.Lgs. n. 387/1998, il Consiglio di Stato si è precipuamente attestato sulla diversa tesi per la quale il diritto del dipendente pubblico alle differenze retributive spettanti per lo svolgimento di mansioni superiori possa essere riconosciuto in via generale solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 387/1998 (ossia dal 22 novembre 1998), con l’argomento che detto decreto possiede evidente carattere innovativo rispetto alla normativa precedente e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse.
Nella sentenza che qui si annota, il Consiglio di Stato conferma il proprio orientamento, aggiungendo, con riferimento al caso di specie, che laddove la retribuibilità, date le considerazioni che precedono, non possa essere riconosciuta, neppure si possa addurre, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2041 c.c., che l’Amministrazione avrebbe lucrato un ingiustificato arricchimento in danno del dipendente adibito a mansioni superiori, con conseguente aggravio della penosità del lavoro e della relativa responsabilità.
Difatti, si spiega in sentenza, l’ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nell’ipotesi in cui questi percepisca la retribuzione prevista per la qualifica rivestita.
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Consiglio di Stato, sez. V, 9 marzo 2010, n. 1382